NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 19 novembre 2019

La Medea di Seneca. Parte terza

William Blake, Hecate

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Ecate, la dea infernale prediletta da Medea, compare anche tra le streghe del Macbeth quale signora dei loro incantesimi
p. 98 del percorso Ecate si rivolge alle streghe (the weird womenthe weird sisters, le donne, le sorelle fatali) rimproverandole di non averla consultata, dato il suo ruolo:"And I, the mistress of your charms,/the close contriver of all harms,/was never called to bear my part,/or show the glory of our art?" (III, 5), e io, la signora dei vostri incantesimi, la segreta progettatrice di tutti i mali, non sono mai stata chiamata a fare la mia parte, o a mostrare la gloria dell'arte nostra?

La maga ferisce se stessa per prefigurare l'assassinio dei propri figli. Si taglia la carne delle braccia e versa il sangue: “manet noster sanguis ad aras” (v. 807), scorra il nostro sangue sugli altyari!
 Il veleno della veste e il fuoco prometeico dei monili. La sfrontata Hecate accoglie la preghiera con tre latrati:"ter latratus/audax Hecate dedit" (vv. 843 - 844). Quindi Medea invia con i doni funesti i figli, nati da madre maledetta: :"Ite, ite, nati, matris infaustae genus " (v. 845) p. 99 percorso
 La parola "madre" si capovolge: da rassicurante diviene la più inquietante. Le Coefore di Eschilo e il Faust di Goethe. Joyce[19], Shakespeare, Seneca, e l'annientamento dei rapporti familiari. Noverca è la Fedra di Seneca, e pure Livia, l'ultima moglie di Augusto.

Il coro (852 - 867)
deplora l'ira di Medea il cui volto si trascolora (vv. 856 - 859), come la fiamma - arcobaleno nell'Oedipus (vv. 314 sgg.). Ira e amore hanno sconvolto l'anima di Medea.
Cfr. la dira cuppedo del De rerum natura con la voluptas admixta dolore (IV, 1084 - 1090) mescolata di dolore p. 101 percorso

Quinto atto (880 - 1027).
Il Nunzio, il Coro, la Nutrice, Medea
 La morte del re e della figlia: "Gnata atque genitor cinere permixto iacent". (v. 869). ). Il crimine come la peste sconcia le persone e confonde le identità.
Sono stati presi dalla consueta frode "qua solent reges capi: donis" (v. 870, risponde il Nunzio al coro che aveva domandato quā fraude capti?). p. 103 percorso
Come Policrate di Samo che venne attirato in un tranello da Orete satrapo di Sardi: iJmeivreto ga;r crhmavtwn megavlw" ( Erodoto III, 123).
Euripide attribuisce l'errore piuttosto alla vanità femminile di Creusa la quale provava ribrezzo per i figli di Medea ma vedendo i doni non si trattenne : wJ" ejsei'de kovsmon, oujk hjnevscetoMedea, v. 1156.
Medea non vuole fuggire ma assistere a nozze inaudite: nuptias specto novas! (v. 883).
Cfr. Le incognitae libidines di Messalina: iam facilitate adulteriorum in fastidium versa, ad incognitas libidines profluebat ( Annales, XI, 26) p. 105 percorso.
 Medea vuole abolire ogni fas e pudor.
I delitti compiuti fino a quel momento sono stati atti di pietas in confronto alle azioni che Medea sta per compiere:"quidquid admissum est adhuc pietas vocetur! " (v.905). Medea raggiunge la pienezza della propria identità attraverso i delitti: Medea nunc sum; crevit ingenium malis (v. 910).
Deianira nell' Hercules Oetaeus la prende come modello per superarla. Cfr. gevnoio oi|oς ejssiv di Pindaro (Pitica II, 72)
Medea si vanta di essere una professionista del crimine:"Ad omne facinus non rudem dextram affĕres "( v.915) ad ogni delitto spingerai una destra non inespertadice a se stessa.
La mano dell'assassino: le Coefore, la Fedra e l'Hercules furens di Seneca, il Macbeth. Pp. 107 - 108 del percorso
Il Giasone di Euripide che fa quanto ritiene più conveniente (Medea v. 876: dra'/ ta; sumforwvtata) è confrontabile con i personaggi di Ibsen che obbediscono alla logica del mercato secondo Alonge. Nella Donna del mare Hilde è una adolescente ma ragiona già in base al computo dei soldi. La sorella le chiede all'improvviso se accetterebbe una eventuale proposta di matrimonio di Lyngstrand, e Hilde è prontissima a ribattere:"Per carità! Non ha un soldo. Non ha da vivere nemmeno per se solo"[20].

Il contrappasso
In ogni caso: quod quisque fecit patitur auctorem scelus/repetit ( Hercules furens, (vv. 735 - 736ciò che ciascuno ha fatto lo patisce: il delitto ricade sull'autore E' Teseo che parla.
Questi versi contengono la legge del contrappasso espressa anche da Esiodo e da Eschilo.
Nelle Opere leggiamo :" a se stesso apparecchia il male l'uomo che lo prepara per un altro oi| g& aujtw'/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn" (v.265), e il pensiero cattivo è pessimo per chi l'ha pensato.
Nel doloroso canto (Commòs ) che precede l'epilogo dell'Agamennone di Eschilo il Coro dice queste parole:"paga chi uccide (ejktivnei d j oJ kaivnwn)./Rimane saldo, finché Zeus rimane nel trono/che chi ha fatto subisca: infatti è legge divina"( mivmnei de; mivmnonto~ jen qrovnw/ Diov~ - paqei`n to;n e[rxanta: qevsmion gavr”, vv. 1562 - 1565).
Tommaso d’Aquino: “ut secundum quod aliquid fecit patiatur” (S. Theol. II, II, 61, 4)
Nell’Inferno di Dante (cerchio VIII, nona bolgia) Bertram del Bornio (XII secolo) è punito con Maometto tra i seminatori di discordia. Ha spinto il figlio (Enrico III d’Inghilterra) a odiare il padre (Enrico II) e regge con una mano la testa staccata dal busto: “Così osserva in me lo contrappasso” (Inferno, XXVIII, 142).

La reputazione p. 111 percorso. Le due vie della rinomanza: quella di Medea, violenta con i nemici (Medea di Euripide: barei'an ejcqroi'", 807) e quella di Alcesti, ottima sposa: gunh; t j ajrivsth tw'n uJf j hJlivw/, makrw'/ ( Alcesti, v. 151), la migliore sotto la luce del sole, di gran lunga.
La Fama (p. 112) dea foeda nella Civiltà di vergogna. Nella Civiltà di vergogna (Dodds I greci e l’irrazuionale) il bene supremo sta nel possesso della timhv, della pubblica stima.
 Socrate nel Critone e il dottor Stockmann di Un nemico del popolo di Ibsen non si curano dell'opinione dei più.
Medea non gode di buona fama: nell'Epodo 16 di Orazio è l'impudica Colchis. P. 113 percorso
 p. 115 del percorso Medea è combattuta (cor fluctuatur, v. 932 con metafora marina) ma la parte emotiva prevale su quella razionale. Il dolor l'odium e l'ira prevalgono, la pietas soccombe: ira, quā ducis sequor, v. 942. Vorrebbe essere la Tantalide Niobe per avere 14 figli e ammazzarli tutti.
Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - oJvsper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" ( vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali", dice la Medea di Euripide nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.
p. 116 Appare la turba Furiarum impotens (v. 947), la folla scatenata delle Furie. Poi l'ombra del fratello chiede vendetta, e Medea risponde ammazzando il primo figlio: victima manes tuos placamus ista (v. 960). P. 117 percorso

Medea sente un fragore e sale sul tetto del palazzo.
Quindi arriva Giasone (v. 967), e la madre assassina dice di avere recuperato il regno e la verginità: rediēre regna! rapta virginitas redit! (v. 973). Poi la donna pregusta una voluptas magna: il marito si è aggiunto quale spectator : deerat hoc unum mihi/, spectator iste (vv. 981 - 982 cfr. la vita come teatro). Giasone, che prima non ha avuto la dignità prometeica di rivendicare la sua scelta, soltanto ora, per salvare un figlio, supplica la donna abbandonata dichiarandosi colpevole lui solo: si quod est crimen, meum est (v. 993). Medea affonda le armi nella ferita dell'uomo. Se c'è ancora qualche residuo di figlio in me, afferma "scrutabor ense viscera, et ferro extraham" (v. 1002).
Cfr. l’urlo isterico di Lady Macbeth, I, 7: ho dato il latte ma se avessi giurato come te, avrei fatto schizzare viail cervello al bambino dopo avere strappato il capezzolo dalle gengive.
Quindi Medea uccide il secondo bambino, ma adagio, per accrescere il dolore di Giasone: perfruere lento scelere; ne propĕra, dolor! (1005). Ora la missione è compiuta: bene est: peractum est (v. 1008). Medea è diventata quello che è: coniugem agnoscis tuam? (1010). Il suum esse del De brevitate vitae[21] è rivendicato da Medea in tutta la tragedia:" In questa rapina rerum omnium (Marc . 10, 4), che ingigantisce su scala cosmica l'instabilità della condizione politica, resta come unico punto fermo, come unico bene inalienabile il possesso della propria anima" afferma Traina[22].
Poi Medea sparisce su un carro sollevato da draghi alati.
Sentiamo le sue ultime parole: "Misereri iubes./ Bene est: peractum est. Plura non habui, dolor,/quae tibi litarem. Lumina huc tumida adleva,/ingrate Iason! Coniugem agnoscis tuam?/Sic fugere soleo. Patuit in coelum via:/squamosa gemini colla serpentes iugo/summissa praebent. Recipe iam gnatos, parens;/Ego inter auras aliti curru vehar" (vv. 1018 - 1025), mi chiedi di avere pietà. Va bene: la missione è compiuta. Non avevo altre vittime da sacrificarti, tormento. Solleva qua gli occhi gonfi, ingrato Giasone. Riconosci tua moglie? Di solito fuggo così: La via è aperta verso il cielo: due draghi sottomettono i colli squamosi al giogo. Ora riprenditi i figli, padre; io andrò per l'aria con il carro alato.

Il padre privato dei figli chiude la tragedia gridando all'assassina di attestare che per dove passa non esistono gli dèi:" per alta vade spatia sublimi aetheris,/ testare, nullos esse, qua veheris, Deos" (v.1026 - 1027), va' per gli alti dell'etere sconfinato, attesta che dove tu passi non ci sono gli dèi. 
"E' l'antiapoteosi finale"[23].

 La Fedra di Seneca riprende dall'Ippolito di Euripide la coscienza della dicotomia tra il sapere e il fare: "Quae memoras, scio/vera esse, nutrix; sed furor cogit sequi peiora. Vadit animus in praeceps sciens,/remeatque frustra sana consilia adpetens" (vv. 178 - 181), so che quanto mi rammenti è vero, nutrice; ma il furore mi costringe a seguire il peggio. Il mio animo si avvia al precipizio e lo sa, poi torna a cercare invano sani propositi.
Il furor è più forte della ratio, è un dio: Quid ratio possit? Vicit ac regnat furor” (Fedra, 184)



giovanni ghiselli Bologna 23 ottobre 2018




[19] Ulisse, Scilla e Cariddi, la biblioteca (IX)
[20] III.
[21] "Ille illius cultor est, hic illius: suus nemo est ", 2, 4, quello è dedito al culto di quello, questo di quello, nessuno appartiene a se stesso.
[22]Lo stile "drammatico" del filosofo Seneca, p. 13.
[23] G. G. Biondi, Seneca Medea Fedra, p. 165.

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