domenica 16 febbraio 2020

L’amore non è dolore, tanto meno è violenza


L’amore è gioia ed è comprensione: è attrazione e intelligenza reciproca

Le Argonautiche e altri testi tendono a infamare Eros suscitando sospetto o addirittura odio tra i maschi e le femmine come ora fanno i razzisti di entrambi i sessi
Da tanti resoconti di giornali appare e pare che l’unico amore benedetto, e spesso pure santificato dal matrimonio, sia quello tra omosessuali. L’eterno richiamo tra sessi diversi sembra sia pericoloso e dopo tutto deleterio.
Poi c’è la contraddizione del lamento sulle culle vuote.
Ma sentiamo i poeti nemici di Eros. Solo pochissimi esempi ma potrei farne a bizzeffe
La Luna, come vide Medea correre verso Giasone, gioì con malizia e disse tra sé: non solo io brucio per il bell’Endimione, io che ho dovuto obbedire ai tuoi riti: ora il daivmwn ajlginoveiς (Argonautiche, IV, 64), il dio del dolore ti ha dato il penoso Giasone per la tua angoscia. Vai a sopportare dolori infiniti.

Esecrazione dell’amore come nel finale dell’Ippolito di Euripide dove Teseo maledice Afrodite dicendo: wJς polla;, Kuvpri, sw'n kakw'n memnhvsomai (1461), quante volte Cipride mi ricorderò dei tuoi delitti.
Cfr. anche “nequiquam quoniam medio de fonte leporum/ surgit amari aliquid quod in ipsis floribus angat (Lucrezio, De rerum natura, IV, vv. 1131 - 1134)

Virgilio, mosso a compassione della regina cartaginese abbandonata da Enea e non volendo del resto incolpare il suo eroe, ritorce e fa ricadere sull'amore la maledizione indirizzata da Didone all'amante in fuga :"Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!"[1] (v. 412), malvagio Amore, a cosa non costringi i petti mortali!
E' un'apostrofe contro l'amore che viene messo allo stesso livello dell'auri sacra fames , la maledetta fame dell'oro la quale ha spinto il re di Tracia a sgozzare l'ospite Polidoro:"Quid non mortalia pectora cogis,/ auri sacra fames! " (Eneide , III, 56 - 57).


[1] Il primo emistichio ripete un motivo dell' VIII Bucolica, v. 47: Saevus amor, e 49/50 Improbus ille puer: la conclusione del verso ripete III, 56.

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