domenica 15 settembre 2024

Ifigenia XXXVII-XXXVIII- XXXIX- XL.


 

Ifigenia XXXVII. Il brutto stile che non fa onore.

 

“Che cosa fate voi due qui appiccicati come piccioni? Non avete sentito la seconda campanella? Che cosa aspettate a entrare ciascuno nella sua classe? Forse la fine dell’ora? Voi due fate perdere tempo a me e ai vostri alunni”.

 

In quel momento aveva ragione poiché facevamo aspettare i nostri allievi per problemi che riguardavano soltanto noi due. Avrei potuto scusarmi del ritardo ma non me lo consentì lo stile maleducato e offensivo di quella censura verbale.

Dissi solo: “Ora vado”.

 Appena entrato in classe del resto mi scusai con i ragazzi.

Lo stile di un adulto non è un fatto esteriore alla persona ma ne rappresenta il pensiero, il carattere, lo stesso destino. Insomma non dobbiamo mai chiederci perché uno si comporti in un certo modo: ciascuno di noi “fa” così come “è”. In greco fare dra`n è il verbo che significa l’azione, compreso l’agire del dra`ma; ebbene io credo che vivendo ciascuno di noi recita la persona che è, e la vera maschera-persona appunto in latino- di ognuno è la sua faccia. La maschera può avere due facce come la testa di Giano.  

 

Il preside mio se doveva rivolgersi alle persone presunte deboli in quanto  sottopposte alla sua autorità, usava il tono del duce sicuro di sé, imperioso  e intollerante di qualsiasi obiezione, tuttavia non era efficace, cioè non otteneva il risultato voluto, in quanto appariva presto come di fatto era: stentato,  e per smontarlo bastava non dargli importanza, ossia rispondergli con signorile sprezzatura. Allora il suono rauco del suo trombone teso ad affermare supremazia diventava un singhiozzo strozzato.

Nei suoi momenti migliori quel pover’uomo  poteva manifestare aspetti di carattere non cattivo, perfino di umanità, come quando parlando con me ammise di avermi fatto un grave torto nello spostarmi in una classe inferiore: “abbia pazienza professore- mi disse- summum ius summa iniuria”. Rimaneva comunque un uomo dal potere meschino, privo di ogni potenza: il summum ius , voleva dire,  non era  tanto incarnato  da lui, quanto dalla vicepreside che gli aveva potuto ordinare quello spostamento, e lui appena era arrivato nel liceo  non poteva dire di no a una che  nell’interregno aveva preso in mano la gestione della scuola.

Se poi tale degradazione era ingiuriosa per me e danneggiava gli allievi del triennio, lui non aveva potuto fare altro. Davvero un pover’uomo.

 

Ifigenia XXXVIII L’assemblea studentesca. Prima parte.

 

Mi ero dunque mosso dal primo piano per scendere a fare la lezione peparata e dovuta agli scolari. Nel separarmi da Ifigenia, ella mi fece un cenno amichevole con volto rasserenato. Simili alla pioggia e al sole nel cielo, sul volto di lei si alternavano, talora perfino si mescolavano sorrisi e lacrime.

Dopo l’intervallo c’era un’assemblea studentesca. Il popolo degli studenti si radunava nella palestra. Mentre accompagnavo i miei, attendevo un altro segno da Ifigenia sperando che sarebbe stato buono. Infatti mi venne vicina con volto disteso e disse che intendeva parlare agli studenti in assemblea. Se tornare a casa dal marito o in quella dei genitori l’avrebbe deciso più tardi.

Alla fine di novembre gli studenti liceali, in particolare quelli educati da me nei due anni precedenti, non avevano fatto il callo al nuovo predominio  della nuova cricca al potere : i giovani non erano ancora deculturalizzati e spoliticizzati come sarebbero diventati nel giro di pochi mesi. Il non impedito assassinio di Aldo Moro era stato un segnale forte per la stessa classe politica italiana. Aleggiava nell’aria il detto di Caifas: “expedit ut unus moriatur homo”. Il suo tentativo di avvicinare il PCI al governo non era piaciuto a molti. Il 9 maggio del 1978 ha segnato una svolta nella vita politica italiana. Più avanti saebbero stati annientati politicamente Craxi e Andreotti.

 

Da un paio di mesi il preside appena arrivato e i suoi complici pretendevano che a scuola non si facesse politica né cultura, che non si evidenziassero le immagini belle né le idèe originali, sovversive, secondo loro, anche se lette nell’opera di Seneca. Erano guardati e trattati male i pochi docenti che impiegavano i testi per aprire le menti dei giovani a quanto di intelligente e di bello c’è nell’umanità e nel mondo, al di là degli stereotipi imposti dalla pubblicità e dalla propaganda del potere.

Nel campo del latino e del greco docenti e discenti dovevano fermarsi a declinazioni, coniugazioni, regole ed eccezioni vere o presunte, senza arrivare al messaggio politico, estetico e morale contenuto nei testi. Come seppe che insegnavo il latino con la grammatica e la sintassi necessarie e pure  attraverso i testi di Seneca con i suoi messaggi morali avversi all’ingiustizia e alla prepotenza, il preside entrò in classe e cercò di sbugiardare me e il filosofo, del quale leggevo e commentavo la lettera 47, dicendo ai ragazzini che Seneca bastonava gli schiavi. Le parole “Servi sunt, immo homines.  Servi sunt immo contubernales. Servi sunt immo humiles amici. Servi sunt immo conservi si cogitaveris tantundem in utrosque licēre fortunae (47, 1) secondo lui erano ipocrite e ingannevoli.

Gli alunni insomma dovevano pensare di meno e obbedire di più.

Pretendere che lo studio dei classici si fermi prima di dotare  i ragazzi dei mezzi della critica nei confronti delle varie tirannidi che vogliono annientare la libertà di parola, di pensiero e di sentimento, è come imporre che nel letto dove si nasce si dorme e si muore non si faccia l’amore o che nel bagno si faccia ogni cosa fuorché lavarsi.

 

Ifigenia XXXIX L’assemblea studentesca. Seconda parte.

 

Non si deve dare troppa importanza al nuovo preside: non è stato il genio creatore del riflusso nel liceo classico meno antico tra i due della città, ma soltanto l’uomo messo nel posto giusto  al momento giusto dal punto di vista della reazione alla vivacità politica degli studenti e di alcuni insegnanti.

Verso la metà degli anni Settanta dopo un lustro di stragi, come ho già scritto nella storia di Päivi, era cominciata la reazione alla “moda” della sinistra che dal   j68 era seguita da gran parte del mondo delle scuole; dopo l’uccisione di Aldo Moro e il fallimento del compromesso storico della primavera del  j78  si era avviata questa era peccaminosa dell’annientamento della solidarietà, della cultura, e su tale strada veniva metodicamente annichilito tutto il meglio dell’umanesimo, ossia dell’amore per l’umanità.

Ricordate la finlandese Helena che nel 1971 mi disse di amare di amore umanistico tutta l’umanità?

Ebbene, alcune sere or sono ho visto un servizio televisivo che documentava ragazze e ragazzi finlandesi armati fino ai denti e addestrati alla guerra. Nei primi anni Settanta erano di moda l’amore e la solidarietà globale, oggi la guerra e la violenza.

Molti tra i ragazzi del Minghetti provavano a contrastare tale reazione  intesa a diffondere intanto l’egoismo e il menefreghismo ma gli ordini trasmessi ai burocrati locali dal potere centrale era quello di favorire l’ignoranza a partire da quanto concerneva il fatto che i giovani che non dovevano apprendere la capacità di criticare chi trasmetteva ordini.

A questo risultato contribuivano una scuola che veniva resa peggiore, dove cioè si studiava sempre  meno e meno bene. Gli studenti, a mano a mano che i mesi passavano, perdevano gli strumenti per fermare tale declino degli istituti nella palude dell’ignoranza. Rimaneva loro il vitalismo dell’età che però, non sorretto da un logos disciplinato, educato dallo studio, e da un pathos che ama la vita, non escludeva il caos, il disordine di vizi anche deleteri.

Ifigenia parlò all’assemblea in modo efficace. Riferì alcune idèe che aveva discusso con me e seppe farlo con precisione non priva di grazia. Seppe recitare le nostre idèe con magnifico pathos illuminato dal suo splendido aspetto. Mi sentìi innamorato di lei più che mai. Le attrici belle e brave mi sono sempre piaciute, fin da bambino. Anche la mamma e la zia più importante, la Rina tendevano a recitare.

  Pesaro 15 settembre 2024 ore 17, 53 giovanni ghiselli

 

 Ifigenia XL L’assemblea studentesca. Terza  parte conclusiva. La  menade.

 

Ora so che a formare il mio sentimento amoroso e quasi paterno verso Ifigenia contribuirono in parti non minime il narcisismo, la vocazione di educatore e il desiderio di una figlia frustrato dall’abortimento di quella che Päivi aspettava da me dopo un mese di amore nell’estate del 1974.

 

Il narcisismo era stimolato dal fatto che in questa giovane collega vedevo riflessa la mia stessa immagine ringiovanita e imbellita; la vocazione di educatore mi faceva credere che avrei fatto una cosa egregia impiegando buona parte delle mie forze per aiutare a crescere una creatura tanto dotata.

 

Ora che ne narro la storia so che il destino attraverso il fallimento di questo amore, dopo quello delle tre finlandesi, mi spingeva a scrivere quanto ho già fatto, quanto sto facendo e quanto seguiterò a fare.

 

Intanto era entrato il preside che si stropicciava le mani come un usuraio.

Mi torna in mente questo particolare perché in fondo anche io avevo in mente l’usura o per lo meno l’utilizzo della ragazza per i miei scopi. Lei del resto aveva i suoi.

 

Non che avessi intenzioni cattive, però non ero capace di amare e comprendere quella radiosa creatura quale persona indipendente e distinta da me, e se potevo ammirarne la bellezza e la vitalità, in quanto mi infondevano forza e salute attraverso il piacere, ne temevo le incertezze, le debolezze, l’immaturità, e d’altra parte osservavo con sospetto il suo desiderio  e bisogno di svilupparsi diventando se stessa, chiunque ella fosse: giudiziosa o sventata, santa o demoniaca, docile e mite oppure bipede, feroce leonessa.

Ora so che avrei dovuto aiutarla a diventare quello che era, come facevo con i miei studenti e con me stesso. Ma ne avevo paura: temevo che fosse lei a fare il massimo uso di me, il più cinico e privo di scrupoli.

 

La mattina  buia di giovedì 30 novembre 1978, però avevo confuso il senso della scena e dello spettacolo di cui Ifigenia era dotata e che nell’affollata assemblea poté esplicare, con una somiglianza dei nostri scopi che già allora probabilmente non c’era.

Eppure il suo recitare con efficacia le mie convinzioni mi affascinò al punto che quando l’assemblea fu terminata le andai vicino con riverenza, quasi con timore, come ci si può accostare a una prima donna, una diva, e dissi: “Brava, sei stata magnifica. Io ti amo. Non scappare da casa, non mancare qui a scuola. Non posso sopportare l’idea di passare un giorno senza di te”.

Mi guardò con aria compiaciuta. Io allora, per piacerle ancora di più, aggiunsi: “Questa sera lascerò la buona Pinuccia. Voglio stare solo con te”.

 

Allora Ifigenia fece un sorriso che le impresse due piccole fossette luminose e festevoli sulle guance già belle. Come quando, dopo un giorno di pioggia, un raggio di sole imporpora le nuvole inquiete, disaggregate nel trepido occidente da dove i mortali donne, uomini e uccelli  contenti traggono  auspici lieti con la promessa di un giorno luminoso dopo quello già tetro che si compie però inviando un sorriso alle creature buone.

 

 

Lo dissi a Ifigenia che chinò la testa in segno di assenso. Adnuit mihi oranti. Eravamo felici. Al marito scimunito avrebbe raccontato una qualunque storia credibile. Gliel’avrebbe fatta credere. Il suo volto assunse un’espressione da menade scatenata durante un baccanale furioso.

Meno di tre anni più tardi la parte dello scimunito sarebbe toccata a me. Recitiamo sempre.

 

Bologna 15  settembre ore 17, 57.  giovanni ghiselli

 

p. s.

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