Espressioni di umanesimo
L’espressione
di umanesimo più efficace e sintetica è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono: "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità
senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che
cosa comporta? Significa incontrare una creatura ridotta a un rudere come è
Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande e ascoltandolo: "kaiv s j
oijktivsa" - qevlw jperevsqai[1], duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n
ejmou' t& e[cwn", vv.
556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale
preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Poi significa comprendere e
aiutare con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e
destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco
- sono stato allevato xevno" esule come te" (vv.562 - 563). "Dunque
so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv.
567 - 568).
E' una
dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età
ellenistica
e partorirà l'humanitas latina.
Una simile
dichiarazione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad
ascoltarlo, leggiamo nel più famoso verso di Terenzio: "Homo sum:
humani nil a me alienum puto"[2].
Enea
viene salvato dalla compassione, quella di Didone che pure non è in alcun modo
ricompensata dall’esule troiano.
La regina
che ha fondato Cartagine prima di decadere a donna abbandonata esprime
questo tw/' pavqei mavqo": "non ignara mali miseris succurrere disco", Eneide,
I, 630, non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati.
Un soccorso
che verrà mal ricompensato dal “pius” Enea, antenato di Augusto, secondo
il poeta cortigiano Virgilio.
L’autore che
scrive quale panegirista del despota non può avere lo spessore etico, e neppure
estetico, di chi scrive con la prospettiva di un popolo che lo legge o lo
ascolta, come avevano i tre auctores maximi: Eschilo, Sofocle,
Euripide e Aristofane
L’humanitas della
compassione viene affermata dalle prime parole del Decameron:
"Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti".
Cicerone nel
III libro del De Officiis dice che l'umanità è un unico corpo del
quale i singoli individui sono le membra. Dobbiamo aiutare l'uomo perché ogni
uomo è parte di noi stessi: "Etenim multo magis est secundum naturam
excelsitas animi et magnitudo itemque comitas, iustitia, liberalitas quam
voluptas, quam vita, quam divitiae, quae quidem contemnere et pro nihilo ducere
comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. Detrahere autem
de altero, sui commodi causa, magis est contra naturam quam mors, quam dolor,
quam cetera generis eiusdem "(III, 24). Infatti è molto più secondo
natura l'elevatezza e la grandezza d'animo, e parimenti la cortesia, la
giustizia, la generosità, che il piacere, che la vita stessa e le ricchezze;
quindi disprezzare questa roba e valutarla nulla paragonandola con l'utilità
comune è proprio di un animo grande ed elevato. Sottrarre invece a un altro per
il tornaconto proprio, è più contro natura che la morte, il dolore e altre cose
del medesimo genere.
E più avanti
(III, 25):" ex quo efficitur hominem naturae oboedientem homini
nocere non posse ", da ciò deriva che l'uomo il quale obbedisce alla
natura non può nuocere all'uomo.
Marco Aurelio, imperatore
(161 - 180 d. C.) e filosofo, scrive (A se stesso, II, 1): noi siamo
nati per darci aiuto reciproco ("pro;" sunergivan"), come i piedi, le mani, le
palpebre, come le due file dei denti. Dunque l'agire uno a danno dell'altro è
cosa contro natura ("to; ou\n ajntipravssein ajllhvloi" para; fuvsin").
Marco
Aurelio in effetti dice a se stesso: “bada a non cesarizzarti: “o{ra mh;
ajpokaisarwqh'/""
( A se stesso, VI, 30)
Una
splendida idea dell'humanitas del circolo scipionico che è stata e sarà
ripresa nei secoli dei secoli: in Devotions upon Emergent
Occasion di John Donne (1572
- 1631), per esempio, leggiamo:" Nessun
uomo è un'isola conclusa in sé; ogni uomo è una parte del Continente, una parte
del tutto. Se il mare spazza via una zolla, l'Europa ne è diminuita, come ne
fosse stato spazzato via un promontorio (…) la morte di qualsiasi uomo mi
diminuisce, perché io appartengo all'umanità, e quindi non mandare mai a
chiedere per chi suona la campana ("for whom the bell tolls "[3] );
suona per te.
"La
comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter,
un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso
con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione
è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di
inclusione"[4].
Insomma: ama il prossimo tuo perché è te stesso.
Bel pezzo Gianni.
RispondiEliminaPer rafforzare il tuo concetto aggiungerei che in Homo Sapiens l'identità, la costruzione del sé, avviene solo attraverso il "riconoscimento dell'altro".
Grazie. Ma perché non ti firmi? gianni
EliminaScusami Gianni.
EliminaSono Riccardo Corato, credevo che il mio nome apparisse da qualche parte.
Beh... almeno adesso dovremmo essere in contatto diretto anche via mail.
La mia è: riccardo.corato@gmail.com
Ancora complimenti per il tuo pezzo.
Buona serata e buon fine settimana.
Riccardo
PS: Mail inviata qualche giorno fa. Mi è venuto il dubbio che non l'avessi ricevuta e te l'ho rinviata come commento. Ciao.