mercoledì 4 settembre 2024

La gran confusione del paese guasto.

Ifigenia. Il pubblico di  Casablanca. I 4 aprile degli ultimi anni. La

gran confusione del paese guasto. Un fiore di ragazza in pericolo con un uomo sfiorito.

 

.

Il pomeriggio del primo  aprile 1981 aggiunsi un filo alla breve

tela della mia vita studiando lo Zibaldone per fare lezione all’aspirante attrice

 Dopo cena andammo a vedere Casablanca

in un

cineclub. La piccola sala era gremita di giovani che mi fecero

venire l'angoscia.

 

 Comunicavano a furia di spinte, di urli, di rutti, di parole e

luoghi comuni triviali. Riaccompagnando Ifigenia a casa

dissi:"mi strazia vedere gioventù fatta di mostri tristi e violenti.

L'afasia iraconda di questi pezzenti mentali prelude a tempi pazzi,

forse a una tirannide dell'incultura e dell'intrallazzo,  o addirittura ai

massacri feroci dell'intolleranza.".

Quella non mi capì e rispose:"Gianni, non fare di nuovo tali

discorsi vani; non dire parole così poco belle che spesso preludono ad azioni brutte; rimani allegro come

nei momenti migliori di questi ultimi giorni!".

Le promisi che avrei cercato di essere lieto. A casa però pensavo

con tetra malinconia che il mio messaggio umanistico stava

passando di moda: gli adolescenti

avrebbero assistito con

scetticismo e distacco sempre maggiore al mio lavoro educativo

che coltiva le facoltà del logos e del pathos, mentre confuta quanti

uomini e donne preferiscono vivere come le belve, proni e

obbedienti al ventre sfacciato.

"Bombardati dalla propaganda antiumana che li vuole consumatori

di prodotti inutili e brutti – riflettevo -, i ragazzi perdono interesse

per la nobiltà dello spirito che mi preme insegnare. Temo di non

riuscire, anche perché non ho una compagna capace e desiderosa

di condividere il  mio impegno quotidiano per arrestare questa

immensa degradazione morale e culturale. Ifigenia anzi vuole

inserirsi nel sistema che nega o sperpera l'anima. Temo che voglia acchiappare il successo attraverso la scorciatoia dei vizi".


 

 

Mi sentivo minacciato dal caos e circondato dal nulla. Pensai

ancora una volta che per conservare qualcosa dell'ordine aggredito

dal guazzabuglio, dovevo scrivere un grande romanzo che

denunciasse e accusasse  il trapasso

da una cultura non priva  di bellezza e altruismo

 

 all'ignoranza fondata sull'egoismo parassitario quale prodromo di guerre e massacri.

 

Che ne parlassi a Ifigenia oramai

non aveva più senso: quella era affamata di successo, denaro e

affermazione proprio nel mondo guasto  che rendeva malate le menti.

 .

Il 4 aprile temevo la pioggia. Due anni prima, la ragazza mi

aveva insegnato la credenza popolare che se piove quel giorno poi

il tempo rimane cattivo per mesi: si infradicia tutta la primavera e

una parte dell'estate. Nel 1979 piovve. La sera verso il tramonto il

cielo si oscurò a occidente; allora promisi a Ifigenia che con la

mia forza mentale avrei tenuto in rispetto fino a mezzanotte e un

minuto la canaglia ringhiante delle nuvole nere. Ma alle dieci la

giovane donna telefonò dicendo che suo marito sapeva tutto di noi;

allora la mente, terrorizzata dalla prospettiva di un legame contrario alla natura

mia, e presoffrendo i due anni venturi, crollò: le nubi dilagarono,

si squarciarono, e su Bologna imperversò un diluvio notturno.

Il 4 aprile del 1980 eravamo  a Padova, ospiti di Stefania che

faceva una delle sue scene: beveva, piangeva, rideva, gridava. Una

gran confusione. Piovve a dirotto. L'aria fu irritata dal tuono e da

una convulsione di venti selvaggi. Balenavano le spire infuocate

dei fulmini, e i turbini facevano girare la polvere2 . In effetti le

 

primavere seguenti furono mézze.

Questo ultimo 4 aprile della nostra storia lei era andata a Verona, in gita con la sua scuola di recitazione. Il

cielo si oscurò ma non piovve. "Presagio di estate felice", pensai.

Il 6 arrivò una cartolina. C'era scritta una banalità che mi fece

piacere:"Mi manchi tanto, ci vediamo  tra poche ore. Ifigenia”

 Prima di partire era passata da casa mia, senza trovarmi, poiché ero

a Pesaro. Le avevo lasciato un biglietto:" Cara cocca, scusa se

vado via così inopinatato e misterioso, ma la zia Tina, come

Geronimo, è impazzita di nuovo3 . Ieri ho pensato ogni bene di te.

 

2

Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, v. 1083-1085.

3

Cfr. Hieronymo’s mad again, T. S. Eliot, La terra desolata, v. 431, che in nota

rimanda a T. Kyd, Spanish tragedy.


 

 

 

Se ne hai voglia, allenati con la bicicletta: così, presto ci

andremo insieme. Ciao amore. gianni.

 

Al ritorno avevo trovato un messaggio suo:"Caro amore mio, ti

ringrazio di tutto, della tua ospitalità e del resto. Mi dispiace

moltissimo non vederti questa sera. Comunque domani, se è una

bella giornata, andiamo in bici, oppure ci troviamo dai

Greci. Oggi mi sei mancato molto, molto, ma con tranquillità.

Sono tanto felice di amarti così, e voglio darti il meglio di me

stessa. Ti adoro tesoro. Ciao Ifigenia ".

 

Da queste parole sembra che ci amassimo, che ci volessimo bene,

che ne fossimo sicuri. Invece una gran confusione. "L'eco del

tuono mugghia, le spire del fulmine balenano ardenti, i turbini

fanno girare la polvere, le onde del mare con aspro frastuono

confondono i cammini degli astri. O memoria, o culto della mia

donna, vedi che, a torto o a ragione, io soffro4".

 

L'otto aprile dovevo tornare a scuola di pomeriggio, per un

collegio dei docenti. Ci stavo andando di malavoglia:

senza allievi mi sentivo fuori posto in quel luogo. In via Nazario

Sauro però mi venne incontro Ifigenia con un sorriso vivo nel

piccolo volto abbronzato che spiccava su una camicia di colore

bianchissimo e molto aderente al seno grande e bello. Tornava

dalla palestra di danza, ma non pensava al ballerino Gennaro, anzi,

aveva anticipato l'uscita per passare davanti all’ edificio scolastico nel

tempo probabile in cui dovevo entrarci io. Voleva vedermi.

Voleva piacermi. Oh sì mi piaceva assai la ragazza, e mi fece

piacere. “Che bea che s’è” dicono i Veneti di tali capolavori di giovani femmine umane.

Oppure: “s’è un fiòr”, ma questo forse piuttosto a Trieste.

Ifigenia era un fiore in pericolo come il nostro amore, come la mia vita che  ormai sfioriva per giunta. Mi venne in mente il carme  11 di  Catullo con il fiore reciso dall’aratro che passa oltre:"nec meum respectet, ut ante, amorem/qui illius culpa cecidit velut prati/ultimi flos , praetereunte postquam/tactus aratro est " (vv. 21-24) , e non si volti a guardare, come prima, il mio amore, che per colpa di lei è caduto come il fiore del ciglio del prato, dopo che è stato reciso dall'aratro che passa oltre. E’ l’ultima strofe saffica

 

In ogni modo Ifigenia aveva dato un significato a quella mia uscita pomeridiana

altrimenti insensata. La sera nel letto, per riconoscenza, le raccontai

una fiaba:"C'era una volta un re innamorato della propria figliola".

"E la regina?", domandò .

"Morta", risposi senza esitare.

Ifigenia era nuda, distesa sul lenzuolo scoperto, e mi fissava

con gli occhi spalancati. Lanciò un gridolino di contentezza

battendo le mani. Cara ragazza, figliola, monella5 .

 

4

Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 1091-1093.

5

Cfr. T. Mann, La montagna incantata, trad. it. Dall'Oglio, Milano,1930, p.217

II vol.

 

Pesaro 4 settembre 2024 ore 19, 30 giovanni ghiselli

p. s.

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