NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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venerdì 8 novembre 2019

La Medea di Seneca. Parte seconda

Medea di Seneca al Colosseo

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Terzo atto 381 - 579

Nutrice Medea 381 - 430
p. 68 Il furor della donna offesa nel letto supera quello degli elementi della natura scatenati: “sternam et evertam omnia” 414, stenderò e rovescerò tutto. amor timere neminem verus potest (416). L'incoercibile istinto erotico della donna. Ghismunda di Boccaccio (IV, 1 p. 69 del percorso) dice al padre Tancredi principe di Salerno : “esserti ti dové manifesto essendo tu di carne aver generato figliola di carne e non di pietra o ferro”).
 Joyce e Weininger. La tempesta emotiva come quella degli elementi naturali tende a negare l'individuazione :"mecum omnia abeant" (v. 428, p. 70 del percorso), tutto venga in malora con me! Alla fine del Prometeo incatenato il Titano vede il mondo confuso che rischia di regredire nel caos: "xuntetavraktai d j aijqh;r povntw/"(v.1088), sono sconvolti insieme il cielo e il mare".

Medea Giasone 431 - 559
Giasone invoca la sancta Iustitia (439 - 440). Il letto per Medea è più importante dei figli. Il Giasone di Seneca non è un miserabile come quello di Euripide, comunque Medea lo accusa di ingratitudine: ingratum caput (v. 466) e di averla colonizzata: quascumque aperui tibi vias, clausi mihi! (458). La donna deve andare in esilio e non sa dove.
Colpevolezza e ignobiltà dell'ingratitudine: Senofonte: Ciropedia: Euripide, Eracle: Sofocle: Aiace, Filottete, Teognide, Shakespeare: Giulio CesareTito Andronico ( p. 74 del percorso)
 L'esilio di Medea secondo la donna è una poena, non un munus come vorrebbe darle da intendere Giasone il quale si fa un merito di avere sottratto la moglie all'ira del re: “poenam putabam: munus ut video est fuga” ( 492). L'ira è il tratto distintivo del tiranno e non ha niente di grande né di nobile. Il potere forte non subisce controlli. Medea rinfaccia a Giasone di essere il mandante dei delitti da lei compiuti: :"cui prodest scelus is fecit" vv. 501 - 502), quasi un principio giuridico.
Quindi la donna rifiuta la maternità di bambini che, discendenti dal Sole, diventerebbero fratelli dei nipoti di Sisifo. Giasone teme due re, quello di Corinto, Creonte, e quello di Iolco, Acasto.
 Medea però afferma di essere più forte di loro: “Est et his maior metus:/ Medea (vv. 516 - 517): si sente più forte della Fortuna: :"Fortuna semper omnis infra me stetit " (v. 520), ogni tipo di sorte è sempre stata al di sotto di me. Medea ha in comune con Achille il non cedere eroico, e con Aiace l’orrore della derisione.
Quindi decide di colpire Giasone nel punto debole che ha scoperto: “ Sic natos amat? /bene est, tenetur, vulneri patuit locus (550): ama i figli dice la donna tra sé, è aperto e si vede lo spazio per la ferita
 Per questo finge sottomissione. Giasone approva per il proprio utile.

Medea da sola 560 - 578
 Poi l'uomo si allontana e Medea palesa i suoi intenti e il suo stato d'animo: "Fructus est scelerum tibi/nullum scelus putare" (vv. 563 - 564, frutto dei delitti e non considerare nulla un delitto).
 Ella colpirà i nemici con doni letali: un mantello, una collana e una corona d'oro. L’oro letale.
Maledizioni dell'oro. Ovidio nelle Metamorfosi (I, 141) sostiene che l'oro è più funesto del ferro. La brama del metallo prezioso infatti scatena la guerra e inaugura l'era della compiuta peccaminosità, come, negli ultimi tempi, il petrolio. La Medea di Christa Wolf è protettiva verso la nuova moglie di Giasone.
Medea invoca Ecate, la vindice delle donne abbandonate: Simeta di Le incantatrici di Teocrito, Didone.

 Il terzo coro in strofe saffiche (580 - 670).
Il furor di Medea e il castigo. La rabbia di una moglie abbandonata è devastante più di quella dei grandi fiumi usciti dagli argini. La madre furente. La donna offesa da un uomo adulto può diventare una belva con i bambini: Medea, Idotea[13] in Sofocle, Procne in Ovidio.
Il terzo coro chiede venia per Giasone, ma Nettuno è furioso perché sono stati spezzati i sacrosanti vincoli del mondo.
Il consiglio è: "vade, quā tutum populo priori;/rumpe nec sacro, violente, sancta/foedera mundi! " (vv. 605 - 607), procedi per dove il cammino è stato sicuro alla gente di prima; e non spezzare con violenza le sacrosante regole del mondo.
"Se… l' aijtiva e l' ai[tion della vicenda euripidea è la rottura, da parte di Giasone, del foedus con la sposa, in Seneca l' aijtiva è la rottura non del foedus con Medea (cosa di cui non è responsabile e che comunque è fatto recentior ) ma dei foedera mundi " [14].
Infatti i profanatori del mare sono morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima devastato i boschi del Pelio: chi ha costruito la nave “Pelion densā spoliavit umbrā". Motivo ecologico.
Poi hanno solcato il pelago per impossessarsi dell'oro, ma : exigit poenas mare provocatum (v. 617) p. 91. L'exitus dirus la morte orribile (cfr. v. 615) è l'espiazione della rottura dei sacrosancta foedera mundi.
Il coro chiede agli dèi di graziare Giasone che è partito iussus (v. 670). E' la mancanza di entusiasmo per l'impresa, l' ajmhcaniva delle Argonautiche.

Quarto atto. 670 - 867
Monologo della nutrice 670 - 739
I preparativi della madre furente che medita un maius monstrum (v. 676) spaventano la nutrice.

La sposa tradita con una ragazza più giovane e bella diventa la belva peggiore: "nulla non melior fera est" afferma, nell' Hercules Oetaeus (vv. 233 sgg.), la nutrice di Deianira che ha visto Iole risplendere qualis innubis dies . La moglie di Ercole accusa il tempo che passa e i parti quali cause della decadenza della forma: "Quidquid in nobis fuit/olim petītum, cecidit et partu labat (vv. 388 - 389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla. p. 94 del percorso
E' questo secondo motivo che porta la madre a odiare i figli? Si pensi al caso di Cogne e a quello più recente di Ragusa.
Nell’Elettra di Sofocle, Clitennestra ricorda che Agamennone sacrificò Ifigenia dopo averla seminata e senza avere sofferto i travagli del parto (532 - 533). Cfr. la Medea di Euripide ai vv. 248 - 251. Nell’Ifigenia in Aulide la corifea dice deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga ( comporta una grande magia, 917)
Nelle Fenicie di Euripide la corifea commenta la pena di Giocasta dicendo che è deino;n per le donne il parto con le doglie e tutta la razza femminile è amante dei figli (355 - 356)

Intanto Medea, racconta la nutrice, chiede i veleni al cielo poiché quelli terreni non le bastano: coelo petam venena (v. 694). In Medea c'è, come in Oedipus e in Otello il darsi animo:"Iam iam tempus est/aliquid movere fraude vulgari altius " (vv. 693 - 694), oramai è già tempo di scuotere qualche cosa di più alto che un artificio volgare.
Quindi la maga ammucchia le erbe più velenose per farne un impasto letale. La scelerum artifex (734) mescola alle erbe mortali, bava di serpenti e pezzi di uccelli di cattivo augurio: "Mortifera carpit gramina ac serpentium/saniem exprĭmit miscetque et obscenas aves/maestique cor bubonis et raucae strigis/exsecta vivae viscera (…) Addit venenis verba non illis minus/ metuenda. Sonuit ecce vesano gradu/canitque. Mundus vocibus primis tremit " ( Medea, vv. 731 - 734 e 737 - 739), sminuzza le erbe micidiali e spreme la bava dei serpenti e mescola anche uccelli di cattivo augurio, il cuore di un lugubre gufo e le viscere strappate da stridula strige ancora viva (…) Ai veleni aggiunge parole non meno tremende di quelle. Eccola che ha fatto risuonare il suo passo furioso e canta. Il mondo trema solo a udirne la voce. 
 Cfr. le streghe del Macbeth.

"In verità è difficile leggere il resoconto dei preparativi di Medea (670 - 739) senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth "[15].
"In verità è difficile leggere il resoconto dei preparativi di Medea (670 - 739) senza riandare con la mente agli incantesimi del Macbeth "[16].
Si tratta della prima scena del quarto atto. Le streghe mettono vari ingredienti in una caldaia bollente. Vediamone alcuni: filetto di una biscia di pantano (Fillet of a fenny snake), pelo di pipistrello e lingua di cane (wool of bat, and tongue of dog), zampa di lucertola e ala d’allocco (lizard’s leg, and howlet’s wing), fegato di giudeo bestemmiatore (liver of blaspheming jew), dita di un bambino strangolato al suo nascere, appena messo al mondo in una fossa da una sgualdrina (finger of birth - strangled babe - ditch - delivered by a drab), viscere di una tigre (a tiger’s chaudron), tutto da raffreddare con il sangue di un babbuino (with a baboon’s blood).
Il tragico e il macabro qui confinano con il comico.
 Gusto per l’orribile che anticipa un aspetto del decadentismo. Si pensi a Il trionfo della morte di D’Annunzio (1894). Binni (La poetica del decadentismo) afferma che D’Annunzio vuole suscitare sensazioni attraverso le parole.
"Il testo senecano è in qualche modo autosufficiente, perché la parola è il centro dello spettacolo, anzi la parola è essa stessa spettacolo"[17].
Secondo Nietzsche la parola nella decadenza letteraria diviene autonoma perfino dalla frase: "La vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto, - il tutto non è più tutto"[18].
Vediamo allora qualche parola di D’Annunzio che descrive “un tragico viluppo di ossessi” ( Il trionfo della Morte, libro IV cap. VII, p. 287), una moltitudine che “tumultuava intorno al Santuario” (p. 290). Un accattone “agitava rabbiosamente una mano ritorta come una radice, per cacciare le mosche che lo assalivano a nugoli” (p. 292). “Uno dalle mani mozze agitava i moncherini sanguigni come se la troncatura fosse ancor fresca o mal cicatrizzata” “Un altro, per una crescenza del labbro, pareva tenesse fra i denti un brano di fegato crudo” (p. 294). “Vi si vedevano femmine seminude, sfiancate come cagne dopo il parto, e fanciulli verdi come ramarri, macilenti, con gli occhi rapaci…Ciascuna comunità aveva il suo mostro: un monco, uno storpio, un gobbo, un cieco, un epilettico, un lebbroso. Ciascuno aveva in patrimonio la sua ulcera da coltivare perché rendesse” (p. 296). “Un cieco, in ginocchio, con le palme rivolte al cielo, nell’attitudine di un estatico, aveva sotto una vasta fronte calva due piccoli fòri sanguinosi” (p. 297).

Medea 741 - 851
Medea torna in scena e rinnova la preghiera nera alle forze del male: il Chaos coecum , i criminali del Tartaro, Ecate pessimos induta vultus (752) Il mondo deve cadere nella confusione: pariterque mundus lege confusa aetheris/et solem et astra vidit (vv. 757 - 758), e il mondo, confusa ogni legge del firmamento, ha visto contemporaneamente il sole e le stelle.
La confusione dell' incesto di Edipo è stata portata a livello cosmico: di nuovo Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta Oedipus, vv. 366 - 367), è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito.
Cfr. Timone d'Atene: "All's obliquy;/there's nothing level in our cursed natures/but direct villainy" (IV, 3), tutto è distorto; nulla è in sesto nella nostra natura maledetta, se non la diretta scelleratezza.
 Medea, al pari di Erichto della Pharsalia di Luvano è congiurata con il Caos "innumeros avidum confundere mundos" (VI 696), avido di confondere innumerevoli mondi. La confusione è il male universale voluto dai malvagi.
Cfr. Paflagone nelle Rane e Cicikov nelle Anime morte di Gogol.



CONTINUA

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[13] Accecò per gelosia Ornito e Crambi figli di Cleopatra e di Fineo.
[14] G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile 'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981, p. 440
[15] Bradley, op. cit., p. 418.
[16] Bradley, op. cit., p. 418.
[17] D. Lanza D. Lanza, Lo spettacolo della parola, "Dioniso", 52, p. 465.
[18] F. Nietzsche, Il caso Wagner, p. 19.

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