Prima parte della conferenza che terrò il 17 gennaio nella biblioteca
Pezzoli di Bologna su le Argonautiche di Apollonio Rodio
Introduzione: le Argonautiche; il tempo e i significati del poema
Apollonio Rodio
Le Argonautiche, di 5835 esametri in dialetto ionico. in 4
libri è
l'unico grande poema che resta di tutta la produzione epica compresa tra Omero
e Nonno di Panopoli in Egitto (le Dionisiache , V sec. d. C.,
25OOO mila versi, 48 libri).
Apollonio
visse tra il 290 e il 200. Fu
prefetto della biblioteca di Alessandria fra Zenodoto ed
Eratostene.
Fu educatore di Tolomeo III Evergete (246 - 221) ma ad un certo punto cadde in disgrazia e si trasferì a Rodi dove
fece due edizioni del poema: una narrazione continuata di fatti eroici.
All'inizio
c'è un ampio catalogo degli Argonauti , “Que’ gloriosi che passaro al Colco”[1],
che corrisponde al catalogo delle navi del II dell'Iliade ,
poi i primi due libri descrivono
il viaggio in Colchide, il terzo
l'amore di Medea e la conquista del vello d'oro, il quarto il ritorno.
Ci sono
molti episodi, come quello dello sbarco a Lemno dove gli eroi si sollazzano con "l' ardite femmine
spietate" (Inferno , XVIII, 89). Oppure quello dell'irrisione degli oracoli da parte
dell'empio Ida (I, 465) il quale afferma che in battaglia con Ida
si vince anche senza gli dèi, come e peggio dell'Aiace (vv.768 - 769)
di Sofocle.
Motivo che
torna nel III (560 - 561) libro dove Ida irride la forza seduttiva di Afrodite e gli auspici che
"non badano più alla grande forza di Ares ma a colombe e sparvieri".
Per Ida cfr.
la Nemea X di Pindaro, quella di Castore e Polluce.
Ila invece viene rapito dalle ninfe:
così Eracle (che incarnava
l'eroismo arcaico con tanto di pederastia) abbandona la spedizione e
Giasone diviene l'eroe principale.
Nel II
libro c'è il pugilato di Polluce contro Amico re dei Bebrici in Bitinia.
Secondo
alcuni l'opera è arida e impoetica: il mito vivente di Omero è diventato mitologia.
L'imitazione
omerica presenta variazioni costanti e meditate:"quando l'Aurora splendida
vide con gli occhi lucenti le alte vette del Pelio"(I, 519 - 520). C'è
largo spazio per le storie eziologiche.
E' sulla
linea euripidea quando descrive i sentimenti umani, soprattutto quelli erotici.
Il
meglio sta nei tormenti e nei dubbi di Medea e nelle descrizioni della
natura: quando la nave parte,
lunghi sentieri biancheggiavano come una via in mezzo alla verde pianura (I,
545 - 546).
Quintiliano dice che Apollonio rese l'opera
comunque non spregevole con una certa mediocrità uniforme:"Apollonius...non
tamen contemnendum reddidit opus aequali quadam mediocritate "(X,
1, 54).
Molto nota
è la similitudine del cuore di
Medea che si agita. come guizza e vibra un raggio di sole
nell'acqua appena versata in un vaso (III, 756 sgg.). Quando poi vede Giasone, egli sembra Sirio che si leva in alto sopra
l'Oceano: sorge nitido e bello, eppure porta infinite sciagure alle
greggi; così Giasone le portava il travaglio di una passione angosciosa (III,
957 e sgg.).
Subito dopo
vengono descritti gli effetti d'amore in maniera saffiana: il cuore le cadde dal petto, le si
annebbiarono gli occhi, un caldo rossore le invase le guance, non poté alzare
le ginocchia né avanti né indietro, i piedi sotto erano come inchiodati ( ejk d’ a[ra oiJ
kradivh sthqevwn pevsen…all j uJpevnerqe pavgh[2] povda~ III 963 - 965).
Giasone poi
fa l'esempio di Teseo che fu salvato da Arianna, nipote del sole come Medea (Argonautiche,
III, 997 sgg.) e qui forse Apollonio è ironico, come Admeto di Euripide che
vorrebbe avere la voce di Orfeo (Alcesti).
L'antieroe ellenistico non manifesta le sue migliori qualità nella
pratica dell'agire, ma piuttosto nell'arte della parola, del persuadere e
dell'ingannare. In questo
simile a Odisseo
La
descrizione del mantello di Giasone che va ad incontrare Issipile (I, 720ss.)
contrasta con quella dello scudo di Achille (Iliade, XVIII): l’impresa
di Giasone non è guerresca come quella del Pelide, ma erotica.
Il sublime (33) definisce Apollonio nelle Argonautiche "a[ptwto"", privo di cadute, ma poi aggiunge: ma non preferiresti essere
Omero piuttosto che Apollonio?
L'incertezza
impotente deriva dal fatto che questi
eroi non hanno reali motivazioni.
Si tratta di
una saga straniante e labirintica, più simile all'Ulisse di Joyce che
all'Odissea di Omero.
Bonnard in La
civiltà greca (1964) dice che sembra di leggere non un poema epico,
ma una guida per turisti colti.
Nel
catalogo delle navi, Apollonio aggiunge notizie curiose che formano una specie
di manuale geografico per le scuole, monotono e inutile poiché la maggior parte
dei personaggi non conterà nulla.
Nell'isola
di Lemno, Ipsipile che seduce Giasone è la copia di Circe e Calipso.
E' una poesia sensibile al fascino dei boschi e della carne giovane come quella di Ila accarezzato
dalla luna e rapito dalla ninfa della sorgente dov'era andato ad attingere
acqua (I, 1230 sgg).
Gli episodi
si susseguono senza legame tra loro: non c'è un eroe che conferisca unità alle
avventure. Giasone davanti alle
difficoltà è colpito da ajmhcaniva (I, 460),
impotenza.
Cfr. Iliade II
173, dove Atena chiama Odisseo polumhvcan j” ricco di risorse - “Ulisse è l'eroe polùmetis (scaltro) come è polùtropos (versatile)
e poluméchanos nel senso che non manca mai di espedienti, di pòroi ,
per trarsi d'impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa ...La
varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela
con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove essa è immersa per esercitare
la sua azione. E' questa
complicità con il reale che assicura la sua efficacia"[3]. La realtà dei fatti può essere
approvata e assecondata oppure confutata e combattuta, ma in ogni caso va prima
capita.
Il
protagonista non ha la baldanza né gli entusiasmi dell'eroe, ma vive in un
limbo di mediocrità e cautela, tormentato
da indecisioni che quasi paralizzano l'azione.
Lo
attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Apollonio, come Erodoto, ama registrare le
singolarità di un mondo altro, di
culture diverse: i Colchi depongono sottoterra i cadaveri delle donne, ma
appendono agli alberi quelli degli uomini; così l'aria ha parte uguale alla
terra (III, 207 - 210).
Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica.
Apollonio Rodio di Massimo Fusillo.
Nei
confronti della tradizione letteraria c'è rottura e revival. Rottura nella
produzione e ricezione della letteratura, la continuità si trova nel forte intellettualismo che
caratterizza gli artisti alessandrini che volevano possedere e sistematizzare
tutta la cultura precedente, mentre i Tolomei utilizzavano la tradizione greca quale elemento di coesione per
il loro regno etnicamente composito. Apollonio ha scritto un poema
epico rinunciando alla grandezza
eroica per chiara scelta. E' dunque un epos che presenta procedimenti antiepici in quanto
mette al centro l'eros .
Fin
dall'inizio il poeta mette in rilievo il suo io e colloca le Muse in posizione
subordinata invocandole quali ministre
del canto: "uJpofhvtore" ei\en ajoidh'""(22). In realtà le Argonautiche
sono impregnate della poetica callimachea, rielaborata in chiave molto
personale. Il viaggio di Apollonio infatti è costellato di episodi collaterali che sono come degli epilli autonomi.
Callimaco rifiutava il poema unitario e continuo ( e}n a[eisma
dihnekev") e le Argonautiche vivono
di una dialettica fra la poetica callimachea della discontinuità - e la
tendenza epica al racconto unitario.
La
struttura aperta e innovativa ammette l'inserimento di una storia amorosa
intima e privata e l'eros era uno
dei temi prediletti della nuova poetica alessandrina.
C'è un'andata (libri I e II) con un
lungo crescendo verso il meraviglioso e l'ignoto, ancora controllati però dalla
ragione umana, poi c'è il contatto
con l'eros, la magia, il potere (III), quindi c'è il ritorno (IV) che è un errare
angoscioso e labirintico in cui l'iniziativa umana è quasi azzerata. Già l'episodio di Lemno racchiude
alcuni temi chiave di tutto il poema: l'eros, il suo uso strumentale, l'inganno e la caratterizzazione di Giasone
quale non eroe[4], capo
poco responsabile e convinto di un'impresa dura e angosciosa, di cui si sarebbe
dimenticato se Eracle non lo avesse richiamato al dovere.
Cfr, l’inetto
di Svevo, Gonĉarov e Gozzano (Totò Merumeni)
Goethe nel Faust lo presenta in altro modo attraverso parole
attribuite a Chirone: “Fra gli Argonauti, in quella schiera eletta,/ ognuno era
prode a suo modo…Riflessivo, forte, savio, accorto nel consiglio,/ si imponeva
così, caro alle donne (Frauen angenehm), Giasone”[5]
Il principale nucleo assiologico è
l'opposizione amore/guerra.
A Cizico
(nella Propontide) gli Argonauti per sbaglio uccidono i loro amici, i Dolioni,
in una tragica battaglia notturna che sembra visualizzare la cecità degli
uomini: questa è l'unica vera battaglia del poema, ed è svuotata di ogni senso
positivo. Alla fine del I libro Eracle abbandona l'impresa in preda al delirio
amoroso. Nel secondo libro Polluce sconfigge Amico re dei Bebrici nella gara di
pugilato con una tecnica sapiente e controllata: la forza bruta viene
svalutata. E' anche una contrapposizione tra forze olimpiche e forze ctonie.
Uno insulta, l'altro sorride senza rispondere. Polluce schiva i colpi dia; mh'tin (II, 75), grazie
all'intelligenza.
La
barriera delle Simplegadi (II
549 - 608) è simbolica della divisione tra due mondi e il timoniere Tifi che le supera valorizza
l'abilità e la tecnica umana.
Che non
bastano più nel passaggio delle Plancte (IV
920 - 967) dove le Nereidi si palleggiano la nave sottolineando l'impotenza
umana. Rupi erranti (plavzw) dello stretto di Messina. Cfr. plavzw, “faccio errare” e sumplhvssw, “faccio urtare.
Il III libro è quello dell'amore di Medea: infatti è invocata Erato quale musa della poesia
amorosa.
La psiche di
Medea è il centro semantico di tutto il libro. Apollonio è il primo epico a
usare la focalizzazione ristretta, il punto di vista limitato di un
personaggio. Medea si innamora a prima vista (III, 451 - 462) idealizzando la
persona amata. Inoltre usa il monologo.
Medea è combattuta tra le forze della repressione e quelle del
represso: il primo monologo contiene un ejrrevtw mandato a Giasone (v.466), il terzo invece usa la stessa espressione riferita al pudore e alla fama (785
- 786). C'è anche un sogno (616 - 632)
in cui il desiderio si vede nella sua trasparenza: senza l'intervento della
condensazione e dello spostamento: Giasone era andato là per sposarla.
Lei sconfiggeva i tori e seguiva lo straniero.
La teoria
dei sogni risale al medico Erofilo vissuto al tempo di Tolomeo I.
Faceva parte
della scuola medica di Alessandria derivata da quella ippocratica di Cos e
sostenuta dal mecenatismo dei Tolomei.
Apollonio
dunque ha recepito una novità della ricerca scientifica a lui contemporanea.
Erofilo 335 -
280 , fondatore, con Erasistrato, della scuola medica di Alessandria, fu il
primo anatomista
Secondo
monologo vv. 636 - 644
Il
terzo monologo (III, 770 - 801) è considerato il primo monologo interiore della storia letteraria ed è
permeato da tendenze autodistruttive. Nel successivo colloquio con Giasone
traspare il dislivello dell'investimento psichico da parte dei due personaggi
che ancora di più si differenziano nella reazione successiva all'incontro.
All'inizio
del IV libro Apollonio confessa che la sua mente ondeggia in uno sgomento senza
parole (IV, 3): non sa se Medea lasciò la Colchide per amore o per terrore.
Apollonio sceglie il dilemma per significare
la compresenza di desiderio e paura nell'animo di Medea.
L'aggressività
del IV libro è la stessa carica erotica rovesciata per via della frustrazione e
il disinganno.
La distanza
incolmabile tra il mondo epico - omerico dell'eroismo marziale e il mondo
antiepico degli Argonauti viene visualizzata dall'apparizione di Eracle in
Libia alla vista acutissima di Linceo che credette di vederlo come si scorge o
pare di scorgere la luna annebbiata nel primo giorno del mese (IV, 1480).
Significa la non recuperabilità di Eracle. Giasone è l'antieroe della società
ellenistica. Nell'eroe omerico non
manca mai la fiducia nell'azione che sta compiendo. Nelle Argonautiche
invece l'impresa è sentita fin dall'inizio come vuota di senso e fonte di
un'angoscia paralizzante: gli Argonauti desiderano tornare ancora prima
di essere partiti. Giasone dice a
Issipile che su di lui incombono imprese angosciose ( lugroi; a[eqloi,I, 841) ed egli vuole solo la
patria (I, 902).
Giasone è spesso in preda all'angoscia "ajmhcanevwn" (II,
885) anche con sconforto sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva.
Cerca di persuadere Eeta con la retorica, ma il barbaro re propone le prove che
gettano Giasone nella disperazione:"ajmhcanevwn kakovthti"(423).
L'impresa si
compie grazie a Medea.
Argo nipote
di Medea (figlio di Frisso e Calciope,
sorella di Medea) propone di ricorrere all'aiuto della ragazza e la
proposta riceve anche l'avallo di un segno divino interpretato dal profeta
Mopso cui si oppone solo il blasfemo Ida (III, 558 sgg.). Fallisce il modello
epico rappresentato da Peleo e Telamone, e anche quello oratorio diplomatico
rappresentato da Giasone: l'impresa
riuscirà solo grazie a eros e all'inganno.
Il termine ajmhcaniva condensa
in pieno la passività del protagonista. Questo d'altra parte è il termine
chiave delle Argonautiche: molte scene sono dominate da atti mancati, come
quella di Eracle sì e no avvistato da Linceo.
Cfr. il
Giasone di Valerio Flacco[6]:
“sed non sponte feror” (Argonautica, I, 200)
C'è la
tendenza a storicizzare il mito, ad attualizzarlo proiettandolo nel presente: tutto converge verso il presente e sulla
figura dell'autore dotto all'opposto che in Omero dove tutto si
annulla nel passato.
Que’
gloriosi che passaro al Colco
Non
s’ammiraron come voi farete
Quando Iasòn
vider fatto bifolco
E ancora;
Quelli è
Iasòn, che per cuore e per senno
Li Colchi
del monton privati féne
Ello passò
per l’isola di Lenno
Poi che
l’ardite femmine spietate
Tutti li
maschi loro a morte dienno
Ivi con
segni e con parole ornate
Isifile
ingannò, la giovinetta
Che prima
avea tutte l’altre ingannate
Lasciolla
quivi, gravida, soletta;
tal colpa a
tal martirio lui condanna;
e anche di
Medea si fa vendetta” Inferno, XVIII, 86 - 90. Cerchio VIII, prima bolgia,
seduttori (Giasone appunto) e ruffiani (Caccianemico)
Infine
“Un punto
solo m’è maggior letargo
Che
venticinque secoli all’impresa
Che fe’
Nettuno ammirar l’ombra d’Argo ( Paradiso, XXXIII, 94 - 96)
[6] Morto nel 92 d. C. Il poema in sette libri interi e parte dell’ottavo
arriva all’inizio del viaggio di ritorno.
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