Il prevalere
dell'utile nei rapporti umani a partire dal matrimonio che obbedisce alla
logica del mercato è una costante dei drammi di Ibsen:" in ogni caso la verità che viene estorta è
sempre la stessa: il non amore, il matrimonio senza affetto, le nozze come
mercato. Il teatro di Ibsen è un teatro che non ha storie d'amore, che non
conosce le passioni del cuore (…) E' così dominante siffatta pratica del
matrimonio di calcolo che anche le giovanissime assumono presto questa stessa
aria di cinismo. Nella Donna del mare Hilde è una adolescente
ma ragiona già in base al computo dei soldi. La sorella le chiede
all'improvviso se accetterebbe una eventuale proposta di matrimonio di
Lyngstrand, e Hilde è prontissima a ribattere:"Per carità! Non ha un
soldo. Non ha da vivere nemmeno per se solo"[18].
Dietro la sovrastruttura del matrimonio, della famiglia, dei
supposti buoni sentimenti, emerge a poco a poco la grande struttura della
società borghese ottocentesca, dominata dal denaro, dal lavoro, dall'ansia
della carriera, dall'affermazione sociale. Il teatro ibseniano mostra ed
evidenzia una tremenda crudeltà nei rapporti interpersonali. La durezza
psicologica dei personaggi è vistosa. In Casa di bambola Nora
parla di prendere in prestito del denaro, ma dichiara candidamente di non
interessarsi punto dei danni che possono derivare ai creditori. In un mondo in
cui le relazioni sono dominate dal denaro, dalla merce - denaro, anche i
rapporti umani diventano mercificati, anonimi"[19].
Cfr. Romano
Prodi nell’intervista all’Annunziata del 27 ottobre 2019
Abbiamo
detto che per Giasone il motivo del matrimonio è l’interesse economico e
sociale. La divinità unica, il denaro, non cambia nella società ottocentesca
descritta da Balzac:"E non rappresentava egli[20] il
solo dio moderno in cui si abbia fede, il Denaro in tutta la sua potenza,
espresso da una sola fisionomia?"[21].
Torniamo a Pasolini e
sentiamo un suo anatema contro la cultura pragmatica che è poi quella borghese:
“io per borghesia non intendo tanto una
classe sociale quanto una vera e propria malattia. Una malattia
molto contagiosa: tanto è vero che essa ha contagiato quasi tutti coloro che la
combattono: dagli operai settentrionali, agli operai immigrati dal Sud, ai
borghesi all’opposizione, ai “soli” (come son io). Il borghese - diciamolo spiritosamente – è un vampiro, che non sta in
pace finché non morde sul collo la sua vittima per il puro, semplice e naturale
gusto di vederla diventar pallida, triste, brutta, devitalizzata,
contorta, corrotta, inquieta, piena di senso di colpa, calcolatrice,
aggressiva, terroristica, come lui.” [22]
Nel primo
Stasimo il Coro lamenterà che "la fede negli dèi non è più ferma"
( Medea, vv. 412 - 413) e nel secondo Episodio Medea rinfaccerà
direttamente a Giasone di avere fatto sparire la fede nei giuramenti: "o{rkwn de;
frouvdh pivsti" " (v. 492). Due pegni morali e sacri vengono violati insieme.
Essere
fedele è predicato dei numi e dei loro nobili discendenti: "qew'n pisto;n
gevno" " (Pindaro, Nemea X , v. 54), fida è la stirpe degli
dèi.
La slealtà
al contrario è caratteristica dei malvagi e dei vili stigmatizzati
da Teognide:" ajllhvlou" d j ajpatw'sin ejp j ajllhvloisi
gelw'nte"" (Silloge,
v. 59) si ingannano a vicenda deridendosi a vicenda.
La
scomparsa della pivsti" è un segno decisivo dello sconvolgimento etico
di questo mondo dove i valori sono capovolti: nell'Oedipus di
Seneca il bene non c'è da nessuna parte e l'ordine è stato rovesciato: la
profetessa Manto, figlia di Tiresia, afferma:" Mutatus ordo est,
sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta” ( vv. 366 - 367) , è
mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
La
quintessenza del male è sempre il disordine e la confusione
Nella
Corinto di Giasone, vediamo un mondo antieroico, lo spettatore sulla scena:“ è
sufficiente dire che lo spettatore fu portato da Euripide sulla scena. Chi ha
riconosciuto il materiale con cui i poeti tragici prometeici anteriori a
Euripide plasmavano i loro eroi, e ha visto quanto era lungi da loro
l’intenzione di portare in scena la maschera fedele della realtà, sarà anche in
chiaro circa la tendenza totalmente differente di Euripide. Per opera sua
l’uomo della vita quotidiana si spinse, dalla parte riservata agli spettatori,
sulla scena; lo specchio, in cui prima venivano riflessi solo i tratti grandi e
arditi, mostrò ora quella meticolosa fedeltà che riproduce coscienziosamente
anche le linee non riuscite della natura. Odisseo, il tipico Greco dell’arte
antica, si abbassò ora tra le mani dei nuovi poeti nella figura del greculo,
che in seguito rimase al centro dell’interesse drammatico come schiavo
domestico bonario e scaltro”[23].
I
vecchi seduti sono degli sfaccendati che giocano a dadi. Il semnovn riferito all' u{dwr di Pirene (69) è solo un
epiteto esornativo che ricorda un tempo già tramontato, oppure è la spia del
dissenso di Euripide nei confronti di questo mondo insignificante dove i vecchi
giocano a scacchi facendo pettegolezzi e il pedagogo li spia, ouj dokw'n
kluvein (v.
67) senza avere l'aria di ascoltare.
Pedagogo
Chi non lo è
tra i mortali? Solo ora prendi coscienza di questo,
che ciascuno
ama se stesso più del prossimo? 86
<alcuni
magari a ragione, ma altri anche per lucro>,
se questi
bambini qui per un letto il padre non li ha cari?
Questo può corrispondere a quanto afferma Medea alla
fine quarto Episodio, quando ricorda e rinfaccia a Giasone la formidabile
potenza dell'oro, una forza più che divina: "peivqein dw'ra
kai; qeou;" lovgo": - cruso;" de; kreivsswn murivwn lovgwn brotoi''" "
(vv. 964 - 965), i doni, si dice, persuadono perfino gli dèi: l'oro è più forte
di infinite parole per i mortali. Il crusov" dunque supera l'eloquenza seduttiva del bellissimo Giasone come
lo qumov" è più forte (kreivsswn) dei propositi di Medea ( tw'n ejmw'n bouleumavtwn, v. 1079).
La parola kevvvrdo" è
emblematica dell'età dell'egoismo rappresentata senza simpatia da Euripide.
Medea
rifiuta questa forma di umanità e assume i connotati di una fiera.
Nell'Esodo
Giasone vedrà questa immagine apostrofando l'assassina con:"levainan[24], ouj gunai'ka, th'" Turshnivdo" - Skuvllh"
e[cousan ajgriwtevran fuvsin" (vv.1342 - 1343, leonessa, non donna, con l'indole più feroce della
Tirrenia Scilla[25].
La Sfinge, la tenebrosa creatura nata da un incesto, rappresentante del
Caos[26], è stata solo rimossa, non
superata moralmente: P. P. Pasolini nel suo film Edipo re fa
gridare alla Sfinge mentre il figlio di Laio la spinge in un burrone:"L'abisso
in cui mi spingi è dentro di te". Edipo infatti ha molto della sua Sfinge.
Nel film di Pasolini Chirone, ancora Centauro bimembre e mitico dice a
Giasone tredicenne: “Tutto è santo, tutto è santo, tutto è santo.
Non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tienilo bene in mente… Eh
sì, tutto è santo, ma la santità è insieme una maledizione.
Gli dei che amano - nel tempo stesso - odiano”[27]
Il mito fa parte della nostra vita, realmente: Pasolini nel film Medea fa
dire al Centauro il quale istruisce il piccolo Giasone che dovrà andare in
cerca del vello d’oro “in un paese lontano al di là del mare. Qui farai
esperienze di un mondo che è ben lontano dall’uso della nostra ragione, la sua
vita è molto realistica come vedrai perché solo chi è mitico è realistico e
solo chi è realistico è mitico”[28].
[25] Scilla è la satanessa primordiale che Omero descrive come un mostro
con sei teste e sei bocche, ognuna munita di tre file di denti con i quali
ghermisce sei compagni di Ulisse (Odissea , XII, vv. 85 e sgg.).
Per quanto riguarda la leonessa, nell'Agamennone di Eschilo
Cassandra individua in Clitennestra, la moglie adultera e assassina, la
mostruosità ibrida chiamandola "divpou" levaina" (v. 1258), bipede leonessa.
Ricordo che nella letteratura greca l'ibrido rimanda spesso al caos
primordiale
[26] Secondo Esiodo che usa la forma beotica Fivx
(Fi'k&(a) in Teogonia 326), costei era un mostro
femminile, nata da Orto e dalla luttuosa Echidna, e costituiva una rovina
esiziale per i Cadmei. Essa era dunque sorella del leone nemeo, e sorellastra
(oltre che figlia) di Orto, il cane bicefalo di Gerione, di Cerbero, il cane di
Ades dal ringhio metallico, dell'Idra di Lerna, consapevole solo di atroci
azioni, e della Chimera tricipite, spirante indomabile fiamma; nati tutti da
Echidna e Tifone. Un bel guazzabuglio di ibridi mostruosi. La Sfinge aveva
volto di donna, petto, zampe e coda di leone, e ali di uccello.
Nessun commento:
Posta un commento