Ifigenia XXI. Il corteggiamento inverso, ossia fatto per lasciare un’amante.
Avevo dunque deciso di lasciare intanto Esculapia. Le telefonai verso l’ora di cena dicendole direttamente: “vediamoci domani, se puoi: ti devo parlare”. Usai un tono serio, quasi severo perché questa donna tendeva a ridicolizzare la mia volontà di fare chiarezza tra noi, ossia di liberarmi dal giogo che cercava di mettermi sul collo per fare di me la maxima victima sebbene io non sia un taurus né lo fossi allora. La dottoressa comunque non si lasciò impressionare.
Rispose: “Va bene Ghiso, divina creatura!”. Era più attempata di me e tendeva a vezzeggiarmi giovanilmente, cioè impropriamente.
Quindi spiattellò la propria generosità di nutrice: “Ti aspetto domani sera a cena. Cucinerò per te”. Per giunta viveva con i suoi genitori. Diceva di essere divorziata ma non credo fosse vero.
Con una cena semiufficiale voleva rendermi più problematico il congedo che sentiva nell’aria. La sera dell’addio dunque, suonato il campanello con un tocco leggero, aspettavo davanti alla porta con aria stanca e un poco preoccupata.
Venne ad aprire la madre, una donna non vecchia, dai biondi capelli avvelenati e loquace. Trattava la figlia oramai quarantenne come una bambina prodigio siccome, sì giovane ancora, era già diventata direttrice di una clinica.
“Buona sera professore, venga avanti”, disse in piena contraddizione con il mio proposito retrogrado.
Quindi mi guidò nella sala da pranzo dove mi fece sedere e mi domandò come stessi.
“Non c’è male, grazie. E lei signora?
“Io benissimo, ma lei perché dice solo non c’è male? Mi sembra in ottima forma” In effetti lo ero, grazie a Ifigenia però, non ad altre.
“Sono un poco stanco di alcune cose” dissi per prepararla alla novità che volevo annunciare.
“Come può essere stanco-replicò renitente ad accogliere l’annuncio dell’evento che sospettava-dopo appena due mesi di scuola? Poi lei ha quasi tutti i pomeriggi liberi per riposarsi. Pensi alla figlia mia che lavora dall’alba al tramonto in questa stagione e quando torna a casa mi aiuta: tra poco, per fare un esempio, mangeremo delle tagliatelle fatte da me e condite con un sugo cui ha messo mano Esculapia: farebbe risuscitare i morti. Tra poco lo sentirà: c’è dentro tutto l’estro della sua ragazza”
Queste ultime parole mi fecero paura. “Quale ragazza e quale mia?”, pensai
La osservavo accentuando con l’espressione del viso la tristezza che tutta la situazione spiacevole mi stampava in faccia ma non riuscivo a bloccare la compiaciuta retorica gastronomica tipica delle casalinghe della grassa Bologna. L’aspirante suocera mi squadernava l’elenco degli ingredienti.
Cercai di smontare questa allegrezza fasulla: “No, non è della scuola che sono stanco e annoiato. Anzi, insegnare mi piace”
“Oh bella! Allora di cosa? Non sarà mica stanco di vivere?” domandò con una sfumatura aggressiva sperando di dissuadermi dall’intento che oramai aveva capito.
“Sono stanco di deludere persone migliori di me. Mi sopravvalutano, si aspettano troppo e mi danno sensi di colpa”.
Appena ebbi detto queste parole cui non era facile rispondere con una banalità elusiva, mentre la madre dava segni di imbarazzo, entrò la figlia arzilla come una cutrettola, e fervente di una contentezza ostentata, chiaramente inautentica. Si aspettava anche lei la fine di tutto.
“ciao Ghiso-trillò- Oggi ho chiuso i conti di un reparto. Il personale va tenuto d’occhio. Tu che cosa hai fatto di inutile e bello nel pomeriggio, divina cratura? Hai corso, pedalato o studiato?”
“Tutte e tre queste cose che devo ogni giorno a me stesso”
“E a me non devi niente?”
“Sì certo. Ti devo gratitudine per quanto c’è stato tra noi e la verità sulle mie intenzioni”.
Ifigenia XXII L’ultima cena con Esculapia
Esculapia non raccolse le ultime parole, anzi le ignorò o finse di ignorarle perché non voleva sentire subito tutta la verità.
Sicché riprese a parlare risalendo alle corse e alle pedalate che avevo dichiarato: “adesso dunque avrai una gran fame. Chiamo il babbo e cominciamo la cena” . Non disse l’ultima ma doveva avere capito che non ce ne sarebbero state altre per noi due insieme.
“Vuoi lavarti le mani?”, aggiunse e se ne andò senza aspettare risposta. Era una donna restìa ad ascoltare. Preferiva parlare cercando sempre di imporsi. Cosa antierotica al massimo.
La madre era già in cucina. Rimasi qualche minuto da solo, senza impazienza. Il babbo era la persona più interessante della famiglia: faceva il maestro elementare e parlava del nostro lavoro di educatori con entusiasmo e vivo interesse per la formazione mentale dei bambini. Il lavoro dei maestri mi è sempre interessato per via delle mie zie e mi dispiace il fatto che in sette decenni abbondanti di insegnamento non abbia mai avuto occasione di insegnare anche ai bambini delle elementari. L’unico ordine di scuola che ho frequentato solo da scolaro. Il bravo maestro dunque entrò per primo nella sala da pranzo e ci salutammo con simpatia. Sentivamo di essere persone dello stesso stampo. Subito dopo fecero il loro ingresso le due nutrici: la madre portava sulle mani, trionfalmente, il vassoio colmo di pastasciutta fumante. La figlia teneva sulle braccia il secondo di carne e contorni. Il pane e le bevande erano già sulla tavola.
Cominciammo a mangiare. Il sughino in effetti era buono: non oscenamente grasso come usa a Bologna. Osservando e ascoltando il maestro che parlava di scuola e di educazione con volto raggiante pensai che Esculapia si era interessata a me per una certa somiglianza spirituale che avevo con il padre suo.
Quando interrompemmo il nostro discorso per lasciare spazio alle donne che non sembravano interessate a parteciparvi, il dialogo cambiò tono del tutto: che tempo faceva, quant’era buona la pasta, se il formaggio ci stava bene, quanto erano ladri i bottegai, quanto crescevano i prezzi: perfino le patate erano rincarate terribilmente. Mi sembrava di essere passato dal Simposio platonico alla cena di Trimalchione.
A un certo punto però Esculapia mi obbligò a prendere una posizione precisa nei popri confronti davanti al babbo e alla mamma.
“Bene, Giovanni Ghiselli-cominciò solennemente dopo un momento di generale silenzio-dimmi quali sono i tuoi piani per il nostro futuro”
“Temo che non abbiamo un futuro insieme-risposi- siccome non ci sono interessi comuni tra noi: per giunta io voglio darmi completamente allo studio dei classici e all’educazione degli adolescenti”
“E questo dedicarsi tutto alla scuola basterà a riempirle la vita?” intervenne la madre
“Sì, mi terrà occupato ogni pomeriggio feriale e le giornate festive dalla mattina alla sera esigendo tutto il mio tempo. Per diventare un educatore di ottimo formato come suo marito, adesso devo rivendicarmi a me stesso.
La citazione di Seneca, che il maestro conosceva, voleva sottolineare il significato morale della mia scelta.
Il bravo maestro allora mi domandò: “come mai lei e la mia figliola in tre mesi di frequentazione non avete trovato uno scopo comune? Forse non vi piacete o non vi stimate abbastanza”.
“Suppongo che sia come dice lei- confermai guardandolo in faccia, sicuro che avrebbe capito. “I nostri rispettivi interessi sono talmente lontani tra loro che non troviamo argomenti comuni, e questo a lungo andare ci ha allontanati l’uno dall’altro”
“Allora smettete di frequentarvi presto e del tutto” suggerì il padre suo
“ perché così perdete tempo e vi rendete peggiori a vicenda”
“E’ proprio così, ma di questo voglio parlare più tardi da solo con la vostra figliola se permettete”.
Quindi lasciammo cadere questo argomento e seguitammo a cenare parlando del più e del meno.
Ifigenia XXIII. L’Addio a Esculapia
Uscimmo da casa sua insieme per l’ultima volta. Quando finalmente riebbi sopra la testa la grande apertura del cielo, le dissi che non me la sentivo più di fare l’amore con lei perché mi ero innamorato di una collega con la quale avevo più interessi in comune, più parole da dire e cose da fare.
Dissimulai tacendole il fatto che Ifigenia era più bella, più fresca in tutti i sensi e mi piaceva molto di più.
Esculapia ribattè che sarebbe stata felice se avessi contraccambiato il suo amore. L’aveva sperato perché una volta quando ero prossimo a lei e all’orgasmo, avevo sussurrato “tesoro”.
Quindi si intenerì e versò alcune lacrime.
Probabilmente pensavo a Ifigenia ma non glielo dissi.
“Non te la prendere- cercai di consolarla- non eravamo fatti l’uno per l’altra. Siamo orientati in direzioni diverse”.
“Sarà così Ghisus, ma io volevo il tuo amore perché non sei una canaglia”.
“Credo che il mio bello stia nel fatto che non do importanza al denaro. Mi basta lo stipendio statale per modesto che sia: non ho mai fatto ripetizioni pagate togliendo tempo alla preparazione delle lezioni che devo ai miei studenti della scuola pubblica. Io sono sono per il bene pubblico, non sono capace di una vita familiare”.
“In effetti su questo non mi trovo d’accordo con te”
“Ma questo per me invece è una scelta irrinunciabile. Sono addirittura incapace di una vita privata”.
“Ho capito-concluse-addio: sei una persona cara eppure gratuita”.
La accarezzai e salutai. Me ne andai senza rimorsi né rimpianti.
Pensavo ai miei studenti quattordicenni, a Ifigenia venticinquenne, giovani ancora educabili, recuperabili a una vita bella e morale. Dovevo educare anche me stesso a questo: eliminare i residui di meschinità lazzarona che mi rimanevano addosso dagli anni scorsi, passati non tutti santamente come sai bene lettore che mi segui da tempo. I giovani che si affidavano a me sarebbero diventati creature, opere mie e dovevo farne dei capolavori. Ne avrei potenziato le qualità naturali, li avrei condotti ad amare la vita. Questa è l’etica vera senza la quale non può esserci felicità né pace.
Era un momento di lucidità che verrà offuscata diverse volte nel tempo a venire, come vedrai, caro, affezionato lettore.
Pesaro 13 settembre 2024, ore 17, 14 giovanni ghiselli
p. s.
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