Leon
Battista Alberti (1404 - 1472)
Prologo Libri
della Famiglia di Leon Battista Alberti
Fortuna e Virtù.
Molti
accusano la fortuna e si dolgono “d’essere agitati da quelle fluttuosissime sue
unde, nelle quali stolti sé stessi precipitarono”
La fortuna
non prevale mai sulle buone e sante discipline del vivere.
Queste
discipline dominavamo il mondo finché si osservavano le nostre vetustissime e
sante discipline.
Cfr.
il discorso di Ceriale davanti
a Trevĭri e ai Lingŏni. Si rivolge nel 69 ai popoli della Gallia belgica e
celtica. C’è la tesi politica e spirituale della dominazione romana.
I Romani
vogliono impedire l’avanzata di un nuovo Ariovisto. I Romani ai Galli hanno
imposto iure victoriae, per diritto di vittoria, solo ciò che è
necessario a mantenere la pace. Nam neque quies gentium sine armis,
neque arma sine stipendiis, neque stipendia sine tributis haberi queunt (Hist.
IV, 74). Se arriveranno Britanni o Germani, i tributi aumenteranno.
Cacciati i
Romani (quod di prohibeant) rimarrebbe solo una guerra universale. Octingentorum annorum fortuna disciplinaque
compages haec coaluit: quae con velli sine exitio convellentium non potest”, questa mole si è consolidata con la
fortuna e la disciplina di ottocento anni e non può essere abbattuta senza rovina
di chi la abbatte..
“Sono le
parole di tutti gli imperialismi” commenta Concetto Marchesi nel suo Tacito[1]
Qui il
merito del successo è diviso tra fortuna e disciplina, come nel Machiavelli tra
fortuna e virtù
Torniamo
all’Alberti che invece dà la precedenza alla virtù della disciplina
“mai valse
più la fortuna che le buone e sante discipline del vivere”
Alberti
ricorda Fabio “quello uno uomo, el quale indugiando e supersedendo restituì la
quasi caduta latina libertà”
Quanto Q.
Maximus melius! De quo Ennius:
unus homo nobis cunctando restituit rem.
Non enim rumores ponebat ante salutem.
Ergo postque
magisque viri nunc gloria claret” (De officiis, I, 84).
poi Tito
Manlio Torquato che “ per osservare la militare disciplina non perdonò al suo
figliolo”, poi l’onestà di Fabrizio, la parsimonia di Catone e così via.
Con queste
virtù i Romani sconfissero i nemici. Virtù non ascrivibili alla fortuna. La
fortuna prevale solo su chi le si sottomette. La virtù è sufficiente a
conscendere e occupare ogni sublime ed eccelsa cosa “Solo è sanza virtù chi
nolla vuole”
Vediamo alcuni aspetti della disciplina
L’esercizio fisico (ascesi pagana e rinascimentale) è necessario per la
salute del corpo.
Lo studio è indispensabile per il benessere della mente
Leon
Battista Alberti
Leon
Battista Alberti
Primo dei 4 Libri
della famiglia 1437 - 1441
“L’essercizio
conserva la vita, accende il caldo e vigore naturale schiuma le superflue e
cattive materie, fortifica ogni virtù e nervo. Ed è l’essercizio necessario a’
giovani, utile a’ vecchi; e colui solo non faccia essercizio, el quale non
vuole vivere lieto, giocondo e sano”
“Ed è
l’essercizio una di quelle medicine naturali, colle quali ciascuno può sé
stesso senza periculo alcuno medicare (...) A’fanciulletti più forteruzzi e
agli altri tutti troppo nuoce l’ozio. Empionsi per l’ozio le vene di flemma,
stanno acquidosi e scialbi, e lo stomaco sdegnoso, i nerbi pigri e tutto il
corpo tardo e adormentato; e più l’ingegno per troppo ozio s’apanna e ofuscasi,
e ogni virtù nell’animo diventa inerte e straccuccia” con l’esercizio invece la
natura si vivifica, le carni crescono sode, l’ingegno sta pronto e lieto.
I “fanciulli
allevati in villa alla fatica e al sole” sono “ robusti e fermi più che questi
nostri cresciuti nell’ozio e nella ombra, come diceva Columella[2],
a’ quali non può la morte agiugnervi di sozzo più nulla. Stanno palliducci,
seccucci, occhiaie e mocci”.
Cfr. Socrate
e gli Spartani che si procuravano l’appetito con lunghe marce.
Cicerone nelle Tusculanae V, 93
scrive che i desideri necessari si possono soddisfare quasi con nulla (satiari
posse paene nihilo - divitias enim naturae esse parabiles)
I naturali non è difficile procurarseli né farne a
meno.
Quelli non naturali né necessari sono inanes,
vuoti e non hanno niente in comune con la necessità né con la natura.
Dario in fuga bevve acqua inquinata da cadaveri e
disse di non aver trovato mai bevanda più piacevole: numquam videlicet
sitiens biberat (V, 34, 97).
Socrate passeggiava di buona lena (contentius)
fino a sera usque ad vesperum e diceva: “ se, quo
melius cenaret , obsonare ambulando famem, che per cenare meglio faceva
provvista di appetito (obsōno) passeggiando.
Dioniso il vecchio a Sparta disse che quel brodo nero
(ius nigrum[3])
non gli era piaciuto.
Il cuoco rispose: “ Minime mirum; condimenta
enim defuerunt”
Quae tandem? –inquit ille
Labor in venatu, sudor, cursus ad Eurotam, fames, sitis; his enim rebus
Lacedaemoniorum epulae condiuntur”
Cfr. Quintiliano
Il
classicista Quintiliano vuole escludere l'ombra, la solitudine e la muffa
dall'educazione del ragazzo che deve diventare un buon oratore:"Ante
omnia futurus orator, cui in maxima celebritate et in media rei publicae luce
vivendum est, adsuescat iam a tenero non reformidare homines neque illa
solitaria et velut umbratica vita pallescere. Excitanda mens est et adtollenda semper est, quae in eiusmodi secretis
aut languescit et quendam velut in opaco situm ducit, aut contra
tumescit inani persuasione; necesse est enim nimium tribuat sibi, qui se nemini
comparat "[4] ,
prima di tutto il futuro oratore che deve vivere frequentando moltissime
persone, e in mezzo alla luce della politica, si abitui fin da ragazzo a non
temere gli uomini e a non impallidire in quella vita solitaria e come
umbratile. Va tenuta sveglia e sempre innalzata la mente che in solitudini di tal fatta o si infiacchisce, e nella tenebra prende un certo puzzo di muffa,
o al contrario si gonfia di vuoti convincimenti: è infatti inevitabile che
attribuisca troppo a se stesso chi non si confronta con nessuno.
Il maestro
pallido, brutto, tedioso, desta una diffidenza o addirittura una ripugnanza
istintiva, anche fisica nel giovane discepolo.
Fidippide, il figlio di Strepsiade, rifiuta i cattivi educatori, i maestri lazzaroni
della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano:"aijboi', ponhroiv g' oi\da.
tou;" ajlazovna" - tou;" wjcriw'nta" tou;"
ajnupodhvtou" levgei" (Aristofane, Nuvole, vv. 102 - 103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu
dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi.
Di certo gli
studenti proveranno simpatia per le parole dei grandi autori contro i cattivi
maestri. Possiamo aggiungere queste di Mefistofele a Faust: " Che è questo luogo
di martirio? E che vita è questa che consiste nell'annoiare sè e i
giovani?"[5].
Quanti di
noi lo fanno? Non dimentichiamo mai che annoiare è il crimine degli imbecilli.
Dobbiamo avere il terrore di annoiare chi ci ascolta.
Quindi Nietzsche: “Guardatevi anche dai
dotti! Essi vi odiano: perché sono sterili! Essi hanno occhi freddi e asciutti,
davanti a loro ogni uccello giace spennato”[6].
Ancora
l’Alberti
Anche nello
studio però bisogna essere assidui: “piacciavi conoscere le cose passate e
degne di memoria, giovivi comprendere e’ buoni e utilissimi ricordi; gustate el
nutrirvi l’ingegno di leggiadre sentenze”.
Niente può
aguagliarsi alla concinnità ed eleganza d’un verso di Omero, di Virgilio e
degli altri ottimi poeti
Non c’è spazio
fiorito e ameno quanto la orazione di Demostene, o di Tullio, o Livio o
Senofonte o degli altri simili soavi e perfettissimi oratori. “tu n’ esci
abundante d’essempli, copioso di sentenze, ricco di persuasioni, forte
d’argumenti e ragioni; fai ascoltarti, stai tra i cittadini udito volentieri,
miranoti, lodanoti, amanoti”. Senza quelle lettere non si può riputare in uno
essere vera gentilezza.
Bisogna
evitare gli scrittori crudi e rozzi, “seguire que’ dolcissimi e suavissimi,
averli in mano, non restare mai di rileggerli, recitarli spesso, mandarli a
memoria”.
Non sono
degni di uomo virile i giochi ove bisogni sedere. “Forse a’ vecchi se ne
permette alcuno, scacchi e tali spassi da gottosi, ma giuoco niuno senza
essercizio e fatica a me pare che a’ robusti giovani mai sia licito. Alberti
suggerisce “cavalcare, schermire, notare e tutte simili cose, quali in maggiore
età spesso nuocono non le sapere”.
giovanni
ghiselli
p. s. E' ora di
cena ma prima vado a correre (almeno 45 minuti) per guadagnarmela e perché
l'appetito non sia disonesto né mangiare sia hybris
Nessun commento:
Posta un commento