giovedì 12 settembre 2024

Il viaggio in Grecia del 1978 VIII parte. A Micene. Ifigenia e Clitennestra. La notte sul tetto del povero ostello.

La mattina seguente pedalai da Epidauro a Micene. L’occhio era guarito del tutto. I terrori  nati dai mostri che la fatica aveva risvegliato, poi evocato dalle tenebre, erano stati espulsi e ricacciati nelle caverne infernali con gli orribili demoni che li avevano generati ingravidando streghe deformi quanto le sorelle Forcidi che hanno un solo occhio e un dente soltanto da condividere in tre.
Rinfrancato del tutto, potevo riprendere il dialogo con la mia bella, eroica figliola.
Ifigenia era più che mai decisa a morire per dare un esempio. Parlavamo mentre si cavalcava affiancati lungo la strada che prima scendeva sul porto di Nauplion amena, poi risaliva fino alla rocca possente di Micene ricca d’oro, costeggiando le fortezza minori di Tirinto e di Argo eponima della sitibonda regione.
Come fummo arrivati alla porta dei leoni, la sposa Tindaride mi accolse senza cordialità: non gradiva l’intesa evidente che si era creata tra me e la  nostra figliola primogenita.
A Clitennestra non chiesi la ragione di tanta freddezza: volevo corteggiare e vezzegiare  la mia ragazzina che si era consacrata alla patria  con una morte gloriosa.
Ifigenia parlò all’assemblea popolare e disse che con il sacrificio della sua vita avrebbe salvato la Grecia dai barbari che non dovevano osare altri rapimenti di donne.
w\ lh`m j a[riston  o anima ottima”, mormorai, “non posso dire più niente, se questa è la tua decisione: gennai`a gar fronei`~  è nobile il tuo pensiero1.
La mia creatura moriva anche per la gloria dei Pelopidi e pure per  la mia di a[nax: sarei stato il condottiero capace di punire il crimine dell’ospite profanatore distruggendo dalle fondamenta la città che aveva accolto il principe indegno, il bel donnaiolo vigliacco in compagnia dell’adultera Elena, la mia sciagurata cognata, l’emula di Afrodite che si sarebbe tramutata nell’incarnazione di Nemesi. Il popolo era commosso e trascinato dal fulgido esempio dato dalla mia cara figliola: tutta la gioventù era pronta a sacrificarsi per l’Ellade santa, e per me. Ne ero felice. Non prevedevo la  nemesi incarnata in entrambe le sciagurate sorellastre: l’adultera Elena e Clitennestra la bipede  leonessa feroce.
 
Verso sera notai che la rocca non era cupa né sepolta nell’ombra come avevo letto nei manuali di storia, anzi prendeva i raggi del sole fino alle otto e otto minuti.
Pensai che gli eroi e gli artisti dell’antica reggia avessero tratto forza da quella luce presente e  viva fino al tramonto. La sua resistenza alla tenebra mi riempiva di gioia
Il sole accarezzava la terra con i suoi ultimi raggi come Febo con il plettro d’oro  tocca le corde della sua lira sul far della sera. Passai la notte nell’ostello della gioventù situato duecento metri sotto il palazzo degli Atridi.
 Mi avvolsi nel lenzuolo sdrucito e mi stesi sopra una brandina situata sulla terrazza-tetto del povero ostello onde non mi era tronca la veduta del cielo ricco di stelle. Guardavo quelle luci sante  alte sopra di me e sul palazzo dove Agammennone al ritorno da Troia aveva pagato con il  sangue suo l’assassinio della propria figliola.
Quella notte lontana, mentre ero disteso sotto il cielo sereno, le stelle mi sembravano occhi di bambini stanchi che imploravano il sonno e la pace, forse i figli di Tieste che Atreo aveva imbandito al padre loro per odio verso il fratello che gli aveva adulterato la sposa.  Nei versi di animali notturni credevo di riconoscere le grida del re  cui la scure bipenne della moglie furente aveva macellato le membra nella vasca da bagno dove l’acqua fluttuava con onde arrossate dal sangue.
Gridai a mia volta: “una rete è la compagna di letto, la complice dell'assassinio".
Quindi non potei trattenermi e aggiunsi con tutta la voce che avevo:  "tieni la vacca lontana dal toro: lo ha preso nel peplo, lo colpisce con la macchinazione delle nere corna, e lui cade nella vasca piena d'acqua" [1]. Dei ragazzi  assonnati e disturbati dal questo mio farneticare chiassoso, mi intimarono di fare silenzio. Ma quei vicini a me punir erano  lenti, anzi non si mossero e seguitai. 
“Quello è pazzo di nuovo”, avranno pensato quelli che mi avevano visto giulivo in fila tra i ragazzi mentre aspettavo il lenzuolo bucherellato e domandavo a questo e a quello. “che si dice, picciotti?”
Quasi tre anni più tardi, di fianco alla Ifigenia in carne e ossa, la bella giovane collega e amante,  vedevo biancheggiare alla luna le piume di un cigno immoto nell’acqua fredda e tremante dello Starnbergersee, e  pensavo alla morte del lunatico re di Baviera annegato lì dentro mentre cercava di allontanarsi dai  suoi carcerieri. “personaggi regali assassinati- pensai- nel decennio scorso  Allende, Pasolini e Moro. Sono in bilico pure io con costei, con il preside Tanghero e altri malevoli. Però devo cavarmela”


Nota
1Ho utilizzato parole dirette da Achille alla ragazza nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide (vv. 1421-1423)
[1 bis] Sono citazioni tratte dall’Agamennone di Eschilo (vv. 1116-1117 e 1125-1128)
 
Pesaro 12 settembre 2024  ore 10, 07 giovanni ghiselli
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