Ifigenia. Il pubblico di Casablanca. I 4 aprile degli ultimi anni. La |
gran confusione del paese guasto. Un fiore di ragazza in pericolo con un uomo sfiorito.
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Il pomeriggio del primo aprile 1981 aggiunsi un filo alla breve |
tela della mia vita studiando lo Zibaldone per fare lezione all’aspirante attrice |
Dopo cena andammo a vedere Casablanca |
in un |
cineclub. La piccola sala era gremita di giovani che mi fecero |
venire l'angoscia. |
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Comunicavano a furia di spinte, di urli, di rutti, di parole e |
luoghi comuni triviali. Riaccompagnando Ifigenia a casa |
dissi:"mi strazia vedere gioventù fatta di mostri tristi e violenti. |
L'afasia iraconda di questi pezzenti mentali prelude a tempi pazzi, |
forse a una tirannide dell'incultura e dell'intrallazzo, o addirittura ai |
massacri feroci dell'intolleranza.". |
Quella non mi capì e rispose:"Gianni, non fare di nuovo tali |
discorsi vani; non dire parole così poco belle che spesso preludono ad azioni brutte; rimani allegro come |
nei momenti migliori di questi ultimi giorni!". |
Le promisi che avrei cercato di essere lieto. A casa però pensavo |
con tetra malinconia che il mio messaggio umanistico stava |
passando di moda: gli adolescenti |
avrebbero assistito con |
scetticismo e distacco sempre maggiore al mio lavoro educativo |
che coltiva le facoltà del logos e del pathos, mentre confuta quanti |
uomini e donne preferiscono vivere come le belve, proni e |
obbedienti al ventre sfacciato. |
"Bombardati dalla propaganda antiumana che li vuole consumatori |
di prodotti inutili e brutti – riflettevo -, i ragazzi perdono interesse |
per la nobiltà dello spirito che mi preme insegnare. Temo di non |
riuscire, anche perché non ho una compagna capace e desiderosa |
di condividere il mio impegno quotidiano per arrestare questa |
immensa degradazione morale e culturale. Ifigenia anzi vuole |
inserirsi nel sistema che nega o sperpera l'anima. Temo che voglia acchiappare il successo attraverso la scorciatoia dei vizi". |
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Mi sentivo minacciato dal caos e circondato dal nulla. Pensai |
ancora una volta che per conservare qualcosa dell'ordine aggredito |
dal guazzabuglio, dovevo scrivere un grande romanzo che |
denunciasse e accusasse il trapasso |
da una cultura non priva di bellezza e altruismo
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all'ignoranza fondata sull'egoismo parassitario quale prodromo di guerre e massacri.
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Che ne parlassi a Ifigenia oramai |
non aveva più senso: quella era affamata di successo, denaro e |
affermazione proprio nel mondo guasto che rendeva malate le menti. |
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Il 4 aprile temevo la pioggia. Due anni prima, la ragazza mi |
aveva insegnato la credenza popolare che se piove quel giorno poi |
il tempo rimane cattivo per mesi: si infradicia tutta la primavera e |
una parte dell'estate. Nel 1979 piovve. La sera verso il tramonto il |
cielo si oscurò a occidente; allora promisi a Ifigenia che con la |
mia forza mentale avrei tenuto in rispetto fino a mezzanotte e un |
minuto la canaglia ringhiante delle nuvole nere. Ma alle dieci la |
giovane donna telefonò dicendo che suo marito sapeva tutto di noi; |
allora la mente, terrorizzata dalla prospettiva di un legame contrario alla natura |
mia, e presoffrendo i due anni venturi, crollò: le nubi dilagarono, |
si squarciarono, e su Bologna imperversò un diluvio notturno. |
Il 4 aprile del 1980 eravamo a Padova, ospiti di Stefania che |
faceva una delle sue scene: beveva, piangeva, rideva, gridava. Una |
gran confusione. Piovve a dirotto. L'aria fu irritata dal tuono e da |
una convulsione di venti selvaggi. Balenavano le spire infuocate |
dei fulmini, e i turbini facevano girare la polvere2 . In effetti le |
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primavere seguenti furono mézze. |
Questo ultimo 4 aprile della nostra storia lei era andata a Verona, in gita con la sua scuola di recitazione. Il |
cielo si oscurò ma non piovve. "Presagio di estate felice", pensai. |
Il 6 arrivò una cartolina. C'era scritta una banalità che mi fece |
piacere:"Mi manchi tanto, ci vediamo tra poche ore. Ifigenia” |
Prima di partire era passata da casa mia, senza trovarmi, poiché ero |
a Pesaro. Le avevo lasciato un biglietto:" Cara cocca, scusa se |
vado via così inopinatato e misterioso, ma la zia Tina, come |
Geronimo, è impazzita di nuovo3 . Ieri ho pensato ogni bene di te. |
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2 |
Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, v. 1083-1085. |
3 |
Cfr. Hieronymo’s mad again, T. S. Eliot, La terra desolata, v. 431, che in nota |
rimanda a T. Kyd, Spanish tragedy. |
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Se ne hai voglia, allenati con la bicicletta: così, presto ci |
andremo insieme. Ciao amore. gianni.
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Al ritorno avevo trovato un messaggio suo:"Caro amore mio, ti |
ringrazio di tutto, della tua ospitalità e del resto. Mi dispiace |
moltissimo non vederti questa sera. Comunque domani, se è una |
bella giornata, andiamo in bici, oppure ci troviamo dai |
Greci. Oggi mi sei mancato molto, molto, ma con tranquillità. |
Sono tanto felice di amarti così, e voglio darti il meglio di me |
stessa. Ti adoro tesoro. Ciao Ifigenia ".
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Da queste parole sembra che ci amassimo, che ci volessimo bene, |
che ne fossimo sicuri. Invece una gran confusione. "L'eco del |
tuono mugghia, le spire del fulmine balenano ardenti, i turbini |
fanno girare la polvere, le onde del mare con aspro frastuono |
confondono i cammini degli astri. O memoria, o culto della mia |
donna, vedi che, a torto o a ragione, io soffro4".
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L'otto aprile dovevo tornare a scuola di pomeriggio, per un |
collegio dei docenti. Ci stavo andando di malavoglia: |
senza allievi mi sentivo fuori posto in quel luogo. In via Nazario |
Sauro però mi venne incontro Ifigenia con un sorriso vivo nel |
piccolo volto abbronzato che spiccava su una camicia di colore |
bianchissimo e molto aderente al seno grande e bello. Tornava |
dalla palestra di danza, ma non pensava al ballerino Gennaro, anzi, |
aveva anticipato l'uscita per passare davanti all’ edificio scolastico nel |
tempo probabile in cui dovevo entrarci io. Voleva vedermi. |
Voleva piacermi. Oh sì mi piaceva assai la ragazza, e mi fece |
piacere. “Che bea che s’è” dicono i Veneti di tali capolavori di giovani femmine umane. Oppure: “s’è un fiòr”, ma questo forse piuttosto a Trieste. Ifigenia era un fiore in pericolo come il nostro amore, come la mia vita che ormai sfioriva per giunta. Mi venne in mente il carme 11 di Catullo con il fiore reciso dall’aratro che passa oltre:"nec meum respectet, ut ante, amorem/qui illius culpa cecidit velut prati/ultimi flos , praetereunte postquam/tactus aratro est " (vv. 21-24) , e non si volti a guardare, come prima, il mio amore, che per colpa di lei è caduto come il fiore del ciglio del prato, dopo che è stato reciso dall'aratro che passa oltre. E’ l’ultima strofe saffica
In ogni modo Ifigenia aveva dato un significato a quella mia uscita pomeridiana |
altrimenti insensata. La sera nel letto, per riconoscenza, le raccontai |
una fiaba:"C'era una volta un re innamorato della propria figliola". |
"E la regina?", domandò . |
"Morta", risposi senza esitare. |
Ifigenia era nuda, distesa sul lenzuolo scoperto, e mi fissava |
con gli occhi spalancati. Lanciò un gridolino di contentezza |
battendo le mani. Cara ragazza, figliola, monella5 . |
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4 |
Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 1091-1093. |
5 |
Cfr. T. Mann, La montagna incantata, trad. it. Dall'Oglio, Milano,1930, p.217 |
II vol. |
Pesaro 4 settembre 2024 ore 19, 30 giovanni ghiselli
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