Ifigenia XXIV. L’amore d’inverno
Mercoledì ventinove novembre, fin dalle prime ore del pomeriggio, su Bologna, dove lunghi sono gli inverni, cadde a fiocchi grandi la neve, che in poco tempo rese canuta la terra.
Ifigenia fece suonare il campanello verso le cinque, quando era già buio; corsi ad aprire il portone, perché ero impaziente di fare l’amore; ma, come la vidi, mi fermai stupito, senza toccarla, senza invitarla a entrare, senza dire parola: non avevo mai visto una tale unione di inverno, colore e calore di vita: i capelli bruni bruni, bagnati, a tratti innevati, le scorrevano giù per le spalle come un ruscello montano cupo di gelide ombre , e aspro di pietre biancastre, facendola rabbrividire, ma gli occhi violacei, lucenti mi versavano addosso una morbida luce che fluiva calda dal cuore. La osservavo in silenzio, mentre i fiocchi larghi continuavano a caderle addosso, evidenziandosi sulle ciocche scure, come sulle chiome perenni degli abeti montani, e trasformando la luminosa ragazza in una creatura dei boschi: una dolce cerbiatta dalla pelle screziata, oppure una bella baccante che dopo la dolce fatica della corsa sui monti si riassetta la nebride multicolore onorando il dio suo, Bacco, signore della gioia di vivere, della festa lieta, delle grazie tutte, del desiderio.
Mentre nella fredda oscurità della notte precoce contemplavo la vivida fiamma della mia giovane amante, mi riempivo e scaldavo di gioia. Dopo qualche momento di stupito silenzio, la ragazza disse: “mi fai entrare? Sento un poco di freddo”.
Mi scostai dalla porta: Ifigenia entrò senza indugiare e, poiché l’ascensore non funzionava, cominciò a salire i cinque piani di scale spedita, facendo ondeggiare la testa, e le anche, sulle gambe robuste molleggiate dalle caviglie sottili, mentre i piccoli piedi, nello sforzo di ascendere i molti gradini di corsa, si appoggiavano e sollevavano con leggerenza, potenza e agilità. Le correvo dietro ammirato e felice. Quando fummo davanti alla porta dell’appartamento, la aprìi con la destra un poco tremante, poi con la sinistra le feci segno di entrare. Ero pieno di desiderio amoroso. Lo sentiva concordemente anche lei, poiché procedette fino alla sponda del mio grande letto dove si svestì con rapide mosse. Mentre, con le vesti cadeva sul pavimento la neve, la splendidissima amante mi chiese di spogliarmi subito e di abbracciarla senza i preamboli solitamente graditi: il marito, assai sospettoso, non poteva crederla a spasso nel caos bianconero della notte nevosa, né, tanto meno, doveva immaginarsi che passasse il tempo nell’alcova di un uomo: perciò era necessario che rientrasse non oltre mezz’ora dopo la lezione di yoga, che finiva alle sei e distava un chilometro circa da casa sua. Ci eravamo spogliati. L’abbracciai senza dire parola: il seno si era già intiepidito, anzi conservava gli odori della terra lietificata dal cielo estivo: pensai che non era il tepore domestico a renderla così calda e vivace appena si era sottratta all’iniqua, mortificante stagione, ma il suo giovane sangue fervido sotto la pelle ancora abbronzata e profumata dal sole che durante la nuda estate l’ aveva baciata con lucida forza amorosa, lasciandole addosso indelebili segni di bellezza, di salute e di gioia. La baciai anche io per succhiare una parte di quel calore celeste; quindi la distesi sul letto inclinando il mio corpo avido, scuro e magro su quello armonioso di lei: ne trassi piacere e voglia di vivere, eppure pensai a quando le sue magnifiche membra, coperte dall’ultima veste, la nera terra, l’avrebbero fatta fiorire di sanguigni papaveri, o di rose rosse, odorose della sua carne.
Pesaro 27 settembre 2023 ore 10, 35 giovanni ghiselli
p. s.
Questa pagina mi sta particolarmente a cuore. Racconta e mitizza una delle ore più belle di questa mia vita mortale.
Ifigenia XXV. Secondo natura e contronatura.
Facemmo l’amore raddoppiando il numero della sufficienza.
Fuori nevicava nel buio. Dentro il talamo nostro eravamo contenti della fusione dei nostri corpi. La situazione era bella e favorevole alla felicità ma il mio passato di assidui terrori mi spinse di nuovo verso la demolizione della gioia di cui pure avevo fruito e goduto.
“Ifigenia sei un’amante speciale. Peccato che il nostro amore non possa durare a lungo”
Parole che non avevo mai detto a nessuna delle mie finlandesi pure amatissime, ma con loro non ce n’era bisogno perché sapevo che se ne sarebbero andate per forza di cose e magari mi sentivo viceversa propenso a trattenerle. Ma questa? Che cosa avrei fatto di lei se avesse lasciato il marito? Avrei dovuto occuparmene io? Come avrei potuto?
Un’amante non doveva responsabilizzarmi troppo se non voleva rattristarmi. Per una figlia mi sarei potuto prendere delle responsabilità o per la madre mia, perfino per le mie zie, ma con una senza legami di sangue il rischio era abnorme: eccedeva le mie capacità.
Ifigenia ribattè con il suo buon senso: “Perché fai così il guastafeste dopo che te la sei spassata con me? Non ti sembra inopportuno rovinare questa serata splendida di neve e di gioia con una previsione funesta? Lasciati andare all’ottima sorte che ci ha accarezzato. Per me, ma anche per te è una fortuna! Sono pensieri malati quelli che vogliono mortificare la gioia.
I nostri nemici invidiosi dicono che il dislivello di nove anni tra noi è eccessivo, che tu per giunta sei un donnaiolo attempato, un rudere libertino corruttore di giovani donne e io una poco di buono che vuole adescarti e sfruttarti rompendo la fede matrimoniale, eppure sono sicura che tu non hai mai fatto l’amore con tanto ardore quanto ne hai avuto or ora con me”.
Aveva ragione ma io non volli lasciar passare un’affermazione tanto compromettente senza ribattere
“Come fai a essere tanto sicura? Che cosa sai di preciso della mia vita amorosa passata?”
“Lo sento-rispose senza esitare un istante.- E lo vedo nel tuo comportamento del tutto diverso da queste tue parole da scettico.
Da come mi guardi, mi baci, mi tocchi sento il tuo amore. Hai pure lasciato una donna che ti faceva comodo a quanto dicevi”.
“E l’altra?”
“La lascerai presto per dedicarti soltanto a noi due. Stai diventando ogni giorno migliore: meno egoista, opportunista, meno pretificato in senso gesuitico, anche se ora fai il cinico perché hai paura dell’amore che senti per me e che io ti contraccambio con la potenza aggiunta del mio entusiasmo e la forza della mia giovinezza. Noi due ci miglioriamo a vicenda. Io ti ho fatto sentire che cosa è l’amore privo di calcoli, elucubrazioni e remore, indugi, e tu mi fai capire che cosa schifosa è l’ignoranza, perciò da quando ti conosco studio sul serio e cerco una via di progresso, di ascesa con te”
Ifigenia aveva ragione, però io non avevo ancora deciso di lasciare l’altra amante bolognese Pinuccia che mi faceva comodo assai e non chiedeva niente: era del tutto gratuita. Dovevo prendere tempo con entrambe le amanti.
Sicché cambiai atteggiamento e tono: guardai Ifigenia con occhio lascivo, le accarezzai la parte interna delle cosce odorose e dissi: “carissima, questa sera dobbiamo aggiungere un’altra trilogia erotica e arrivare a comporre le enneadi”.
Ifigenia XXVI. Ora comprendo.
Ifigenia rimase sconcertata da questa mia provocazione sessuale che era anche evasiva rispetto alla sua volontà di un chiarimento sentimentale. Mi fece un sorriso malinconico che manifestava la sua delusione. Sicuramente le dispiaceva il mio eludere la sua offerta di amore lasciandola senza risposta per deresponsabilizzare me stesso e ridurre quel nostro incontro a un’abbuffata di sesso. Ora comprendo che le facevo del male e so che questo mi sarebbe tornato addosso per il contrappasso.
Ifigenia aveva ragione dicendo che sarebbe stata cosa buona credere nella durata del nostro amore: lo avrebbe reso più forte, persino più gustoso, e accresciuto la nostra gioia.
Ora capisco che quella ragazza bella e vivace, la giovane donna che mi stava davanti, che mi piaceva molto mentre ne ammiravo il fiorire rigoglioso dei seni, la potenza delle cosce lisce, sode e tornite, il luccicare dagli occhi vivaci, il lampeggiare dei denti voraci di vita, cercava giustamente il mio appoggio e io avrei dovuto aiutarla a trovare un equilibrio, uno stile suo, una forza morale da coniugare con l’ordine mentale e sentimentale che dovevo imporre a me stesso dopo tante pose e scene erotiche, estetiche e culturali, tutte piuttosto superficiali e confusionarie.
Il più immaturo tra i due, il più spaventato dalla vita ero io.
L’aiuto senza riserve avrei voluto darlo a una figlia mia, a questa però la madre non aveva permesso di venire alla luce, e la mia complicità nel misfatto mi avrebbe negato ogni forma di paternità carnale nei secoli dei secoli. Mi è rimasta quella delle parole che scrivo. E così sia.
Pesaro 13 settembre 2024 ore 17,44 giovanni ghiselli
p. s.
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