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Parte della conferenza che terrò a Cento sabato prossimo
“La Mente inquieta - Un saggio sull’Umanesimo di Massimo Cacciari”
con Giovanni Ghiselli. Sabato 22 febbraio ore 17,00 - Sala Conferenze presso il
Cine - teatro Don Zucchini.
Oltre
Euripide (Baccanti, 395), Massimo Cacciari (La mente inquieta Saggio
sull’Umanesimo) Marziano Capella (De nuptiis Philologiae et
Mercurii) e Platone (Alcibiade II).
Vediamo
dunque il De nuptiis Philologiae et Mercurii
Filologia ha
nascita terrena ma ha preso dalla madre
Phronesis l’intento di salire alle stelle come riuscì a Omero e
Orfeo. Filologia simbolizza
l’umano capax dei. Quindi ella deve rappresentare
l’insieme delle arti liberali. Filologia
è amore per ogni forma del logos.
Scoto legge
le nozze in chiave neoplatonica e vede Mercurio come interprete della mente
divina, colui che conduce al Nous.
Invece la
filosofia è una “gravis insignisque femina”, dalla folta chioma, colei
che intercede presso Giove perché il dio conceda agli uomini eccellenti “ascensum
in supera”. Filologia dovrà sposare l’interprete che conduce a comprendere
la Mente (nous). Tale comprensione sarà opus e labor di
Filosofia la quale condurrà Filologia alla corte di Giove dove avverranno le
nozze.
Per
ascendere attraverso i circoli dei pianeti fino al sole, platonicamente
chiamato “prima propago” dell’eccelsa potenza del padre inconoscibile,
Filologia dovrà bere la bevanda dell’immortalità che Atanasia custodisce, prima però deve vomitare “coactissima
egestione” tutto ciò di cui è piena, ossia della erudizione umana, troppo
umana.
“Marziano
dice questo mystice poiché fino a quando l’animo umano è
gonfio della scienza terrena e ne è oppresso non può in alcun modo essere
capace della vera sapienza che eleva al cielo” (Remigio di Auxerre, IX secolo)
Poi
quella nausea ac vomitio si trasforma in un’abbondanza di
lettere, volumi che le Arti e le Muse raccolgono. Il sapere di Filologia diventa sapienza. “passa, per così dire, da
potenza ad atto soltanto allorché Filologia inizia il cammino con Filosofia in supera,
soltanto nel momento in cui ella desidera ardentemente l’immortalità”. (Massimo
Cacciari, La mente inquieta, Saggio sull’Umanresimo, cap. terzo Philosophica
Philologia, p. 38)
Dunque
Filologia corre da Filosofia omni studio affectuque, e Filosofia la affida a Mercurio perché le
faccia da guida e da sposo.
Scoto
commenta “Nemo intrat in caelum nisi per philosophiam”.
Filologia
subisce una metamorfosi dalla facies terrestre che vomita la
disordinata congerie di tecniche a colei che riceve il dono delle arti dalle
Muse.
Mercurio
interpreta le arti con una esegesi orientata verso la filosofia. Dal cumulo di saperi le arti si trasfigurano
in Armonia. E Filologia terrestre diventa celeste. Ermete è metaxuv tra Filologia e Filosofia “dialettizza l’ordine dei grammata con
quello della philìa o eros per la sapienza del
Bene, che costituisce la timé di Donna filosofia”. (La
mente inquieta, p. 39)
Nel Simposio platonico
Socrate afferma di ripetere quanto udì da Diotima di Mantinea una donna sapiente
nelle cose d'amore e in molte altre (tau'tav ge sofh; h\n kai a[lla
pollav , 201
d). La sacerdotessa dunque gli insegnò che Eros è qualche cosa di intermedio (ti metaxuv, 202 a). E' gran demone, figura intermedia tra i
mortali e gli dèi (Daivmwn mevga"…metaxuv ejsti qeou' te kai; qnhtou' , 202d), figlio di Poros (Espediente) e della
mendicante Penia (Povertà), e partecipa della natura di entrambi, delle miseria
della madre e delle capacità anche seduttive del padre; inoltre è un filosofo poiché si trova a metà strada
fra sapienza e ignoranza:"sofiva" te au\ kai;
ajmaqiva" ejn mesw/ ejstivn" (203 d).
Aggiungo con
un’associazione forse non del tutto arbitraria queste parole dell’ Alcibiade
II di Platone
SW. `Or´j oân, Óte g' œfhn kinduneÚein tÒ ge tîn ¥llwn
™pisthmîn ktÁma, ™£n tij ¥neu tÁj toà belt…stou ™pist»mhj
kekthmšnoj Ï, Ñlig£kij mn çfele‹n, bl£ptein d t¦ ple…w
tÕn œconta aÙtÒ, «r' oÙcˆ tù Ônti Ñrqîj ™fainÒmhn lšgwn;
vedi dunque,
dice Socrate ad Alcibiade, quando dicevo di questo rischio: che il possesso delle altre scienze se
uno non possiede la scienza di quanto è ottimo (l'idea del Bene), di rado giova, mentre per lo più
danneggia chi ce l'ha, non ti sembra che io parlavo dicendo quanto è
sostanzialmente corretto?
Alcibiade dà
ragione a Socrate il quale aggiunge
Ð d d¾ t¾n kaloumšnhn polumaq…an
te kaˆ polutecn…an
kekthmšnoj, ÑrfanÕj d ín taÚthj tÁj
™pist»mhj, ¢gÒ -
menoj d ØpÕ mi©j ˜k£sthj
tîn ¥llwn, «r' oÙcˆ tù Ônti
dika…wj pollù ceimîni cr»setai, ¤te omai ¥neu kubern»tou
diatelîn ™n pel£gei, crÒnon oÙ makrÕn b…ou qšwn; éste
sumba…nein moi doke‹ kaˆ ™ntaàqa tÕ toà poihtoà, Ö lšgei
kathgorîn poÚ tinoj, æj ¥ra poll¦ mn ºp…stato
œrga, kakîj dš, fhs…n, ºp…stato p£nta. (Alcibiade II 147b)
e chi possiede la cosiddetta conoscenza
enciclopedica e politecnica , ma sia privo di questa scienza (del Bene), e venga spinto da ciascuna delle altre, non farà uso
sostanzialmente di una grande tempesta senza un nocchiero, continuando a
correre sul mare, non a lungo del resto? Sicché mi sembra che anche qui capiti
a proposito quello che dice il poeta criticando uno che effettivamente sapeva molte cose ma
le sapeva tutte male
Cfr. Eraclito: polumaqivh novon ouj didavskei: JHsivodon ga;r a[n ejdivdavxe kai;
Puqagovrhn aujti;" te Xenofavneav te kai; JEkatai'on (fr. 82 Diano)
Si possono
commentare entrambi questi testi con la sintesi di Euripide"to; sofo;n
d j ouj sofiva" (Baccanti, v. 395), il sapere non è sapienza. La sofiva è lo scopo di quella cultura
che Nietzsche chiama tragica: "la sua principale caratteristica consiste
nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La
sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine
dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza:
angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”[1] .
Aggiungo che hJ sofiva è femminile e produttiva, creativa, to; sofovn è neutro e sterile. A questa
sentenza associo una che mi sta a cuore nello stesso modo: “ Via Penteo,
da’ retta a me:
non
presumere che il potere abbia potenza sugli uomini, Baccanti, 309 -
310.
Sono parole
di Tiresia cui associo quanto dice il nobile Otane ai suoi pari possibili
successori e pretendenti al ruolo di grande re durante il dibattito
costituzionale erodoteo. Otane non entrò in lizza per diventare re
dicendo parole molto belle, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r
a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non
voglio comandare né essere comandato.
Né io.
giovanni ghiselli
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