Charles Le Brun, Il sacrificio di Polissena |
Altre parti della conferenza di
lunedì
La morte di Polissena eroica e
nobile
Giacerò al buio con i morti, dice
Polissena conosciuta la decisione dei Greci di sacrificarla sulla tomba di
Achille, eppure con questi lamentosi canti funebri piango la tua sorte madre, non
la mia vita , che è oltraggio e vergogna: per me morire è
l’accidente migliore - ( Ecuba,
214 - 215).
Tuttavia la madre supplica Odisseo
di non ammazzare la fglia
con un verso che è un'alta
espressione di umanesimo in
favore della vita:" " (v. 278),
non ammazzatela: ce ne sono stati
abbastanza di morti.
Grazie a lei io giosco - - e
dimentico i mali
(279), lei per me è la consolazione di
molte sventure, lei è (281)
patria, nutrice, bastone, guida
della strada. I ruoli di madre e figlia si sono capovolti
Ecuba deplora i propri (334 -
335) e consiglia alla figlia giovane e bella – (336) di provare ad autodifendersi : impegnati in modo da
non essere privata della vita lanciando strilli come la bocca di un usignolo - (337
- 338). Convinci Odisseo ad avere pietà.
Polissen invece dice a Odisseo che
non deve temere di venire importunato da suppliche. Ti seguirò per via della
necessita, poi sono io che voglio morire (347).
Se non lo volessi, continua
Polissena,
(348) apparirò quale donna vile e
attaccata
alla vita. Vengo da una condizione
principesca, una ragazza
(349 - 350) e dovevo sposare un
re. Avevo molti pretendenti. Ero
(356), simile alle dèe a parte che
sarei dovuta morire,
, ora sono una schiava. Basta questo
nome cui
non sono avvezza a farmi amare il
morire. Posso essere
comprata per denaro, io, la sorella
di Ettore e di molti altri
eroi, addetta alla necessità di
fare il pane, - , 362, di spazzare la casa -
- e stare al telaio 363. Questo per me
non è accettabile.
Uno schiavo comprato da qualche
parte
insozzerà il mio letto che una volta era
considerato degno di principi.
Mando fuori dagli occhi una luce
libera attribuendo il mio corpo
all’Ade (367). Polissena chiede
alla madre di non impedirle quanto
ha deciso:
(372), anzi di condividere la sua
volontà: morire è meglio
che subire turpitudini immeritate (374).
Chi non è abituato ad
assaggiare i mali, li porta sul
collo con sofferenza, e si sente
più fortunato morendo.
La giustifcazione estetica della
vita umana, il culto della
bellezza, è un'altra delle ragioni
per cui i Greci sono nostri
padri spirituali.
Soltanto nella bellezza si può
tollerare il dolore di vivere,
afferma Polissena quando antepone
una morte dignitosa a
una vita senza onore:" (Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un
grande tormento".
Il coro commenta queste parole
dicendo che nascere da
persone nobili lascia un forte e
chiaro segno - - , ma il
nome della nobiltà diventa più
grande per chi se ne fa degno
(380 - 381)
Ecuba si rivolge a Odisseo e prova
a stornare la morte dalla
fglia su se stessa: (385), non
ammazzate questa, io ho partorito
Paride
che ha ucciso il fglio di Tetide ,
colpendolo con le
frecce (388).
Ecuba aggiunge che sente grande
necessità di
morire con la figlia se questa deve
essere uccisa, ma Odisseo risponde sprezzantemente
che non sapeva di avere dei padroni.
La madre allora dice che vuole
attaccarsi alla fglia come l’edera alla quercia (398).
Polissena suggerisce a Ecuba di non
opporsi per non suscitare
la violenza dei più forti -
(404). Farebbero scempio del tuo
vecchio corpo. La figlia
chiede alla madre piuttosto un
gesto di affetto per sé: dammi la tua dolcissima mano e lascia che accosti la
mia guancia alla tua (410) poiché non succederà piu ma presto io vedrò il
radioso cerchio del sole per l’ultima volta (412).
Il sole come sempre è associato
alla vita. Poi conclude Polissena: , me ne vado di sotto - (416) senza sposo né i
canti nuziali che avrei dovuto ottenere.
Cfr. Sofocle, Antigone,
vv. 867 e 876).
Polissena chiede ancora alla madre
cosa debba dire a Ettore e Priamo.
Riferisci che io sono la piu
disgraziata di tutti -
(423) risponde la vecchia regina. La
ragazza menziona con gratitudine i seni della madre che l’hanno nutrita con
dolcezza (424)
La morte di Polissena nel racconto
di Taltibio nell’Ecuba,
nelle Metamorfosi di
Ovidio e nelle Troiane di
Seneca
Quando Neottolemo ebbe impugnato la
spada del sacrificio, Polissena parlò in maniera davvero nobile, da
sorella di Ettore e principessa di Troia: (548 - 549), di mia volonta muoio,
nessuno tocchi la pelle mia, offrirò infatti la gola con cuore saldo.
Ovidio:
“Vos modo, ne Stygios adeam non
libera manes,
este procul, si iusta peto,
tactuque viriles
Virgineo removete manus!
Acceptior illi
Quisquis is est, quem caede mea
placare paratis,
liber erit sanguis; …” (Metamorfosi,
XIII, 465 - 469),
ora voi, perche io non scenda non
libera alle ombre Stigie
state lontani, se chiedo il giusto,
e allontanate le mani
di maschi dal contatto con la
vergine! Piu gradito a quello
chiunque lui sia, che vi accingete
a placare ammazzandomi,
sarà il sangue libero…
Ammazzatemi lasciandomi libera,
perche muoia libera -
(Ecuba, 550), io che sono di
stirpe regale non voglio essere
chiamata schiava ( , 552)
Polissena ha osservato persino
l’etichetta della principessa pur in un momento che avrebbe sconvolto chiunque
ma, come si dice, noblesse oblige. La folla apprezzò e
aplaudi. Agamennone ordinò ai guardiani di scostarsi. Polissena lacerò il
proprio peplo dalla spalla all’ombelico e scopri le mammelle e il petto
bellissimo come di statua - (560 - 561).
Poi la principessa posò a
terra il ginocchio.
(cfr.Lucrezio e la sua Ifigenia,
molto diversa muta metu genibus summissa petebat, I, 92)
Quindi Polissena disse parole piene
di coraggio: ecco, giovane, colpisci il petto se vuoi, o la gola che è qui
pronta - (565).
Lui per compassione della ragazza
non volendo e anche volendo - (566), taglia con il ferro i canali del respiro (567).
Sgorgavano sorgenti di sangue.
Mentre moriva la principessa
comunque si dava molta cura di cadere in bella forma (569) con decoro,
coprendo cio che si deve coprire rispetto agli occhi degli uomini - (570).
Sentiamo Ovidio:
“pertulit intrepidos ad fata
novissima vultus
tunc quoque cura fuit partes
velare tegendas
Cum caderet, castique decus
servare pudoris” (Metamorfosi, XIII, 478 - 480), portò avanti
lo sguardo fiero fino all’ultimo istante concesso e anche allora cadendo ebbe
cura di tenere celate le parti da coprire e di conservare il decoro del casto
pudore.
Quindi la ragazza morì e tutti
si davano da fare per onorarla, alcuni dalle
mani gettavano foglie - sul
cadavere, altri
accatastavano tronchi di pino per
il rogo.
Chi non faceva niente veniva
apostrofato con (577) non hai nulla da offrire a un’anima cosi nobile?
Taltibio conclude il racconto
dicendo che in Ecuba vede
(581 - 582) la donna che ha avuto i
figli migliori di tutte e anche quella che ha avuto la sorte peggiore.
Anche Seneca nelle sue Troiane descrive
la morte di Polissena con ammirazione nei confronti della ragazza che
conserva il pudore verginale,
“…et tamen fulgent genae
magisque solito
splendet extremus decor
ut esse Phoebi dulcius lumen
solet
iamiam cadentis…” (1138
- 1141) e tuttavia splendono le guance, e piu del solito brilla il fascino
ultimo come suole essere piu dolce la luce di Febo al tramonto.
La folla e stupefatta e quasi tutti
la ammirano: alcuni li commuove formae decus (1144) la
bellezza della persona, altri mollis aetas (1145), la tenera età,
altri ancora vagae rerum vices le turbinose vicende della
vita, tutti comunque colpisce l’animo forte che va incontro alla
morte movet animus omnes fortis et leto obvius (1146) . Quando
il figlio di Achille si erse sul tumulo paterno audax
virago non tulit retro gradum (1151), l’audace eroina non
indietreggio, conversa ad ictum stat truci vultu ferox (1152),
protesa al colpo sta dritta e fiera con sguardo minaccioso.
Non manca il consueto tocco
deformante, iperbolico di Seneca
Un tale coraggio colpisce tutti;
Pirro ne è commosso, forse addirittura spaventato: “novumque
monstrum est: Pyrrus ad caedem piger” (1154), c’e un prodigio mai
visto Pirro è restio a versare il sangue
Però poi la colpisce e il
sangue esce a fiotti dal largo squarcio. “Nec tamen moriens adhuc -
deponit animos: cecidit, ut Achilli gravem - factura terram , prona et irato
impetu” (1157 - 1159) Polissena perde molto sangue ma non il coraggio,
cadde, come per rendere pesante la terra ad Achille, distesa e con
impeto selvaggio. Uterque flevit coetus; at timidum Phryges - misere
gemitum, clarius victor gemit”, l’uno l’uno e l’altro popolo pianse, ma i
Frigi emisero un gemito sommesso, il vincitore piu sonoro.
La corifea commenta dicendo: una
terribile sventura è caduta sui Priamidi e sulla mia città per le
necessità degli dei.
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