lunedì 16 settembre 2024

Ifigenia L e LI

Ifigenia L. la casa di Pesaro 1. Ora comprendo

 

Il 24 dicembre andai a Pesaro. La casa dove ho abitato dal 1946 al 1963 può essere paragonata all’inferno dei poeti greci e latini oppure a un manicomio. Negli anni Cinquanta con me e mia sorella ci abitavano stabilmente i nostri nonni materni e  due delle loro figliole diffidando ciascuno degli altri, di se stesso e dell’intero genere umano. I più anziani, la nonna Margherita e il nonno Carlo  detto Carlino, litigavano quasi sempre e venivano spesso ingiuriati dalle figliole presenti: la più attempata e la più giovane delle loro cinque figlie. Avevano avuto anche un maschio come sesto, Luigi detto Gigi, che però come ogni uomo che mettesse piede in casa nostra era poco considerato. Da noi vigeva un matriarcato tirannico. Fin dalle elementari avevo capito che per salvarmi, per non essere dìschiacciato come uno scarafaggio dovevo primeggiare a scuola. La zia Rina che in casa nostra comandava su tutti con piglio autoritario e sprezzante aveva fatto la maestra all’estero durante il fascismo e continuava a farlo nelle elementari Carducci di Pesaro dove ero scolaro io e quando lei veniva a sapere dalla collega che suo nipote era il più bravo ne era contenta e mi gratificava di elogi.

La vittima bersagliata da tutti era invece suo padre Carlino: il povero vecchio ogni giorno durante i pasti veniva assalito dalla moglie, poi dalle figlie che imitavano la madre, una donna piena di risentimento  contro il marito perché lui nel 1900 aveva sottratto lei diciottenne a una cospicua famiglia di proprietari terrieri agognandone la possidenza. Il padre della nonna  possedeva 500 ettari.

La nonna Margherita aveva tenuto stretta la roba e maltrattava il marito che da tale connubio mal calcolato non aveva tratto vantaggi bensì umiliazioni. Per giunta era gelosa perché il nonno da giovane era stato un donnaiolo e la moglie credeva che pure da vecchio si desse da fare cercando di ghermire di notte la fantesca che dimorava da noi.

Questo è l’ambiente dove sono cresciuto in assenza di padre. La madre mia l’aveva lasciato tornando nella casa dei suoi genitori portandomi con sé quando avevo un anno e cinque mesi.

Da queste vicende derivano le mie malattie spirituali e pure  l’accanimento nel volere rifarmi, cioè recuperare l’Amore, la Bontà e l’Intelligenza  che mi erano stati negati quando vivevo in quella bolgia, prima senza aiuto, poi  con il conforto delle gare ciclistiche vinte sulla Panoramica e degli ottimi risultati scolastici nelle elementari Carducci, nelle medie Lucio Accio e nel Liceo Terenzio Mamiani.

Dopo la maturità partìi per Bologna dove rimasi a studiare Lettere antiche.

Durai fatica a intessere una vita adatta alle mie capacità ma infine vi sono riuscito.

La pena di cui mi ero investito per anni è la più grave di tutte: non con l’enorme macigno che pende dal cielo sul capo, non con gli avvoltoi che penetrati nel petto divorano il cuore, non con il terrore del cane tricipite dal ringhio metallico, né delle fetide Arpie, delle Erinni odiose che rinfacciano tutte le colpe con ira recrudescente, non con l’orrore del Flegetonte tartareo che rumoreggia travolgendo anche le rupi nella sua rapina, non con l’attesa di questi tormenti pagano il fio quanti prendono a calci l’altare santo della Giustizia, ma con l’insaziabile fame e l’inestinguibile sete di amore

Discite iustitiam moniti et non  temnere divos[1].

Le smisurate  sofferenze  patite tra i 19 e i 21 anni quando mi recavo al porto di Pesaro o sull’argine del Reno

 “pensoso di cessar dentro quell’acque

 la speme e il viver mio”[2]

mi hanno insegnato la solidarietà con i sofferenti della terra.

Mio nonno Carlino era un uomo buono e maltrattato da vecchio. Anche da me che imitavo le prepotenze di chi comandava: ero bravo a scuola ma non capivo.

Ora comprendo e credo, sono certo che il nonno Carlo mi ha perdonato.

 

 

 

Bologna 16  settembre 2024 ore 20, 12 giovanni ghiselli

 

 

Ifigenia LI. la casa di Pesaro 2. Al nonno Carlo Martelli, detto Carlino.

 

Devo comunque essere grato alla mamma e alle zie: da quando non abito più a Pesaro criticato e limitato in tutto da loro, queste donne mi hanno fornito i mezzi per vivere una vita da studente poi da studioso dedito allo studio, all’amore e alla bicicletta. Un poco mi hanno beneficato per espiare i maltrattamenti inflitti al padre cui fisicamente assomiglio, e ancora di più per consentirmi di prendere la laurea con lode e fare carriera.

Non ne ho fatta poi tanta nell’istituzione ma a loro è bastato e anche a me. Dunque per Natale andavo a trovarle. Mia madre diceva che  Rina e Giulia- da lei soprannominate da lei  “ le due sorelle Materassi” per il loro nepotismo-quando vedevano me era come se vedessero il sole. Il Natale, come sapete, era il dies Natalis solis invicti, sicché il 24 ero apparso alle zie e il 25 le illuminavo.

Conquistata la mia emancipazione dalla lunga servitù pesarese, non solo ero grato ma volevo bene ai miei consanguinei. L’ambiente conflittuale nel quale avevo passato l’infanzia e l’adolescenza non mi ha consentito il mollescere, diventare mollis-malakov~, ossia il rammollirmi nel torpore, il veternus, dove tanti ragazzi si ottundono in situazioni dai problemi occultati. La durezza delle virago di casa mi ha preparato alle battaglie che avrei dovuto affrontare per diventare e rimanere me stesso. Il dolore mi ha reso buono, la deformità e lo squallore dove ero precipitato a ventanni mi ha spinto alla ricerca della bellezza. Ero stato messo in croce, come il figlio di Dio da suo padre, perché risuscitassi migliore di prima: più generoso, più bravo e più bello.

L’unico che sorrideva in casa era il nonno Carlo che ho recuperato del tutto al mio affetto anche se non poteva darmi denaro siccome aveva venduto il palazzo quattrocentesco della sua famiglia a Gherardo Buitoni per 200 mila lire che non investì nel 1944 e gli servirono per pagarsi il funerale una cinquantina di anni più tardi.

Questo palazzo  conserva il cognome Martelli  nella piantina che si trova nella pinacoteca di Borgo Sansepolcro nel cui cimitero ora riposano in pace i resti mortali dei nonni, della mamma delle zie e dei Martelli più antichi.

Sono stato più volte a trovarli, pregare e a prendere auspici su questa tomba che per me è un’ara. Ogni volta scavalcando l’Appennino con la bicicletta. Anche questo devo ai miei cari.

 

A Pesaro c’è  un altro palazzo non più nostro ma con un cognome nostro: il palazzo Scattolari dove nacque nel 1882 la nonna Margherita che invece seppe conservare la terra

 

Nella tragedia Eracle di Euripide, Megara rivendica il palazzo di famiglia: “ figli, seguite il piede disgraziato della madre al palazzo paterno: ou| th'" oujsiva"-a[lloi kratou'si, to; dj o[nom j      [esq j hJmw'n e[ti ( 337-338), del quale altri hanno la proprietà, ma il nome è ancora nostro”.

 

 

Questo nonno sorridente, del tutto improvvido rispetto al denaro, ha svolto  la funzione della madre del puer alla fine della IV Bucolica di Virgilio: “incipe, parve puer, risu conoscere matrem (60)

(…)

Incipe, parve puer: cui non risere parentes,

nec Deus hunc mensa, Dea nec degnata cubili est  (62-63), comincia bambino fin da piccolo, a conoscere la madre dal sorriso, comincia  fin da piccolo, quelli cui non sorrisero i genitori, né un dio ha giudicato degno della sua mensa, né una dea del suo letto.  Sono molto grato a Carlino.

 Sono molto grato anche alle dèe che mi hanno considerato degno del loro letto. Ricordo le due Elene.

Il nonno mi ha lasciato più del denaro: oltre il ricordo dei suoi sorrisi da vecchio povero, l’amore per le donne, per il sole e per la bicicletta.

 

Bologna 16 settembre 2024 ore 20, 2o

giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Virgilio, Eneide, VI, 620, imparate la Giustizia una volta avvisati e non disprezzare gli dèi.

[2] Leopardi, Le ricordanze, 108-109(

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