Medea di Seneca al Colosseo |
Terzo atto 381 - 579
Nutrice Medea 381 - 430
p. 68 Il furor della donna offesa nel letto supera quello
degli elementi della natura scatenati: “sternam et evertam omnia” 414,
stenderò e rovescerò tutto. amor timere neminem verus potest (416).
L'incoercibile istinto erotico della donna. Ghismunda di Boccaccio (IV, 1 p. 69
del percorso) dice al padre Tancredi principe di Salerno : “esserti ti dové
manifesto essendo tu di carne aver generato figliola di carne e non di pietra o
ferro”).
Joyce e Weininger. La tempesta emotiva come quella degli elementi
naturali tende a negare l'individuazione :"mecum omnia abeant"
(v. 428, p. 70 del percorso), tutto venga in malora con me! Alla fine del Prometeo
incatenato il Titano vede il mondo confuso che rischia di regredire
nel caos: "xuntetavraktai d j aijqh;r
povntw/"(v.1088), sono sconvolti insieme il cielo e il mare".
Medea Giasone 431 - 559
Giasone invoca la sancta Iustitia (439 - 440). Il letto
per Medea è più importante dei figli. Il Giasone di Seneca non è un miserabile
come quello di Euripide, comunque Medea lo accusa di ingratitudine: ingratum
caput (v. 466) e di averla colonizzata: quascumque aperui tibi
vias, clausi mihi! (458). La donna deve andare in esilio e non sa
dove.
Colpevolezza e ignobiltà dell'ingratitudine: Senofonte: Ciropedia:
Euripide, Eracle: Sofocle: Aiace, Filottete, Teognide,
Shakespeare: Giulio Cesare, Tito Andronico ( p. 74
del percorso)
L'esilio di Medea secondo la donna è una poena, non
un munus come vorrebbe darle da intendere Giasone il quale si
fa un merito di avere sottratto la moglie all'ira del re: “poenam putabam:
munus ut video est fuga” ( 492). L'ira è il tratto distintivo del tiranno e
non ha niente di grande né di nobile. Il potere forte non subisce controlli.
Medea rinfaccia a Giasone di essere il mandante dei delitti da lei compiuti:
:"cui prodest scelus is fecit" vv. 501 - 502), quasi un
principio giuridico.
Quindi la donna rifiuta la maternità di bambini che, discendenti dal
Sole, diventerebbero fratelli dei nipoti di Sisifo. Giasone teme due re, quello
di Corinto, Creonte, e quello di Iolco, Acasto.
Medea però afferma di essere più forte di loro: “Est et his
maior metus:/ Medea (vv. 516
- 517): si sente più forte della Fortuna: :"Fortuna semper omnis infra me stetit " (v. 520), ogni tipo di sorte è sempre stata
al di sotto di me. Medea ha in comune con Achille il non cedere eroico, e con
Aiace l’orrore della derisione.
Quindi decide di colpire Giasone nel punto debole che ha scoperto:
“ Sic natos amat? /bene est, tenetur, vulneri patuit locus (550):
ama i figli dice la donna tra sé, è aperto e si vede lo spazio per la ferita
Per questo finge sottomissione. Giasone approva per il proprio
utile.
Medea da sola 560 - 578
Poi l'uomo si allontana e Medea palesa i suoi intenti e il suo
stato d'animo: "Fructus est scelerum tibi/nullum scelus
putare" (vv. 563 - 564, frutto dei delitti e non
considerare nulla un delitto).
Ella colpirà i nemici con doni letali: un mantello, una collana e
una corona d'oro. L’oro letale.
Maledizioni dell'oro. Ovidio nelle Metamorfosi (I, 141)
sostiene che l'oro è più funesto del ferro. La brama del metallo prezioso
infatti scatena la guerra e inaugura l'era della compiuta peccaminosità, come,
negli ultimi tempi, il petrolio. La Medea di Christa Wolf è protettiva verso la
nuova moglie di Giasone.
Medea invoca Ecate, la vindice delle donne abbandonate: Simeta di Le
incantatrici di Teocrito, Didone.
Il terzo coro in strofe saffiche (580 - 670).
Il furor di Medea e il castigo. La rabbia di una moglie
abbandonata è devastante più di quella dei grandi fiumi usciti dagli argini. La
madre furente. La donna offesa da un uomo adulto può diventare una belva con i
bambini: Medea, Idotea[13] in Sofocle, Procne in Ovidio.
Il terzo coro chiede venia per Giasone, ma Nettuno è furioso perché sono
stati spezzati i sacrosanti vincoli del mondo.
Il consiglio è: "vade, quā tutum populo priori;/rumpe nec sacro,
violente, sancta/foedera mundi! " (vv. 605 - 607), procedi per dove il cammino è stato sicuro
alla gente di prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del
mondo.
"Se… l' aijtiva e l' ai[tion della vicenda euripidea è la rottura, da parte di
Giasone, del foedus con la sposa, in Seneca l' aijtiva è la rottura non
del foedus con Medea (cosa di cui non è responsabile e che
comunque è fatto recentior ) ma dei foedera
mundi " [14].
Infatti i profanatori del mare sono
morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti
hanno prima devastato i boschi del Pelio: chi ha costruito la nave “Pelion
densā spoliavit umbrā". Motivo ecologico.
Poi hanno solcato il pelago per impossessarsi dell'oro, ma : exigit
poenas mare provocatum (v. 617) p. 91. L'exitus dirus la
morte orribile (cfr. v. 615) è l'espiazione della rottura dei sacrosancta
foedera mundi.
Il coro chiede agli dèi di graziare Giasone che è partito iussus (v.
670). E' la mancanza di entusiasmo per l'impresa, l' ajmhcaniva delle Argonautiche.
Quarto atto. 670 - 867
Monologo della nutrice 670 - 739
I preparativi della madre furente che medita un maius
monstrum (v. 676) spaventano la nutrice.
La sposa tradita con una ragazza più giovane e bella diventa la belva
peggiore: "nulla non melior fera est" afferma,
nell' Hercules Oetaeus (vv. 233 sgg.), la nutrice di Deianira
che ha visto Iole risplendere qualis innubis dies . La moglie
di Ercole accusa il tempo che passa e i parti quali cause della decadenza
della forma: "Quidquid in nobis fuit/olim petītum, cecidit
et partu labat (vv. 388 - 389), tutto quello che una volta in noi era
desiderato, è caduto e con il parto vacilla. p. 94 del percorso
E' questo secondo motivo che porta la madre a odiare i figli? Si pensi al
caso di Cogne e a quello più recente di Ragusa.
Nell’Elettra di Sofocle, Clitennestra ricorda che Agamennone
sacrificò Ifigenia dopo averla seminata e senza avere sofferto i travagli del
parto (532 - 533). Cfr. la Medea di Euripide ai vv. 248 - 251. Nell’Ifigenia in
Aulide la corifea dice deino;n to; tivktein kai;
fevrei fivltron mevga ( comporta una grande magia, 917)
Nelle Fenicie di Euripide la corifea commenta la pena di
Giocasta dicendo che è deino;n per
le donne il parto con le doglie e tutta la razza femminile è amante dei figli
(355 - 356)
Intanto Medea, racconta la nutrice, chiede i veleni al cielo poiché
quelli terreni non le bastano: coelo petam venena (v. 694). In
Medea c'è, come in Oedipus e in Otello il
darsi animo:"Iam iam tempus est/aliquid movere fraude vulgari altius " (vv. 693 - 694), oramai
è già tempo di scuotere qualche cosa di più alto che un artificio volgare.
Quindi la maga ammucchia le erbe più velenose per farne un impasto
letale. La scelerum artifex (734) mescola alle
erbe mortali, bava di serpenti e pezzi di uccelli di cattivo augurio: "Mortifera carpit gramina ac serpentium/saniem
exprĭmit miscetque et obscenas aves/maestique cor bubonis et raucae
strigis/exsecta vivae viscera (…) Addit venenis verba non illis minus/
metuenda. Sonuit ecce vesano gradu/canitque. Mundus vocibus primis tremit "
( Medea, vv. 731 - 734 e 737 - 739), sminuzza le erbe micidiali e
spreme la bava dei serpenti e mescola anche uccelli di cattivo augurio, il
cuore di un lugubre gufo e le viscere strappate da stridula strige ancora viva
(…) Ai veleni aggiunge parole non meno tremende di quelle. Eccola che ha fatto
risuonare il suo passo furioso e canta. Il mondo trema solo a udirne la
voce.
"In
verità è difficile leggere il resoconto dei preparativi di Medea (670 - 739)
senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth "[15].
"In
verità è difficile leggere il resoconto dei preparativi di Medea (670 - 739)
senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth "[16].
Si tratta
della prima scena del quarto atto. Le streghe mettono vari ingredienti in una
caldaia bollente. Vediamone alcuni: filetto di una biscia di pantano (Fillet
of a fenny snake), pelo di pipistrello e lingua di cane (wool
of bat, and tongue of dog), zampa di lucertola e ala d’allocco (lizard’s
leg, and howlet’s wing), fegato di giudeo bestemmiatore (liver of
blaspheming jew), dita di un bambino strangolato al suo nascere, appena
messo al mondo in una fossa da una sgualdrina (finger of birth - strangled
babe - ditch - delivered by a drab), viscere di una tigre (a
tiger’s chaudron), tutto da raffreddare con il sangue di un babbuino (with
a baboon’s blood).
Il tragico e
il macabro qui confinano con il comico.
Gusto
per l’orribile che anticipa un aspetto del decadentismo. Si pensi a Il
trionfo della morte di D’Annunzio (1894). Binni (La poetica del
decadentismo) afferma che D’Annunzio vuole suscitare sensazioni attraverso
le parole.
"Il testo senecano è in qualche modo autosufficiente, perché la parola
è il centro dello spettacolo, anzi la parola è essa stessa spettacolo"[17].
Secondo Nietzsche la
parola nella decadenza letteraria diviene autonoma perfino dalla frase: "La
vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto
fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina
prende vita a spese del tutto, - il tutto non è più tutto"[18].
Vediamo allora qualche parola di D’Annunzio che
descrive “un tragico viluppo di ossessi” ( Il trionfo della Morte,
libro IV cap. VII, p. 287), una moltitudine che “tumultuava intorno al
Santuario” (p. 290). Un accattone “agitava rabbiosamente una mano ritorta come
una radice, per cacciare le mosche che lo assalivano a nugoli” (p. 292). “Uno
dalle mani mozze agitava i moncherini sanguigni come se la troncatura fosse
ancor fresca o mal cicatrizzata” “Un altro, per una crescenza del labbro,
pareva tenesse fra i denti un brano di fegato crudo” (p. 294). “Vi si vedevano
femmine seminude, sfiancate come cagne dopo il parto, e fanciulli verdi come
ramarri, macilenti, con gli occhi rapaci…Ciascuna comunità aveva il suo mostro:
un monco, uno storpio, un gobbo, un cieco, un epilettico, un lebbroso. Ciascuno
aveva in patrimonio la sua ulcera da coltivare perché rendesse” (p. 296). “Un
cieco, in ginocchio, con le palme rivolte al cielo, nell’attitudine di un
estatico, aveva sotto una vasta fronte calva due piccoli fòri sanguinosi” (p.
297).
Medea 741 - 851
Medea torna in scena e rinnova la preghiera nera alle forze del male:
il Chaos coecum , i criminali del Tartaro, Ecate pessimos induta
vultus (752) Il mondo deve cadere nella confusione: pariterque
mundus lege confusa aetheris/et solem et astra vidit (vv. 757 - 758), e il mondo, confusa ogni legge del firmamento, ha visto
contemporaneamente il sole e le stelle.
La confusione dell' incesto di Edipo è stata portata a livello cosmico:
di nuovo Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro
cuncta ( Oedipus, vv. 366 - 367), è mutato l'ordine
naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Cfr. Timone d'Atene: "All's obliquy;/there's nothing
level in our cursed natures/but direct villainy" (IV, 3), tutto è
distorto; nulla è in sesto nella nostra natura maledetta, se non la diretta
scelleratezza.
Medea, al pari di Erichto della Pharsalia di
Luvano è congiurata con il Caos "innumeros avidum
confundere mundos" (VI 696), avido di confondere innumerevoli mondi. La
confusione è il male universale voluto dai malvagi.
Cfr. Paflagone nelle Rane e Cicikov nelle Anime
morte di Gogol.
CONTINUA
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[14] G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile
'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981, p. 440
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