costellazione Nave Argo disegnata da Johannes Hevelius |
Torniamo
alle Argonautiche quando Idmone risponde al blasfemo Ida
notando che beve vino puro e dice parole stupide e superbe.
Allora il
bestemmiatore scoppiò in una risata ( ) e stava per malmenarlo ma intervenne Giasone, poi
Orfeo prende la cetra e inizia a cantare un poema cosmogonico di stampo
empedocleo. La terra, il cielo e il mare, un tempo uniti, vennero divisi dalla
discordia funesta ( , 498). Il poema di Orfeo giunge fino a Zeus ancora fanciullo con pensieri
infantili quando abitava la grotta Dittea di Creta e non aveva ancora avuto il
fulmine dai Ciclopi. Un’allusione alla fine di Ida.
Gli eroi al
sentirlo tendevano l’orecchio e allungavano il collo (512). Il canto aveva
lasciato in loro fascinazione.
Segue
l’imitazione omerica con variatio (Aurora con occhi lucenti,
519)-
Poi salpano
tra grida del porto e della stessa nave Argo, la figlia del Pelio che li
incitava a partire. C’era dentro la nave Argo una trave sacra e parlante che
Atena ricavò da una quercia di Dodona.
Gli eroi
sedettero sui banchi: nel mezzo Eracle sotto il cui peso si abbassò la chiglia.
Nota realistica, quasi comica (cfr. le Troiane). Giasone piange.
Remavano al suono della lira di Orfeo.
Le armi al
sole brillavano come fiamme e la scia della nave biancheggiava ( , 545) come un sentiero in mezzo
alla verde pianura
Dai monti
scende Chirone con la concubina ς che teneva in braccio il
piccolo Achille e lo mostrava a Peleo (557- 558). Una scena familiare
raffigurata in diversi sarcofaghi d’età imperiale. Il vento sonoro piombò sulle
vele. Orfeo cantava e i pesci balzavano dal mare profondo sull’umida via.
Seguivano la nave come fa il gregge dietro a un pastore
Segue la
prima parte del viaggio con aitia di nomi: Afete è il nome che prese la
spiaggia dalla partenza di Argo (591) cfr. “lascio andare”.
Poi costeggiano
l’Ossa e l’Olimpo. Vedono il monte Athos sull’estremità della terza penisola
calcidica, quindi arrivano a Lemno dove l’anno prima le ardite femmine spietate
avevano ucciso i maschi poiché per fastidio delle mogli si erano presi per
amanti le schiave portate via dalla Tracia. Era rabbia
tremenda, di
Cipride: da lungo tempo gli uomini non le rendevano più gli onori dovuti (614).
Ammazzarono non solo i mariti ma tutti i maschi. La sola Ipsipile risparmiò il
padre Toante, mettendolo sul mare dentro una cassa di pescatori.
Cfr.
le Supplici di Eschilo, e il mito delle Danaidi con
Ipermestra.
Le donne
temevano l’arrivo dei Traci e quando videro la nave corsero sulla spiaggia:
sembravano le Baccanti mangiatrici di carne cruda.
Gli
Argonauti mandarono l’araldo Etalide figlio di Ermes che gli aveva donato una
memoria incorrotta di tutte le cose ( , 644)
Issipile
raduna l’assemblea e propone di aiutarli mandando cibo senza riceverli in città
perché non conoscano (662) la cosa enorme che abbiamo fatto e una cattiva fama
non cada su di noi.
Parla poi la
nutrice Polisso seduta tra quattro vergini dal capo canuto (cfr. le Forcidi e i
neonati dell’età del ferro). Donne senza uomini si trovano in una situazione
abnorme. Il bianco capo delle vergini è il segno di un mondo capovolto.
Polisso, la
nutrice di Issipile, infatti dice che le donne senza uomini non se la cavano
Di me, fino
ad ora le Chere hanno avuto ribrezzo (690) ma l’anno prossimo non ci sarò.
La
applaudirono e parlò di nuovo Ipsipile: intende mandare un messaggio alla nave
Va Ifinoe
che invita il capo a parlare.
Giasone si
fa bello per la sua aristia erotica piuttosto che eroica: si mette addosso un
mantello più splendido del sole nascente, rosso con bordi di porpora con sopra
effigiati molti episodi. Segue l’ del mantello con i Ciclopi che fabbricano le folgori
per Giove; quindi i figli di Antiope Anfione e Zeto che costruiscono le mura di
Tebe: Zeto con la forza, Anfione con la musica trascinavano massi.
Si
vedevano anche i Teleboi pirati di Tafo che massacravano i fratelli di Alcmena
poi vendicati da Anfitrione. Inoltre la gara di Pelope contro Enomao. Ippodamia
era nel carro di Pelope, Mirtilo guidava il carro di Enomao cui però si spezza
il mozzo
Poi Tizio,
figlio di Zeus, che cerca di violentare Leto e viene ucciso da Apollo
Infine
Frisso che sembrava parlare con il montone. Atena aveva
donato
il mantello a Giasone. Con la destra prese la lancia donata da Atalanta quando
lo incontrò sul Menalo 770
La
ragazza voleva seguirlo, ma Giasone non la volle temendo che scatenasse
rivalità amorose tra gli Argonauti 773
Giasone
mentre si appressava sembrava un astro fulgente che fa gioire la vergine
innamorata di un uomo lontano. In città le donne lo guardano, ma lui tiene gli
occhi bassi. Non ha ancora individuato il (cfr. Medea)
Issipile
come lo vide arrossì e abbassò gli occhi, poi gli disse che dopo essere state
neglette a lungo dai maschi, li cacciarono in Tracia. Non dice del massacro.
Quindi lo
invita a restare offrendogli anche il trono di Toante.
Ma Giasone
ringrazia e dice: Su di noi incombono imprese angosciose ( )
Nell’epica
antica c’era la fiducia totale nell’impresa da compiere
Poi gli
Argonauti vanno in città e si accoppiano con le donne, tranne Eracle che anzi
li richiama al dovere ricordando che devono compiere l’impresa e meritare la
gloria,
Giasone, se
vuole, può restare nel letto di Issipile
Le donne
ronzano attorno agli uomini come api sui fiori e piangono augurando un felice
ritorno. Issipile augura il bene a Giasone e a sé il ritorno di lui o almeno di
avere un figlio da lui
Quindi gli
chiede di ricordarla e pure una parola buona
Giasone dice
che vorrebbe tornare in patria se gli dèi lo liberassero da quella impresa
(cfr. Enea a Didone). Se nascerà un figlio e lui morrà, Issipile lo mandi a
Iolco perché conforti i nonni.
Infine parte
con gli altri. Arrivano a Samotracia, poi alla punta del Chersoneso seguendo le
correnti di Elle. Poi Abido e attraversarono l’Ellesponto.
Quindi la
Propontide, tra l’Ellesponto e il Bosforo.
Poi l’Arctonneso, l’isola degli orsi (cfr. ursus) abitato dai i figli della
terra (943, cfr. il Sofista di Platone) violenti e selvaggi
con sei braccia possenti, due attaccate alle spalle, quattro ai terribili
fianchi. L’istmo che collegava
l’isola alla pianura era abitato dai Dolioni sui quali regnava Cizico.
Poseidone li proteggeva dai tellurici.
Cizico e i
Dolioni ricevono amichevolmente gli Argonauti. Sacrificano ad Apollo, il dio
degli sbarchi. Cizico aveva avuto un oracolo che ordinava di accogliere
cortesemente lo stuolo di eroi. Per cortesia i due capi si facevano a vicenda
domande (980)
Cizico si
era sposato da poco, ma lasciò la sposa nel talamo per gli ospiti. Anche qui
c’è la polarità amore- guerra presente in tutto il poema
All’alba
salirono sul Dindimo, monte dell’Arctonneso ( cfr. Catullo, 63, 11, simul
ite Dindymēnae dominae vaga pecora[22], venite con me gregge errante della signora del Dindimo ) per vedere la
rotta dall’alto. I tellurici però attaccano chiudendo il porto dove ci sono le
navi con delle pietre. Eracle rimasto là li stendeva con l’arco
Poi
tornarono gli altri e fecero strage dei giganti che giacevano lungo il porto
come alberi abbattuti. Ed erano tutti preda di pesci e di uccelli. Quindi gli
Argonauti partono ma il vento li porta indietro dai Dolioni. Sbarcarono di
notte e non si accorsero che il luogo era lo stesso da dove erano partiti, né i
Dolioni compresero: cedettero di essere assaliti dai nemici. Giasone uccise
l’ospitale Cizico senza averlo riconosciuto.
Assurdità
della guerra come nell’Elena e nell’Elettra di
Euripide. Si ammazza il nemico che non si conosce
Questa è
l’unica battaglia ed è assurda.
Cizico
dunque compì il proprio destino. Quello che non possiamo evitare perché è un un
grande sbarramento steso intorno agli uomini (1035).
Molti
Dolioni caddero, finché all’alba entrambi riconobbero il loro errore ( , 1054) e ne ebbero un’angoscia
tremenda. Piansero insieme per tre giorni interii gli eroi e i Dolioni. Fecero
i giochi funebri e Clite, la sposa di Cizico si impiccò. Segue l’aition della
sorgente Clite nata dalle lacrime versate dalle ninfe.
Arrivò un
segno attraverso l’alcione che si posò su l’aplustre (ornamento della poppa).
Allora Mopso svegliò Giasone e gli disse che doveva salire sul Dindimo nel
santuario di Cibele e pregare la dea (1094) madre di tutti i beati. Solo così
cesseranno le tempeste come ha significato l’uccello marino che aveva volato
sul capo di Giasone dormiente. Cibele è una da cui dipendono i venti, il mare,
la terra, i monti. Quando sale in cielo, perfino Zeus le cede il posto. Da
lassù Giasone e altri vedono un ampio panorama: dalla Tracia al Bosforo alla
Misia. Il gusto della geografia,
Fecero un
rito per propiziarsi Cibele costruendo un simulacro ligneo di lei. I giovani
danzarono in armi diretti da Orfeo. Percuotevano le spade con gli scudi.
Aition: da
allora i Frigi onorano Cibele con tamburelli e cembali (piatti metallici)
Cfr.
Lucrezio II, 618- 619.
Tympana
tenta tonant palmis et cymbala circum
Concava,
raucisonoque minantur cornua cantu
I tamburelli
tessi tuonano sotto i palmi e i cembali concavi intorno, con il rauco suono minacciano
i corni.
La dea diede
segni: la terra produceva fiori e frutti e le belve scodinzolavano
Sgorgò anche
una fonte, poi chiamata di Giasone
Riprende la
navigazione
Arrivarono
nella Misia dove vennero accolti in amicizia
Eracle aveva
rotto un remo remando e andò nella selva a costruirsene un altro. Incarna
l’eroismo arcaico. Il suo amico Ila intanto andava a cercare una fonte con una
brocca di bronzo per preparare la cena a Eracle che l’aveva educato a questi
usi quando l’aveva rapito bambino nella casa del padre Teodamante che l’eroe
aveva ucciso tra i Driopi che non si davano pensiero della giustizia.
Ma questo mi
porterebbe lontano dal mio cantare.
Ila dunque
giunse alla fontana dove le ninfe celebravano Artemide con canti notturni.
Una ninfa
dell’acqua vide Ila fiammeggiante di bellezza e di grazia : la luna piena lo
illuminava e Afrodite sconvolse il cuore di lei. (1232 cfr. Saffo)
Come l’acqua
entrò nella brocca mormorando, lei gli cinse il collo con il braccio sinistro,
desiderando baciarlo nella bocca, e con la destra lo tirò per il gomito dentro
il vortice, Ila gridò e lo sentì soltanto Polifemo che gridò a sua volta e andò
a cercarlo.
Incontrò
Eracle e gli diede la triste notizia.
Eracle
divenne come il toro che, punto, si butta in avanti colpito dall’assillo
spietato ( come 1269). Correva, si fermava, urlava
Intanto
viene l’alba con il vento favorevole e Tifi ordina la partenza
Quando lampeggia
l’aurora (variazione sistematica del modello omerico che viene anche allungato:
e brillano i prati rugiadosi alla limpida luce) gli Argonauti si accorsero
della mancanza di Eracle.
Cfr. (Odissea,
2, 1), come mattutina apparve l’aurora dalle dita di rosa.
Giasone
oppresso da pena profonda si rode dentro.
Telamone
invece lo accusa di avere complottato per non venire oscurato da Eracle.
Voleva che
Tifi facesse tornare indietro la nave, ma i due figli di Borea, Zete e Calais,
lo fermarono. Al ritorno vennero uccisi da Eracle nell’isola di Teno e
sopra i cadaveri l’eroe pose due colonne che vibrano ai soffi di Borea. Quindi
apparve Glauco ministro di Nereo che levato il capo dall’acqua disse che il
destino di Eracle era un altro: portare a termine le 12 fatiche, poi essere
assunto in cielo. Quindi non ci sia rimpianto ( , 1320). Del resto di Ila si è
innamorata una ninfa e lo ha fatto suo sposo.
Telamone e
Giasone fanno la pace: il primo si scusa del proprio accecamento ( , 1333). Disperdiamo ai venti la
colpa. Giasone accetta le scuse
Eracle
minacciò i Misi che promisero di cercare Ila e gli diedero i primi giovani in
ostaggio. Eracle li situò a Trachis che ancora oggi sta a cuore ai Ciani di
Misia
Fine primo libro
[16] “Atamante era re di Orcomeno in Beozia. Le sue fosche vicende
familiari furono un soggetto prediletto dai tragici. Eschilo compose un Atamante (frr.
1- 4 a Radt) di cui non si sa in pratica nulla; Euripide un Frisso (frr.
819- 838 Nauck- Snell) e una Ino…Sofocle scrisse due tragedie
intitolate Atamante (frr. 1- 10 Radt) e un Frisso (frr. 721- 723
a Radt)”. G. Guidorizzi (a cura di), Igino, Miti, p. 184.
[21] Si noti l’oltraggio all’ambiente. Anche
nella Tebaide di Stazio la terra soffre il disboscamento
dovuto alla costruzione di una pila colossale per il piccolo Ofelte: “ dat gemitum
tellus”(VI, 107), ne piange la terra. Pale, dea dei campi e Silvano signore
dell’ombra della foresta (arbiter umbrae, v. 111) abbandonano piangendo
i cari luoghi del loro riposo (linquunt flentes dilecta locorum/otia, vv.
110- 111), mentre le Ninfe abbracciate ai tronchi degli alberi e non vogliono
lasciarli: “nec amplexae dimittunt robora Nymphae” (v. 113).
Nell’Achilleide Stazio ricorda che la costruzione della flotta
necessaria alla guerra contro Troia spogliò delle loro ombre i monti e li
rimpicciolì: “Nusquam umbrae veteres: minor Othrys et ardua sidunt/ Taygeta,
exuti viderunt aëra montes./Iam
natat omne nemus” (I, 426- 428), in nessun luogo le antiche ombre: è
più piccolo l’Otris e si abbassa l’erto Taigeto, e i monti spogliati videro
l’aria. Oramai ogni monte galleggia.
L’Otris è una catena montuosa della Tessaglia; il Taigeto, si sa, è la
montagna che sovrasta Sparta. Chi scrive l’ha scalata da Kalamata alla cima (km
33, 12) in bicicletta in 2 ore, 14 minuti e 27 secondi, alla media di 14, 7 Km
all’ora. All’età di 62 anni e 8 mesi.
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