Nel saggio
autobiografico Perché sono comunista, Marchesi spiega che “è un
perché di anni lontani, che mi riporta alle vendemmie e alle falciature della
mia campagna catanese”. Segue una rievocazione di efficacia verghiana: “Filari
e filari di viti dentro un’ampia cerchia di mandorli e di ulivi, e un suon di
corno che radunava le vendemmiatrici (…) i piedi scalzi dovevano correre per
chilometri prima di giungere a notte in un tugurio dove era il fumo del
lucignolo e quello di una squallida minestra. Queste cose sapevo e vedevo; e a
giugno mi accadeva più volte di scorgere uomini coperti di stracci avviarsi
verso la piana desolata con un pezzo di pane nella sacca e una cipolla e la
bombetta di vino inacidito, destinato, secondo il costume all’uso dei
braccianti. Così negli anni della puerizia cresceva in me un rancore sordo
verso l’offesa che sentivo mia, che era fatta a me e gravava su di me come una
insensata mostruosità”.
Nei suoi
commenti ai classici latini si trova quell’umanesimo, quel sapore di umanità e
quella passione educativa, quella paideia[1] e
quella sofiva che spesso
manca nel sapere neutro (sofovn [2]) del cattedratico.
L'8 genn.
1946 Marchesi entrò a far parte del nuovo comitato centrale del PCI; eletto in
giugno alla Costituente, per la circoscrizione di Verona, vi pronunciò un
discorso a sostegno della sua scelta personale di non votare, rompendo la disciplina
di partito, l'articolo 7 della Costituzione, che inseriva i Patti lateranensi
nella nuova carta repubblicana. In questa circostanza uscì dall'aula con un
gruppo di deputati comunisti dissidenti.
Palmiro Togliatti rimase comunque suo amico personale ed estimatore
culturale: benché non più Guardasigilli,
sarebbe stato lui[3],
nel dicembre 1947, a suggerire al presidente Terracini una pausa dei lavori
dell'Assemblea costituente, prima della votazione finale, affinché Marchesi avesse due settimane di
tempo per una revisione finale, sotto il profilo della pulizia linguistica e
della coerenza sintattica e stilistica, al testo della Costituzione della Repubblica
italiana.
[1] Paideia si può identificare, in un certo senso, con
formazione politica : “ Uso questo termine non nel suo senso contemporaneo di
istruzione scolastica formale ma nel senso antiquato, nell’antico senso greco:
per paideia i greci intendevano l’educazione, la “formazione”
(la Bildung tedesca), lo sviluppo delle virtù morali, il senso
della responsabilità civica, della cosciente identificazione con la comunità, i
suoi valori e le sue tradizioni” (M.Finley, La democrazia degli
antichi e dei moderni, p. 30)
[3] Paolo Armaroli, ‘’BUROCRATESE, IL RICORSO ALLA
CRUSCA DI TONINELLI’’, Il Sole 24 ore, 7 agosto 2018, pag. 17.
Grazie Gianni.
RispondiEliminaUn bel ricordo di uno dei nostri padri più insigni.
Un significativo antidoto all'attuale drammatica e generalizzata perdita della memoria e alla (eterodiretta) "damnatio memoriae" dei comunisti.