NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 1 febbraio 2020

Donne nell'epica greca. Parte 8. Ecuba e Polissena nell’Ecuba di Euripide

 Charles Le Brun, Il sacrificio di Polissena
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Altre parti della conferenza di lunedì


La morte di Polissena eroica e nobile

Giacerò al buio con i morti, dice Polissena conosciuta la decisione dei Greci di sacrificarla sulla tomba di Achille, eppure con questi lamentosi canti funebri piango la tua sorte madre, non la mia vita , che è oltraggio e vergogna: per me morire è
l’accidente migliore - ( Ecuba, 214 - 215).

Tuttavia la madre supplica Odisseo di non ammazzare la fglia

con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in

favore della vita:" " (v. 278),

non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.

Grazie a lei io giosco - - e dimentico i mali
 (279), lei per me è la consolazione di

molte sventure, lei è (281)

patria, nutrice, bastone, guida della strada. I ruoli di madre e figlia si sono capovolti

 Ecuba deplora i propri (334 - 335) e consiglia alla figlia giovane e bella – (336) di provare ad autodifendersi : impegnati in modo da non essere privata della vita lanciando strilli come la bocca di un usignolo - (337 - 338). Convinci Odisseo ad avere pietà.

Polissen invece dice a Odisseo che non deve temere di venire importunato da suppliche. Ti seguirò per via della necessita, poi sono io che voglio morire (347).

Se non lo volessi, continua Polissena,
 (348) apparirò quale donna vile e attaccata

alla vita. Vengo da una condizione principesca, una ragazza
 (349 - 350) e dovevo sposare un

re. Avevo molti pretendenti. Ero
 (356), simile alle dèe a parte che sarei dovuta morire,

 , ora sono una schiava. Basta questo nome cui

non sono avvezza a farmi amare il morire. Posso essere

comprata per denaro, io, la sorella di Ettore e di molti altri

eroi, addetta alla necessità di fare il pane, - , 362, di spazzare la casa -
 - e stare al telaio 363. Questo per me non è accettabile.


Uno schiavo comprato da qualche parte
insozzerà il mio letto che una volta era

considerato degno di principi. Mando fuori dagli occhi una luce

libera attribuendo il mio corpo all’Ade (367). Polissena chiede

alla madre di non impedirle quanto ha deciso:
 (372), anzi di condividere la sua volontà: morire è meglio

che subire turpitudini immeritate (374). Chi non è abituato ad

assaggiare i mali, li porta sul collo con sofferenza, e si sente

più fortunato morendo.

La giustifcazione estetica della vita umana, il culto della

bellezza, è un'altra delle ragioni per cui i Greci sono nostri

padri spirituali.

Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere,

afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a

una vita senza onore:" (Ecuba ,

v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".

Il coro commenta queste parole dicendo che nascere da

persone nobili lascia un forte e chiaro segno - - , ma il

nome della nobiltà diventa più grande per chi se ne fa degno

(380 - 381)

Ecuba si rivolge a Odisseo e prova a stornare la morte dalla

fglia su se stessa: (385), non

ammazzate questa, io ho partorito Paride

che ha ucciso il fglio di Tetide , colpendolo con le

frecce (388).

Ecuba aggiunge che sente grande necessità di

morire con la figlia se questa deve essere uccisa, ma Odisseo risponde sprezzantemente

che non sapeva di avere dei padroni.

La madre allora dice che vuole attaccarsi alla fglia come l’edera alla quercia (398).

Polissena suggerisce a Ecuba di non opporsi per non suscitare

la violenza dei più forti -
(404). Farebbero scempio del tuo vecchio corpo. La figlia

chiede alla madre piuttosto un gesto di affetto per sé: dammi la tua dolcissima mano e lascia che accosti la mia guancia alla tua (410) poiché non succederà piu ma presto io vedrò il radioso cerchio del sole per l’ultima volta (412).

Il sole come sempre è associato alla vita. Poi conclude Polissena: , me ne vado di sotto - (416) senza sposo né i canti nuziali che avrei dovuto ottenere.

 Cfr. Sofocle, Antigone, vv. 867 e 876).

Polissena chiede ancora alla madre cosa debba dire a Ettore e Priamo.

Riferisci che io sono la piu disgraziata di tutti -
 (423) risponde la vecchia regina. La ragazza menziona con gratitudine i seni della madre che l’hanno nutrita con dolcezza (424)


La morte di Polissena nel racconto di Taltibio nell’Ecuba, nelle Metamorfosi di Ovidio e nelle Troiane di Seneca


Quando Neottolemo ebbe impugnato la spada del sacrificio, Polissena parlò in maniera davvero nobile, da sorella di Ettore e principessa di Troia: (548 - 549), di mia volonta muoio, nessuno tocchi la pelle mia, offrirò infatti la gola con cuore saldo.


Ovidio:

Vos modo, ne Stygios adeam non libera manes,

este procul, si iusta peto, tactuque viriles

Virgineo removete manus! Acceptior illi

Quisquis is est, quem caede mea placare paratis,

liber erit sanguis; …” (Metamorfosi, XIII, 465 - 469),

ora voi, perche io non scenda non libera alle ombre Stigie

state lontani, se chiedo il giusto, e allontanate le mani

di maschi dal contatto con la vergine! Piu gradito a quello

chiunque lui sia, che vi accingete a placare ammazzandomi,

sarà il sangue libero…


Ammazzatemi lasciandomi libera, perche muoia libera -
(Ecuba, 550), io che sono di stirpe regale non voglio essere

chiamata schiava ( , 552)

Polissena ha osservato persino l’etichetta della principessa pur in un momento che avrebbe sconvolto chiunque ma, come si dice, noblesse oblige. La folla apprezzò e aplaudi. Agamennone ordinò ai guardiani di scostarsi. Polissena lacerò il proprio peplo dalla spalla all’ombelico e scopri le mammelle e il petto bellissimo come di statua - (560 - 561).

Poi la principessa posò a terra il ginocchio.

(cfr.Lucrezio e la sua Ifigenia, molto diversa muta metu genibus summissa petebat, I, 92)

Quindi Polissena disse parole piene di coraggio: ecco, giovane, colpisci il petto se vuoi, o la gola che è qui pronta - (565).

Lui per compassione della ragazza non volendo e anche volendo - (566), taglia con il ferro i canali del respiro (567).

Sgorgavano sorgenti di sangue.

 Mentre moriva la principessa comunque si dava molta cura di cadere in bella forma (569) con decoro, coprendo cio che si deve coprire rispetto agli occhi degli uomini - (570).


Sentiamo Ovidio:

pertulit intrepidos ad fata novissima vultus

tunc quoque cura fuit partes velare tegendas

Cum caderet, castique decus servare pudoris” (Metamorfosi, XIII, 478 - 480), portò avanti lo sguardo fiero fino all’ultimo istante concesso e anche allora cadendo ebbe cura di tenere celate le parti da coprire e di conservare il decoro del casto pudore.


Quindi la ragazza morì e tutti si davano da fare per onorarla, alcuni dalle

mani gettavano foglie - sul cadavere, altri

accatastavano tronchi di pino per il rogo.

Chi non faceva niente veniva apostrofato con (577) non hai nulla da offrire a un’anima cosi nobile?

Taltibio conclude il racconto

dicendo che in Ecuba vede
 (581 - 582) la donna che ha avuto i figli migliori di tutte e anche quella che ha avuto la sorte peggiore.


Anche Seneca nelle sue Troiane descrive la morte di Polissena con ammirazione nei confronti della ragazza che conserva il pudore verginale,

 “…et tamen fulgent genae

magisque solito splendet extremus decor

ut esse Phoebi dulcius lumen solet

iamiam cadentis…” (1138 - 1141) e tuttavia splendono le guance, e piu del solito brilla il fascino ultimo come suole essere piu dolce la luce di Febo al tramonto.

La folla e stupefatta e quasi tutti la ammirano: alcuni li commuove formae decus (1144) la bellezza della persona, altri mollis aetas (1145), la tenera età, altri ancora vagae rerum vices le turbinose vicende della vita, tutti comunque colpisce l’animo forte che va incontro alla morte movet animus omnes fortis et leto obvius (1146) . Quando il figlio di Achille si erse sul tumulo paterno audax virago non tulit retro gradum (1151), l’audace eroina non indietreggio, conversa ad ictum stat truci vultu ferox (1152), protesa al colpo sta dritta e fiera con sguardo minaccioso.

Non manca il consueto tocco deformante, iperbolico di Seneca

Un tale coraggio colpisce tutti; Pirro ne è commosso, forse addirittura spaventato: “novumque monstrum est: Pyrrus ad caedem piger” (1154), c’e un prodigio mai visto Pirro è restio a versare il sangue

Però poi la colpisce e il sangue esce a fiotti dal largo squarcio. “Nec tamen moriens adhuc - deponit animos: cecidit, ut Achilli gravem - factura terram , prona et irato impetu” (1157 - 1159) Polissena perde molto sangue ma non il coraggio, cadde, come per rendere pesante la terra ad Achille, distesa e con impeto selvaggio. Uterque flevit coetus; at timidum Phryges - misere gemitum, clarius victor gemit”, l’uno l’uno e l’altro popolo pianse, ma i Frigi emisero un gemito sommesso, il vincitore piu sonoro.

La corifea commenta dicendo: una terribile sventura è caduta sui Priamidi e sulla mia città per le necessità degli dei.

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