NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

mercoledì 4 settembre 2024

Annibale. Dopo Canne. L’inizio della riscossa: Capua, Siracusa, Agrigento.


 

Il giovane Scipione diciottenne, tribunus militum si era rifugiato a Canosa con quattro mila uomini e duecento cavalieri Scipio iuvenis, fatalis dux huiusce belli (22, 53) disse che bisognava osare e agire, non discutere in tale frangente e giurò che non avrebbe mai abbandonato lo Stato romano: “ego rem publicam populi romani non desĕram, neque alium civem romanum deserere patiar; si sciens fallo, tunc me Iuppiter optimus maximus, domum familiam remque meam pessimo leto adficiat! (Livio, 22, 53). Livio afferma che allora non c’era più un esercito: “nulla alia gens tanta mole cladis non obrǔta esset” (22, 54) nessun altro popolo non sarebbe stato sepolto da un così grande macigno di disfatta.  

A Roma si udivano gli ululati lamentosi delle donne clamor lamentantium mulierum (22, 55).

Allora il Senato, ispirato da Fabio, costringe le donne a stare in casa per le lamentazioni funebri, mentre in città, nelle strade viene imposto il silenzio.

 

Excursus. Il silenzio imposto alle donne da Eteocle nella tragedia i Sette a Tebe.

E’ quello che fa Eteocle nei Sette a Tebe di Eschilo accompagnando l’ordine con una lunga e forte tirata antifemminista.

L'indicazione del silenzio come pregio delle donne, non manca in questa tragedia del 467. Eschilo rappresenta Eteocle, l'eroico difensore della città assediata, mentre prescrive al coro di ragazze tebane :" so;n d j au\ to; siga'n kai; mevnein ei[sw dovmwn" (v. 232), il tuo compito invece è tacere e rimanere dentro casa. Questa espressione fa parte della misoginia di Eteocle sulla quale possiamo fermarci un poco

Il Coro della tragedia è formato da Tebane le quali nella Parodo lanciano grida di spavento, non da comari del resto, ma ricche di metafore:"attraverso le mascelle equine/le briglie arpeggiano strage"(vv.122-123). Sono invocati gli dèi olimpii:"ascoltate, ascoltate come è giusto/le preghiere dalle mani tese delle ragazze"(171-172).

Le suppliche delle giovani donne però non incontrano l'approvazione del re difensore della città che anzi prorompe in una delle più aspre tirate antifemministe della letteratura greca:

"domando a voi, animali insopportabili  (qrevmmat j oujk ajnascetav),/sono forse questi gli incoraggiamenti migliori/ per questo popolo assediato ed è la salvezza della città/il vostro urlare e gridare, cadute davanti alle statue/degli dèi protettori, odio dei saggi che siete?/Che io non conviva, né in brutte situazioni/e nemmeno nel caro benessere con la razza delle donne./Infatti quando prende il sopravvento è di un'audacia intrattabile,/quando ha paura è un male ancora più grande nella casa e nella città".(vv.181-189).

Le ragazze terrorizzate diffondono viltà tra i difensori: dunque devono chiudersi nelle case:"infatti stanno a cuore agli uomini le faccende di fuori,/non le decida la donna: e tu, rimanendo dentro, non fare danno"(vv. 200-201). Eteocle esige di essere obbedito subito, senza repliche:"la disciplina infatti è madre del successo /che salva, o donna; il discorso sta in questi termini"(vv. 224-225). Ma non è finita: Eteocle  inveisce ancora contro il Coro :"vai in malora, non sopporterai queste difficoltà tacendo?"(v.252), e, poco più avanti: “ o Zeus, quale dono ci hai concesso, con la razza delle donne!" (v.256).

Fine excursus

 

I barbari riti dei Romani. Fornicatori condannati a morte

Due vestali vennero scoperte colpevoli di fornicazione: “Territi etiam super tantas clades cum ceteris prodigiis, tum quod duae vestales eo anno, Opimia atque Floronia, stupri compertae, scoperte colpevoli di fornicazione, et altera sub terra, uti mos est, ad portam Collinam necata fuerat, altera sibimet ipsa mortem consciverat” (22, 57), si era data la morte.

L. Cantilius scriba pontificis, quos nunc minores pontifices appellant, qui cum Floronia stuprum fecerat, a pontifice maximo eo usque virgis in comitio caesus erat, ut inter verbera exspiraret” (22, 57).

 

Il sacrificio rituale di italici transappenninici rispetto a Roma

Tito Livio racconta che dopo Canne (216 a. C.) Fabio Pittore venne mandato a Delfi a consultare l’oracolo e intanto a Roma “ex fatalibus libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca, in foro bovario sub terram vivi demissi sunt in locum saxo consaeptum, iam ante hostiis humanis, minime romano sacro, imbutum” (Storie, XXII, 57, 6), secondo i libri fatali vennero eseguti alcuni sacrifici straordinari: tra i quali un Gallo e una Galla, un Greco e una Greca, vennero sepolti vivi nel foro boario,  in un luogo recintato da sassi, già prima insanguinato da vittime umane, con un rito però non romano. 

 

Questa rotta fu più grave di ogni altra precedente “maior ea clades superioribus cladibus fuit…fides sociorum, quae ad eam diem firma steterat, vacillare coepit, nulla profecto alia de re quam quod desperaverant de imperio  (22, 61). Defecēre autem ad Poenos hi populi: Campani, Atellani, Calatini, Irpini, Apulorum pars, Samnites preter Pentros, Brutii omnes, Lucani, praeterr hos, oltre a questi, Uzentini Graecorum omnis ferme ora, Tarentini, Metapontini, Crotonienses Locrique, et Cisalpini omnes Galli. Tutti legati ai Romani da foedera iniqua. Erano italici in gran parte grecizzati e Galli.

I Romani tuttavia non pensarono mai di chiedere la pace. Anzi accolsero in folla il console sconfitto per sua colpa et gratiae actae quod de republica non desperasset (22, 61), mentre un comandante punico avrebbe subito il supplizio.    

 

Fabio e la resistenza romana. De Sanctis, III, parte seconda p. 201.

In Italia meridionale la federazione si incrina prima di tutto in Apulia dove si era combattuta la pugna maxima. La maggior città della Daunia, Arpi, aprì le porte ad Annibale.

Secondo Polibio anzi i Cartaginesi divennero subito padroni di quasi tutta la costa in seguito alla vittoria di Canne: “Karchdovnioi me;n dia; th'~ pravxew~ tauvth~,  paracrh'ma th'~ men loiph'~ paraliva~ scedo;n pavsh~ h\san ejgkratei'~ (3, 118, 2).

Taranto si arrese subito, e i Campani  invitavano Annibale

.

Polibio commenta il disastro dicendo che i Romani grazie alle peculiari qualità della loro costituzione politica (th/' tou' politeuvmato~ ijdiovthti, 3, 118, 9) e alla saggezza delle loro decisioni , non solo riconquistarono l’Italia ma dopo poco tempo divennero dominatori del mondo intero ajlla; kai; th'~ oijkoumevnh~ aJpavsh~ ejgkratei'~ ejgevnonto  met j ojlivgou~ crovnou~.

Allora Maarbale  spinse di nuovo  Annibale ad attaccare Roma: igitur dictatorem Karthaginensium magister equitum monuit: “mitte mecum Romam equitatum: diequinti in Capitolio tibi cena cocta erit” (Catone, fr. 86 Peter apud Gell. n. A. X, 24, 7).

Ma era un consiglio pazzo: non poteva avere successo un attacco di cavalleria contro le mura fortissime di Roma. Invece Annibale mira a estendere la ribellione: nel Sannio, tra gli Irpini, poi i Lucani e i Brutii che infatti passarono ad Annibale. Questi italici erano scontenti dei Romani poiché essi avevano fermato la loro espansione a danno di città greche. In Campania Capua era scontenta di Roma, soprattutto per il servizio militare cui i Romani costringevano la classe abbiente. I Capuani ricchi venivano comandati da duci romani meno facoltosi di loro. Inoltre l’autonomia dei capuani era più nominale che effettiva poiché il meddix indigeno rimaneva subordinato al prefetto romano eletto nei comizi quale luogotenente del pretore urbano. Capua e Cuma erano civitates sine suffragio. Annibale si comportò con accortezza sapendo che i Capuani non volevano cambiare una servitù con un’altra: fece un accordo con gli ambasciatori di Capua a queste condizioni: ne quis imperator magistratusve Poenorum, ius ullum in civem campanum haberet, neve civis campanus invitus militaret munusve faceret; ut suae leges , sui magistratus Capuae essent (23, 7), i Punici non dovevano avere giurisdizione sui Capuani e questi non erano tenuti al servizio militare né ad altra opera se non volevano. Alessandro  entrò a Capua e pensò di farne la capitale della penisola.

A Roma ora prevale la strategia di Massimo: condannare il nemico alla consunzione impedendogli di ricevere rinforzi. Per questo bisognava conservare la superiorità marittima. Ma la causa efficiente il successo furono l’ordine e la disciplina delle milizie italiche.

Invece la disciplina degli annibalici a Capua si corrompeva.

 

Livio spiega come Capua fu il rovescio di Canne per A. “Itaque quos nulla mali vicerat vis, perdidere nimia bona ac voluptates immodicae Somnus enim et vinum et epulae et scorta balinaeque et otium consuetudine in dies blandius ita enervaverunt corpora animosque, ut magis praeteritae victoriae eos quam praesentes tutarentur vires”, li difendevano più le vittorie passate che le forze presenti (23, 18). Annibale non ottenne più l’antica disciplina da quei soldati.

Molti soldati di Annibale dai campi militari fuggivano a Capua scortis impliciti, irretiti dalle puttane.

A Roma il senato impose una tassazione doppia: dall’1 al 2 per mille del capitale censito, per fronteggiare le spese militari: senatus decrevit ut eo anno duplex tributum imperaretur (23, 31). Insomma la strategia di Fabio rischiava di esaurire in una lotta di sterminio le ricchezze dell’Italia. Fabio voleva contrapporre al genio di Annibale l’immane forza bruta dell’inerzia.

Nel settembre del 216 ci fu una nuova sciagura: il console Postumio fu fatto a pezzi con il suo esercito in una foresta vicino a Modena: “calvam auro caelavere” (23, 24), incrostarono d’oro il cranio. Gallia cisalpina venne abbandonata ma le due colonie di Cremona e Piacenza  vettovagliate attraverso il Po non andarono perdute.

Neapoli e Nola non cedettero ad Annibale. A Nola il console Marcello mandò a morte 70 popolari e assicurò il potere all’aristocrazia. In Spagna i fratelli Scipioni sconfiggevano Asdrubale e gli impedivano di portare aiuti al fratello. Per il 214 vennero eletti consoli Marcello e Fabio Massimo. Per il 213 Fabio Massimo iunior e Sempronio Gracco. Nel senato di Cartagine Annone continua a fare opposizione ad Annibale anche dopo Canne.

Magone fece rovesciare nel vestibolo un grosso mucchio tantus acervus (23, 12) di anelli d’oro, poi  chiese rinforzi : “omni ope iuvandum Hannibali esse”. Ma Annone replicò che era il momento di stipulare una pace vantaggiosa, che nessuna popolazione latina era passata ai Cartaginesi: “Hostium quidem ergo-inquit-adhuc nimis multum superest”. Chiede rinforzi dopo avere vinto; se avesse perso cosa non chiederebbe: “Occīdi exercitus hostium; mittite milites mihi”. Quid aliu rogares, si esses victus?”.

Annibale prende accordi con Filippo V, re di Macedonia, in senso antiromano: Filippo avrebbe aiutato Annibale, con una flotta, a conquistare l’Italia e Annibale  Filippo a conquistare la Grecia.

A Nola Annibale subisce una vittoriosa sortita di Marcello, sebbene la plebe fosse favorevole al Cartaginese: plebs novarum, ut solet, rerum atque Hannibalis tota esse (23, 13). Ma i maggiorenti erano favorevoli ai Romani.

Et Nolae sicut priore anno Senatus Romanorum, plebs Hannibalis erat (23, 39).

Poi Nola viene assediata:  Marcello respinge Annibale che si ritira in Puglia 215. Prima della battaglia Marcello dice che i Cartaginesi, marcēre campana luxuria,vino et scortis omnibusque lustris per totam hiemem confectos ( lustrum, bordello, 23, 45).

cfr. Seneca: marcet sine adversario virtus, De providentia, 2, 4.

Annibale invece per spronare i suoi, dice: “Ubi ille meus miles est, qui derepto ex equo C. Flaminio consuli caput abstulit?” (23, 45).

Nel 214 Annibale passa nel Bruzio e prende Crotone dove la plebe parteggiava per lui, come dappertutto: “ unus velut morbus invaserat omnes Italiae civitates, ut plebs ab optimatibus dissentirent, Senatus Romanis favēret, plebs ad Poenos rem traheret” (24, 2).

Crotone sarà l’ultimo rifugio.

 

Appiano sostiene che dopo la partenza

 di Annibale dall’Italia il senato romano perdonò tutti gli Italici passati dalla sua parte tranne i Bruzi cui tolse molta terra e armi: “cwvran te pollh;n ajfeivleto kai; o{pla “(VII, 61). Cfr. ajndragaqiva.

 A Siracusa nel 215 muore Gerone II e gli succede il nipote  Geronimo che prende gli atteggiamenti del tiranno pieno di orpelli. I Siracusani lo videro con porpora e diadema e satelliti armati, con quadrighe di candidi cavalli, tornando uso del tiranno Dionisio (24, 5). Inoltre contemptus omnium hominum, superbae aures, contumeliosa dicta, rari aditus…libidines novae, inhumana crudelitas (24, 5).

Quindi Siracusa passò dalla parte dei Cartaginesi  e Geronimo venne ammazzato.

Nel 213 Annibale in Puglia perde Arpi. Alla fine del 213 però  conquista Taranto. Dopo avere preso la città, permise che venissero saccheggiate solo le case dei Romani. Anche Metaponto e Turi passano ad Annibale.

 Siracusa viene assediata dai Romani e difesa dagli strateghi Ippocrate ed Epicide. Era difesa da poderose fortificazioni e dalle macchine da guerra di Archimede. Annibale invita il senato cartaginese ad aiutare Siracusa prima di lui stesso. I Cartaginesi occuparono di nuovo la costa meridionale della Sicilia. Nel 212 i Romani tenevano in armi 25 legioni. Ai soldati non sarebbero stati concessi permessi finché Annibale fosse rimasto in Italia. Quindi assediarono Capua, mentre il proconsole Sempronio Gracco viene sconfitto in Lucania. Comunque Capua e Siracusa sono assediate. Nella primavera del 212 cade l’Epipole, la parte alta del territorio Siracusa-ejpipolhv.

Poi i Romani assediano l’acropoli, vero capolavoro dell’architettura militare antica. Annibale nel 211 muove dal Bruzio per liberare Capua dall’assedio romano: passa per la Lucania e per Avellino. I Romani si chiudono nelle trincee per non affrontare la sua cavalleria: sono assedianti (Capua) e assediati (da A.). Ma il paese era già devastato e non c’era foraggio per i cavalli: allora A. tenta una prova estrema: punta su Roma e arriva fino a porta Collina (212). Ma i bastioni erano saldissimi. Presidiavano la città due legioni urbane e A., dopo avere saccheggiato la campagna romana, dovette tornare indietro. I Romani però non tolsero l’assedio a Capua.

 I Romani quindi lasciarono ad A. un senso di impotenza.

A Capua parla un acceso partigiano dei Cartaginesi: Vibio Virrio. Dice che i Romani non hanno lasciato l’assedio di Capua neppure quando A. minacciava le loro case. Le stesse belve si muovono per difendere i loro figli Tanta sanguinis nostri hauriendi est sitis (26, 13). Non hanno  distolto i Romani da Capua neppure i pianti dei figli e delle mogli che si udivano quasi fin laggiù coniuges, liberi, quorum ploratus hinc prope exaudiebantur, arae, foci, Deum delūbra, sepulcra maiorum temerata profanati ac violata a Capua non averterunt.

 Nel 211 Capua si arrese. I più ardenti filocartaginesi si uccisero. Vibio Virrio e 27 senatori. Prima stordirono con il vino le loro menti (alienatis mentibus vino, 26, 14), quindi venenum omnes sumpserunt. Ma il vino e il cibo fecero da antidoto al veleno minus efficacem in maturanda morte vim veneni fecerunt. I Romani tolsero a Capua ogni autonomia ed eliminarono la classe dirigente.

Capua tuttavia non venne distrutta: era la prima d’Italia per la fertilità del territorio e venne conservata come emporio per coltivatori. Non si infierì  con distruzioni, cercando di apparire miti agli occhi degli alleati: quaesita etiam apud socios lenitatis species (26, 16). Inoltre si faceva vedere l’impotenza di Annibale. A Roma vennero condannati i pubblicani disonesti che appaltavano i trasporti poi simulavano naufragi poiché la merce perduta in questi casi veniva rimborsata dallo Stato: falsa naufragia ementiti erant.

Nel 211 Siracusa fu presa dai Romani e saccheggiata, nel 210 Agrigento. La Sicilia tornò a essere un praedium, un podere del polo romano. Dovevano pagare le decime dei prodotti. Gran parte del territorio divenne agro pubblico. La maggior parte degli affittuari erano cavalieri romani. I guadagni venivano spesi a Roma e non si adoperavano in migliorie.

Con la morte di Teocrito (250), Archimede (211) e Timeo (250) finì anche la cultura siciliana.

 

Pesaro 4 settembre 2024 ore 17, 53 giovanni ghiselli

 

p. s. Statistiche del blog

Sempre1616743

Oggi481

Ieri423

Questo mese1441

Il mese scorso10909

 

 

Nessun commento:

Posta un commento