lunedì 16 settembre 2024

Annibale L’Italia meridionale dopo la seconda guerra punica. Annibale lotta contro i Romani fino all’ultimo giorno.

 


 

Ancora Rumiz

“la Repubblica” 19 agosto 2007

“A Sibari è morto Erodoto…Pitagora, dimenticato da Crotone, e Archimede, ignorato a Siracusa

Annibale “fu ospitato dai Bretii, i montanari della Sila…Era un popolo indipendente-narra l’archeologa (Silvana Luppino) –che procurava ai naviganti alberi maestri e la miglior pece del Mediterraneo”. Cosenza era il quartier generale, che in latino vuol dire Consentia, il luogo del consenso, del “patto di alleanza”.

Temuti dai Greci e invisi ai Romani, furono duramente puniti quando Annibale se ne tornò in Africa. I loro terreni vennero requisiti. I loro diritti aboliti…La casa di Antonio Milano, professore di latino a Lamezia, pare la torre di controllo di un aeroporto…Lassù c’è Cosenza “senza mura come l’antica Sparta”…lì i marosi di Squillace, il grande capolinea da dove il Cartaginese lasciò l’Italia nel 203Bretii, per carità, viene dal greco Brevttioi”.

Sono i Calabresi. Anche la loro ’ndtrangheta viene dal greco: ajndragaqiva, virtù virile.

 

 20 agosto “la Repubblica”, p. 33.

“Apro il dizionario mitologico, lo esploro con la torcia, cerco di Crotone, e scopro con un brivido che capo Lacinio, o Capo Colonna (delle Colonne) che dir si voglia, è il punto terminale del viaggio di Ercole, prima dell’imbarco per la Sicilia.

Ercole-Annibale e Crotone

Ancora Ercole! Il viaggio di Annibale è tutto sulle sue tracce. Parte dal suo tempio a Cadice, continua per la “Via haerculea”, valica i Pirenei dove l’eroe ha amato una ninfa (Pirene), passa le Alpi sempre sulla sua strada, e così avanti fino in Lazio. Se avevo dubbi che Annibale avesse costruito la sua strada apposta per entrare in un mito erculeo, ora non ce l’ho più. Crotone DOVEVA essere il suo imbarco. Lì due ricchi mandriani di nome Kroton e Lakinos rubano al gigante parte delle mandrie, e quelle mandrie vengono da…Cadice. A Crotone lui li ammazza, costruisce il tempio di Era-la dea contenuta nel suo nome Era-kles-e quel tempio è puntato verso le porte dell’alba esattamente come il porto di Cadice è aperto verso l’Oceano, sulle leggendarie “porte della notte”. Simmetria perfetta.

 

Il latifondo

Latifundia perdidere Italiam…lo aveva capito già il vecchio Plinio, grandissimo storico dell’antichità. La sentenza mi batte in testa da giorni, da quando ho ricevuto uno straordinario regalo di Roberto Cerati, glorioso patriarca di casa Einaudi. Un doppio volume dell’82: L’eredità di Annibale di Arnold Toynbee, studioso inglese che ha speso trent’anni sugli effetti della guerra punica in Italia….Un conflitto durato il quadruplo della Grande Guerra non può che lasciare segni indelebili sul territorio in cui si gioca. E’ quanto accadde all’Italia del Centro- Sud. A piegarla, più delle distruzioni e delle rappresaglie, sono gli arruolamenti in massa dei liberi contadini allontanati dalle loro campagne  e le vendette romane contro i popoli e le città passati-o costretti a passare-dalla parte di Annibale. Alla fine della guerra la piccola proprietà contadina del Mezzogiorno è in ginocchio e la nobiltà italica diventa padrona di terreni immensi requisiti agli “infedeli”. E’ allora che esplode il latifondo, il grano soppianta orti e frutteti. I contadini scappano nelle città, i pastori transumanti dilagano, l’Appennino si riempie di schiavi-mandriani, pastori armati pronti a diventar banditi. Forse la questione meridionale non nasce con i Borboni o l’unità d’Italia, ma molto prima. Negli anni di Annibale”.

Plinio il Vecchio[1] constata nell’età flaviana il punto di arrivo di un processo iniziato già al tempo delle guerre annibaliche.

Trimalcione vanta i suoi smisurati e imperscrutabili latifondi:"deorum beneficio non emo, sed nunc quicquid ad salivam facit, in suburbano nascitur eo, quod ego adhuc non novi. dicitur confine esse Tarraciniensibus et Tarentinis. nunc coniungere agellis Siciliam volo, ut cum Africam libuerit ire, per meos fines navigem" (Satyricon,48, 2), grazie a dio non compro niente, ma ora tutto quanto fa venire l'acquolina in bocca nasce in quel podere vicino alla città che io ancora non conosco. Si dice che fa da confine con le terre di Terracina e quelle di Taranto. Ora con dei campicelli  voglio unire la Sicilia, in modo che, quando mi andrà di recarmi in Africa, possa navigare lungo le mie terre.

Qui si trova il problema del latifondo che si estende dal I secolo d. C. a partire dall'Africa.

"Ma indubbiamente anche in Italia le grandi tenute divennero sempre più estese e a poco a poco assorbirono le fattorie di media estensione e i poderetti contadineschi. Seneca lo dice esplicitamente ; ed egli poteva ben saperlo, essendo uno degli uomini più ricchi d'Italia, se non addirittura il più ricco, sotto Claudio e Nerone, e proprietario egli stesso di vaste tenute…Le tenute di media estensione furono a poco a poco rovinate dalla mancanza di vendita e vennero acquistate a buon mercato da grandi capitalisti. Questi ultimi naturalmente desideravano di semplificare la gestione delle loro proprietà, e, paghi di ottenerne un reddito sicuro se pur basso, preferivano dare la loro terra ad affittuari e produrre prevalentemente grano"[2].

 

 In Italia vengono meno le culture intensive di vite e olivo poiché le province, divenute autarchiche, non assorbono più questi prodotti. Quindi si torna a coltivare il grano con metodi non razionali: i braccianti, schiavi o liberi, non forniscono un lavoro di qualità; i proprietari assenteisti del resto non li seguono.

 

Caso di Locri e di Quinto Pleminio. “Sembrano storie di ‘ndrangheta, ma è una ‘ndrangheta romana. E’ un andazzo generale. Dopo la partenza di Annibale, i governatori locali cominciano a trattare le popolazioni italiche come colonie sub-sahariane. Saranno i fratelli Gracchi (poi uccisi) a lamentarsene in Senato in un discorso del 173 a. C.  (sic! È una data sbagliata: i Gracchi non erano nati: Tiberio 163-132; Gaio 154-121) ) riportato da Aulo Gellio. Ne trovo nel libro dei passi illuminanti “Un console andò a Teano. Sua moglie disse che voleva servirsi dei bagni degli uomini e si ordinò al questore di cacciarne quelli che li stavano usando. Ma la signora riferì al marito che i bagni non erano stati messi prontamente a sua disposizione e che non erano puliti. Per questo motivo si piantò un palo nel foro e vi si condusse Marco Mario, il membro più autorevole della comunità che fu spogliato e frustato. Quando gli abitanti ne furono informati, introdussero una regola per cui nessuno doveva usare i bagni quando un magistrato romano si trovava in città”.

 

 

“la Repubblica 21 agosto La grande battaglia (di Zama) Paolo Rumiz

“Siamo seduti sull’erba alta, sulla collina di Zama Regia, con i testi di Polibio e di Tito Livio in mano….Scipione ha rinunciato da tempo alla realtà romana. E’ diventato più callido di Annibale. Ha occupato mezza Tunisia fregando i Cartaginesi con spie travestite da ambasciatori, operazione che gli consente di dare alle fiamme gli accampamenti del nemico. Da Annibale ha anche imparato la manovra avvolgente…La perfeziona, la adatta alla fanteria pesante romana. Per la prima volta è in vantaggio come numero di uomini e anche come cavalleria…ha con sé i Numidi di Massinissa, ex alleati di Annibale, ora passati dalla sua parte

Annibale è una volpe, compie proprio a Zama il suo capolavoro. Attira Scipione in una trappola statica. Manda i suoi Numidi in fuga e costringe le cavallerie romane all’inseguimento, dirottandole dalla manovra a tenaglia. Poi lascia i suoi “invincibili”-i veterani della campagna d’Italia-fermi in retroguardia, per schiantare i Romani già stanchi dell’assalto.

Scipione è in difficoltà ma i suoi non mollano. Sono anche loro uomini anziani, ma a differenza dei Cartaginesi mai hanno sentito in bocca il gusto della vittoria. Sono i superstiti del carnaio di Canne. Uomini cui Roma mai ha espresso gratitudine: reparti di punizione, tenuti in Sicilia per dieci anni, lontano da casa, a purgare la sconfitta.. Si faceva così allora: compassione zero per i perdenti”.

A meno che fossero consoli: cfr. Varrone

“Cartagine non puniva i soldati ma crocifiggeva i generali sconfitti. Quei veterani Scipione se li è visti assegnare dal Senato, ed è un regalo al veleno….ma lui trasforma quei disperati nel suo percussore…Le legiones cannenses tengono duro finché le cavallerie romane, sconfitto il nemico, tornano sul campo a dare la bastonata finale, come il generale Bluecher a Waterloo contro Napoleone…M’hamed Hassin Fantar, gran professore di Tunisi, mi aveva avvertito: “Qui Annibale è un mito, conserva un, aureola e un prestigio immenso nonostante la sua sconfitta militare”.

Brizzi traduce Livio XXX, 32 con lo schieramento annibalico.

 

la Repubblica 22 agosto, p. 35 Rumiz L’ombra del Minotauro

“E’ il 189. Sono passati 13 anni da Zama e Annibale è approdato a Creta…Di lui si sa pochissimo, tranne che compare qua e là come una una meteora nel buio. Ricapitolo le tracce del vecchio leone dopo la sconfitta di Zama. Nel 201 lui spiazza di nuovo tutti e diventa il miglior garante della pax romana. Fa di più: sorveglia il pagamento dei danni di guerra e riesce a risanare le finanze di Cartagine. Attacca i privilegi dei ricchi, ne denuncia gli abusi, scoprendo scandali finanziari, e per questo si mette in urto con la classe dirigente che comincia a complottare contro di lui. Patria ingrata! Un’ambasceria è mandata a Roma, dall’ex nemico, perché il vincitore di Canne sia tolto di mezzo, ma lui fiuta il pericolo salta su una nave e scappa fino a Tiro, nell’attuale Libano. Anche lì non ha pace. Si sposta a Efeso e incontra Antioco, re di Siria. Gli dà consigli strategici, torna per suo conto in Libano-l’antica Fenicia- e gli procura una flotta. I romani s’inquietano, temono che il nemico risorga dalle ceneri, e ne richiedono la consegna ad Antioco. Spiegano che numquam satis liquebit nobis in pace esse populo romano, ubi Hannibal erit, non  sarà mai chiaro per noi Romani il fatto di essere in pace dove ci sarà Annibale….

 

Il sogno di Annibale nel De divinatione  (24) di Cicerone (del 44 a. C.)

Anche Annibale sognava, e spesso erano brutti sogni. Il più orrendo lo fece prima dell’avventura italica, un anno prima di varcare i Pirenei con i suoi novantamila uomini. Cicerone ne scrive nel suo De divinatione, dedicato ai presagi. La fonte indicata è Sileno di Calatte, una storia greca seguita da Celio: is autem diligentissime res Hannibalis persecutus est.

“Dopo la presa di Sagunto Annibale sognò che era chiamato da Giove al concilio degli dèi. Lì gli venne ordinato di portare guerra all’Italia e gli venne dato un dio come guida. Seguendo le sue indicazioni, cominciò a marciare col suo esercito. Quel dio, allora, gli ordinò di non voltarsi e non guardare mai indietro. Ma lui non riuscì a resistere, e, cedendo alla bramosia di vedere, si voltò”

Tum visam beluam vastam et immanem circumplicatam serpentibus…Vide una belva enorme e orrenda, circondata di serpenti, la quale, ovunque passava, abbatteva ogni albero, ogni virgulto, ogni casa. Annibale stupefatto chiese al dio (Melqart) che lo guidava cosa fosse mai un mostro simile, e il dio rispose che quella era vastitatem Italiae, la devastazione dell’Italia, e gli ordinò di continuare il cammino senza curarsi di ciò che avveniva alle spalle  ut pergeret protinus, quid retro atque a tergo fieret ne laboraret”….Il mostro era davvero la devastazione dell’Italia, oppure altro?...Il mostro deforme non era piuttosto la resistenza di Roma, la sua testarda volontà di resistere nonostante le ripetute sconfitte?

 

 L’uomo senza pace era nascosto a Creta, e intanto Roma vinceva in tutto il Mediterraneo, aveva conquistato la Spagna, vinto in Africa, battuto i Macedoni impegnandosi in una nuova durissima guerra subito dopo quella con i Cartaginesi. E allora quel mostro non era forse la micidiale forza organizzativa di una potenza capace di affrontare qualsiasi sacrificio? Non era la durezza implacabile e la disciplina di una classe dirigente in grado non solo di conquistare ma anche di governare i territori tessendo relazioni d’elite? Ma certo. Ora ne sono sicuro. L’idra era semplicemente Roma imperiale, cui Annibale aveva tolto ogni freno inibitore”.  

Quindi Rumiz raconta l’aneddoto del dei due nemici, un generale nazista fatto prigioniero (Heinrich Kreipe) e il nemico (Patrick Fermor )  che l’ha catturato i quali, nell’aprile del 1944, vedendo l’Ida innevato si scambiano i versi di Orazio sul Soratte: “Vides ut alta stet nive candidum Soracte”…Nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint acuto. Fermor 60 anni dopo commenta: “quant’erano preparati i militari una volta…Io ero stato mandato in Grecia perché avevo studiato Omero, e Kreipe aveva fatto otto anni di studi classici. Sono cose che non esistono più. Mentre penso alla straordinaria forza di quelle fonti millenarie, capaci di avvicinare anche acerrimi nemici, il cameriere mi porta una birra Mythos con un’occhiata complice. E’ come se mi dicesse: “Non avere dubbi, il tuo non è un viaggio visionario”. Grandiosa birra greca con vista”.

 

Cornelio Nepote

racconta che Annibale nel 193 si recò da Antioco e che combattè per lui nel mare di Pamfilia contro la flotta dei Rodii la quale  prevalse per superiorità numerica, ma nel settore da lui comandato Annibale riuscì vincitore. Dopo la sconfitta di Antioco andò a Gortina in Creta. Ma qui il vir callidissimus omnium  si accorse di essere in pericolo propter avaritiam Cretensium: magnam enim secum pecuniam portabat. Allora riempì molte anfore di piombo, e ne coprì la parte superiore con uno strato di oro e argento, poi le depose pubblicamente nel tempio di Diana, simulans se suas fortunas illorum fidĕi credere. Depistatili, mette l’oro in alcune statue di bronzo che aveva con sé. Così illusis Cretensibus si recò in Bitinia. Qui aizzava Prusia contro i Romani.

Nel 184 combatté contro Eumene di Pergamo sconfiggendo la flotta dei pergameni con un lancio di serpenti. Poi la morte, a 70 anni. Scrisse libri in greco.

Sosilo spartano fu il suo maestro di lingua greca. Seguì Annibale durante la spedizione di cui scrisse un resoconto in 7 libri. Ci è arrivato un frammento del IV libro in un papiro.

 

“la Repubblica 23 agosto, p. 31.

La guida armena “mi insegna a scrivere “Hannibal” in alfabeto armeno, poi mi apre un testo di Plutarco “Il re Artassa-c’è scritto- rimase contento dell’idea di Annibale e lo pregò di assumere lui stesso la direzione dei lavori. Sorse così un modello di città grande e assai bella che, assunto il nome stesso del re, fu proclamata capitale dell’Armenia Plutarco, Vita di Lucullo 31, 4 ss.

 Annibale andò dal  re di Armenia Artassa dopo la sconfitta di Antioco (189 Magnesia) e dopo Creta. Gli fece notare come fosse molto bella una zona incolta e negletta. Quindi disegnò una pianta della città da costruire in quel punto. Il re lo pregò di assumere la direzione dei lavori. Così sorse una città modello grande e bella.

 

“Cosa cercava Annibale su queste montagne? Forse niente di diverso da ciò che lo spinse a sfidare la morte in battaglia. L’immortalità della memoria. Ma se è così, forse c’era ancora Ercole, il suo mito, a indicargli la strada. Eracle uccisore di mostri e costruttore di città….”Ma lui raggiunse il suo scopo?” chiede alla fine il pastore

Sì gli dico-se è vero che oggi parliamo ancora di lui. Annibale credeva solo nell’immortalità della memoria. E poi: “Vedi Vardges, se quell’uomo non fosse esistito 2200 anni fa, noi non ci saremmo mai conosciuti”.

 

“la Repubblica” 24 agosto, p. 35

“Proprio qui sotto l’Ararat…piega verso il Bosforo, dove si compie la parabola della sua vita….Annibale NON va a Oriente per NON seguire Alessandro, per non essere la copia di nessuno. Le strade altrui non gli interessano. Vuole aprirne di nuove, come il suo grande modello, Ercole uccisore di mostri e fondatore di città…Ed è appunto una città che egli fa costruire. La seconda, dopo l’armena Artaxata. Il suo nome è Prusia, in onore di Prusa, il re di Bitinia che accetta di ospitarlo, ma nei secoli diventerà Bursa, prima capitale dell’impero ottomano. Se esiste davvero una traccia del suo passaggio in terra, eccola: sta sull’acropoli di Bursa.

La Bitinia è vicina alla propontide

 

La morte di Annibale

Non sul campo di Canne o di Zama, dove non è rimasto nulla, ma in Anatolia, a due passi dall’antica Troia, dove l’Asia finisce sul mar di Marmara…E’ lì che la storia finisce, nel 183 avanti Cristo, vent’anni dopo la partenza dall’Italia. Il cartaginese si è costruito un buen retiro a Libyssa, l’attuale Gebze, 40 chilometri a est di Bisanzio, ma i Romani non lo lasciano in pace nemmeno lì. Un’ambasceria guidata da Tito Quinzio Flaminino è andata dal re Prusa per chiedere la testa dell’illustre protetto, e questi, per non inimicarsi la Grande Potenza, ha accettato di tradirlo. Quando Annibale si scopre circondato, si fa dare il veleno “tenuto in serbo da tempo per un evento del genere”.

“Liberiamo il popolo romano dalla sua angustia-esclama, prima di morire, nella cronaca di Tito Livio-se esso trova che duri troppo l’attesa della morte di un vecchio. Né grande né gloriosa è la vittoria che riporterà Flaminino su un uomo inerme e tradito. Basterà questo giorno a dimostrare quanto sia mutata l’indole dei Romani. I loro avi misero sull’avviso il re Pirro, loro nemico insediato con un esercito in Italia, che si guardasse dal veleno. Questi di oggi, invece, istigano…a uccidere un ospite”. Poi, continua Livio, “dopo avere imprecato contro la vita…e invocato gli dei ospitali a testimoni della fiducia violata dal re, vuotò la tazza” Haec vitae exitus fuit Hannibalis…Aveva 64 anni…So che da quelle parti l’imperatore romano Settimio Severo, intorno al 195 dopo Cristo, trovò un tumulo di pietre col nome di Annibale e lo fece ricoprire di Marmo bianco…Settimio era nato in Africa (a Leptis Magna nel 145) come il Cartaginese, e non aveva più imbarazzi a ricordare il grande conterraneo dopo secoli di damnatio memoriaePlutarco Vita di Flaminio, capitolo 20, paragrafi 5 e 6. “sembra ci fosse una vecchia profezia sulla sua morte. Così recitava: ‘una zolla ricoprirà il corpo di Annibale’. L’interessato credette che il riferimento fosse alla Libia e dunque a una sua sepoltura a Cartagine, e che là avrebbe finito i suoi giorni. Ma vi è in Bitinia una regione sabbiosa presso il mare e lì un piccolo villaggio chiamato Libyssa”…Era stato tradito da un gioco di parole. “Gebze, stazione di Gebze, fine corsa”. 

 

Pesaro 16 settembre 2024 ore 18, 28 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Naturalis historia, XVIII, 7. Plinio il vecchio 23-79.

[2]  M. Rostovzev, Storia economica e sociale dell'impero romano, p.115.

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