William Blake, Hecate |
Ecate, la dea infernale prediletta da Medea, compare anche tra le
streghe del Macbeth quale signora dei loro incantesimi
p. 98 del percorso Ecate si rivolge alle streghe (the weird women, the weird
sisters, le donne, le sorelle fatali) rimproverandole di non averla
consultata, dato il suo ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the
close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the
glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri
incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata
chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?
La maga ferisce se stessa per prefigurare l'assassinio dei propri figli. Si
taglia la carne delle braccia e versa il sangue: “manet noster sanguis ad
aras” (v. 807), scorra il nostro sangue sugli altyari!
Il veleno della veste e il fuoco prometeico dei monili. La
sfrontata Hecate accoglie la preghiera con tre latrati:"ter
latratus/audax Hecate dedit" (vv. 843 - 844). Quindi Medea invia con i
doni funesti i figli, nati da madre maledetta: :"Ite, ite, nati, matris
infaustae genus " (v. 845) p. 99 percorso
La parola "madre" si capovolge: da rassicurante diviene
la più inquietante. Le Coefore di Eschilo e il Faust di
Goethe. Joyce[19], Shakespeare, Seneca, e l'annientamento dei
rapporti familiari. Noverca è la Fedra di
Seneca, e pure Livia, l'ultima moglie di Augusto.
Il coro (852 - 867)
deplora l'ira di Medea il cui volto si trascolora (vv. 856 - 859), come
la fiamma - arcobaleno nell'Oedipus (vv. 314 sgg.). Ira e amore
hanno sconvolto l'anima di Medea.
Cfr. la dira cuppedo del De rerum natura con
la voluptas admixta dolore (IV, 1084 - 1090) mescolata di
dolore p. 101 percorso
Quinto atto (880 - 1027).
Il Nunzio, il Coro, la Nutrice, Medea
Sono stati presi dalla consueta frode "qua solent reges capi:
donis" (v. 870, risponde il Nunzio al coro che aveva domandato quā
fraude capti?). p. 103 percorso
Come Policrate di Samo che venne attirato in un tranello da Orete satrapo
di Sardi: iJmeivreto ga;r crhmavtwn
megavlw" ( Erodoto III, 123).
Euripide attribuisce l'errore piuttosto alla vanità femminile di Creusa
la quale provava ribrezzo per i figli di Medea ma vedendo i doni non si
trattenne : wJ" ejsei'de kovsmon,
oujk hjnevsceto, Medea, v. 1156.
Medea non vuole fuggire ma assistere a nozze inaudite: nuptias specto
novas! (v. 883).
Cfr. Le incognitae libidines di Messalina: iam
facilitate adulteriorum in fastidium versa, ad incognitas libidines profluebat ( Annales,
XI, 26) p. 105 percorso.
Medea vuole abolire ogni fas e pudor.
I delitti compiuti fino a quel momento sono stati atti di pietas in
confronto alle azioni che Medea sta per compiere:"quidquid admissum est
adhuc pietas vocetur! " (v.905). Medea raggiunge la
pienezza della propria identità attraverso i delitti: Medea nunc sum;
crevit ingenium malis (v. 910).
Deianira nell' Hercules Oetaeus la prende come modello
per superarla. Cfr. gevnoio oi|oς ejssiv di Pindaro (Pitica II, 72)
Medea si vanta di essere una professionista del crimine:"Ad omne
facinus non rudem dextram affĕres "( v.915) ad ogni
delitto spingerai una destra non inesperta, dice a
se stessa.
La mano dell'assassino: le Coefore, la Fedra e l'Hercules furens di
Seneca, il Macbeth. Pp. 107 - 108 del percorso
Il Giasone di Euripide che fa quanto ritiene più conveniente (Medea v.
876: dra'/ ta; sumforwvtata) è
confrontabile con i personaggi di Ibsen che obbediscono alla logica del mercato
secondo Alonge. Nella Donna del mare Hilde è una adolescente
ma ragiona già in base al computo dei soldi. La sorella le chiede
all'improvviso se accetterebbe una eventuale proposta di matrimonio di
Lyngstrand, e Hilde è prontissima a ribattere:"Per carità! Non ha un
soldo. Non ha da vivere nemmeno per se solo"[20].
Il contrappasso
In ogni caso: quod quisque fecit patitur auctorem scelus/repetit ( Hercules furens, (vv. 735 - 736) ciò che
ciascuno ha fatto lo patisce: il delitto ricade sull'autore E' Teseo che parla.
Questi versi contengono la
legge del contrappasso espressa anche da Esiodo e da Eschilo.
Nelle Opere leggiamo :" a se stesso apparecchia il
male l'uomo che lo prepara per un altro oi| g&
aujtw'/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn" (v.265),
e il pensiero cattivo è pessimo per chi l'ha pensato.
Nel doloroso canto (Commòs ) che precede l'epilogo dell'Agamennone
di Eschilo il Coro dice queste parole:"paga chi uccide (ejktivnei d j
oJ kaivnwn)./Rimane
saldo, finché Zeus rimane nel trono/che chi ha fatto subisca: infatti è legge divina"( mivmnei de;
mivmnonto~ jen qrovnw/ Diov~ - paqei`n
to;n e[rxanta: qevsmion gavr”, vv. 1562 - 1565).
Tommaso d’Aquino: “ut secundum quod aliquid fecit patiatur” (S.
Theol. II, II, 61, 4)
Nell’Inferno di Dante (cerchio VIII, nona bolgia) Bertram del
Bornio (XII secolo) è punito con Maometto tra i seminatori di discordia. Ha
spinto il figlio (Enrico III d’Inghilterra) a odiare il padre (Enrico II) e
regge con una mano la testa staccata dal busto: “Così osserva in me lo
contrappasso” (Inferno, XXVIII, 142).
La reputazione p. 111 percorso. Le due vie della rinomanza: quella di
Medea, violenta con i nemici (Medea di Euripide: barei'an ejcqroi'", 807) e quella di Alcesti, ottima sposa: gunh; t j ajrivsth tw'n uJf j hJlivw/, makrw'/ ( Alcesti,
v. 151), la migliore sotto la luce del sole, di gran lunga.
La Fama (p. 112) dea foeda nella Civiltà di
vergogna. Nella Civiltà di vergogna (Dodds I greci e l’irrazuionale)
il bene supremo sta nel possesso della timhv, della
pubblica stima.
Socrate nel Critone e il dottor Stockmann di Un
nemico del popolo di Ibsen non si curano dell'opinione dei più.
Medea non gode di buona fama: nell'Epodo 16 di Orazio è l'impudica Colchis.
P. 113 percorso
p. 115 del percorso Medea è combattuta (cor fluctuatur, v.
932 con metafora marina) ma la parte emotiva prevale su quella razionale.
Il dolor l'odium e l'ira prevalgono,
la pietas soccombe: ira, quā ducis sequor, v. 942.
Vorrebbe essere la Tantalide Niobe per avere 14 figli e ammazzarli tutti.
Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - oJvsper megivstwn
ai[tio" kakw'n brotoi'"" ( vv. 1078 - 1080),
capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è
la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali", dice la Medea
di Euripide nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere
i figli.
p. 116 Appare la turba Furiarum impotens (v. 947), la
folla scatenata delle Furie. Poi l'ombra del fratello chiede vendetta, e Medea
risponde ammazzando il primo figlio: victima manes tuos placamus ista (v.
960). P. 117 percorso
Medea sente un fragore e sale sul tetto del palazzo.
Quindi arriva Giasone (v. 967), e la madre assassina dice di avere
recuperato il regno e la verginità: rediēre regna! rapta virginitas
redit! (v. 973). Poi la donna pregusta una voluptas magna:
il marito si è aggiunto quale spectator : deerat hoc
unum mihi/, spectator iste (vv. 981 - 982 cfr. la vita come teatro).
Giasone, che prima non ha avuto la dignità prometeica di rivendicare la sua
scelta, soltanto ora, per salvare un figlio, supplica la donna abbandonata
dichiarandosi colpevole lui solo: si quod est crimen, meum est (v.
993). Medea affonda le armi nella ferita dell'uomo. Se c'è ancora qualche
residuo di figlio in me, afferma "scrutabor ense viscera, et ferro
extraham" (v. 1002).
Cfr. l’urlo isterico di Lady Macbeth, I, 7: ho dato il latte
ma se avessi giurato come te, avrei fatto schizzare viail cervello al bambino
dopo avere strappato il capezzolo dalle gengive.
Quindi Medea uccide il secondo bambino, ma adagio, per accrescere il
dolore di Giasone: perfruere lento scelere; ne propĕra, dolor! (1005).
Ora la missione è compiuta: bene est: peractum est (v. 1008). Medea
è diventata quello che è: coniugem agnoscis tuam? (1010).
Il suum esse del De brevitate vitae[21] è
rivendicato da Medea in tutta la tragedia:" In questa rapina rerum
omnium (Marc . 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica
l'instabilità della condizione politica, resta come unico punto fermo, come
unico bene inalienabile il possesso della propria anima" afferma Traina[22].
Poi Medea sparisce su un carro sollevato da draghi alati.
Sentiamo le
sue ultime parole: "Misereri
iubes./ Bene
est: peractum est. Plura non habui, dolor,/quae tibi litarem. Lumina huc
tumida adleva,/ingrate Iason! Coniugem agnoscis tuam?/Sic fugere soleo. Patuit
in coelum via:/squamosa gemini colla serpentes iugo/summissa praebent. Recipe
iam gnatos, parens;/Ego inter auras aliti curru vehar" (vv. 1018 - 1025), mi chiedi di
avere pietà. Va bene: la missione è compiuta. Non avevo altre vittime da
sacrificarti, tormento. Solleva qua gli occhi gonfi, ingrato Giasone. Riconosci
tua moglie? Di solito fuggo così: La via è aperta verso il cielo: due draghi
sottomettono i colli squamosi al giogo. Ora riprenditi i figli, padre; io andrò
per l'aria con il carro alato.
Il padre privato dei figli chiude la tragedia gridando
all'assassina di attestare che per dove passa non esistono gli dèi:" per
alta vade spatia sublimi aetheris,/ testare, nullos esse, qua veheris, Deos" (v.1026 - 1027), va' per gli alti dell'etere sconfinato, attesta che
dove tu passi non ci sono gli dèi.
"E'
l'antiapoteosi finale"[23].
La Fedra di Seneca riprende dall'Ippolito di Euripide la
coscienza della dicotomia tra il sapere e il fare: "Quae memoras,
scio/vera esse, nutrix; sed furor cogit sequi peiora. Vadit animus in praeceps
sciens,/remeatque frustra sana consilia adpetens" (vv. 178 - 181), so
che quanto mi rammenti è vero, nutrice; ma il furore mi costringe a seguire il
peggio. Il mio animo si avvia al precipizio e lo sa, poi torna a cercare invano
sani propositi.
Il furor è
più forte della ratio, è un dio: Quid ratio possit? Vicit ac
regnat furor” (Fedra, 184)
giovanni ghiselli Bologna 23 ottobre 2018
[21] "Ille illius cultor est, hic illius: suus nemo
est ", 2, 4, quello è dedito al culto di quello, questo di
quello, nessuno appartiene a se stesso.
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