L'interpretazione
del classico è problematica e doppia:" anche nel nostro tempo è possibile
scegliere tra due opposti usi del "classico" : quello che lo iconizza
come un immobile sistema di valori e quello che vi cerca la varietà e la complessità
dell'esperienza storica. Il primo dei due usi del "classico" (il più
frequente) può accettare agevolmente, anzi incoraggiare, il continuo regresso
degli studi classici nei percorsi formativi, perché si accontenta di poco (le
icone si riveriscono, non si esplorano); il secondo richiede invece di
interrogarsi a fondo sul possibile significato e futuro del
"classico" nella scuola, nell'università, nella cultura condivisa dai
cittadini"[1].
C’è
addirittura chi riduce il classico a norme grammaticali e paradigmi verbali
siccome non è in grado di pensare se non “tecnicamente” ossia per tecnicismi, e
non ha il coraggio di scendere nella via a tamburellare ditirambi. Sono i
Pentei della scuola, nemmeno degni di venire sbranati dalle baccanti.
Grammatica e paradigmi sono indispensabili ma chi si ferma lì è un povero di
spirito e non in senso cristiano.
Costoro
soprattutto non hanno voglia di studiare né curiosità di imparare, Sono vecchi.
Sono antigreci. I Greci che studiamo avidamente, gli autori greci che ci
aiutano a conoscere il mondo e a capire noi stessi sono, come Odisseo, mossi
dalla curiosità e dalla volontà di conoscere. Sono eternamente giovani: un
sacerdote egiziani disse a Solone: ’W SÒlwn, SÒlwn, “Ellhnej ¢eˆ pa‹dšj ™ste, gšrwn dEllhn oÙk œstin, (Platone, Timeo 22b4), Solone, Solone, voi greci siete sempre
ragazzi. Un Greco vecchio non esiste.
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