Bekim Fehmiu, Irene Papas, Ulisse e Penelope |
Ulltima parte della conferenza che terrò oggi 10 febbraio 2020 dalle 17 alle 18, 30 nella biblioteca Pezzoli di Bologna sulle donne dell’Odissea.
Penelope al ritorno di Odisseo
Un’ultima sezione riguarda il comportamento di Penelope al ritorno di Odisseo. I due coniugi hanno in comune l’intelligenza, l’accortezza (p. e. perivfrwn Penhlovpeia, Odissea, I, 329).
Odisseo travestito da mendicante ravvisa in Penelope le buone qualità del re che fa prosperare la terra governandola bene (XIX, 107 - 111).
Lo stesso Antinoo, il pretendente che cadrà per primo sotto i colpi di Ulisse, pur polemizzando con Telemaco, riconosce che Penelope è una donna eccezionale: “fivlh mhvthr, h{ toi peri; kevrdea oi\den”, (II, 88), la tua cara madre che sa troppe astuzie.
Atena le ha donato atti bellissimi a sapersi, pensieri di valore (II , 117) e kevrdea, astuzie quali nemmeno le antiche eroine Tiro, Alcmena e Micene sapevano fare e dire. E’ certamente una lode ambigua, è un elogio pieno di sospetto, non privo di paura.
Infatti Penelope ispirata da Atena pose per i pretendenti l’arco e il ferro nel megaron (XXI, 1 - 2).
Si può notare che i partigiani di Ulisse sono mentalmente più dotati degli oppositori e quindi si delinea un conflitto tra intelligenti e stupidi. L'esito non potrà che essere favorevole ai primi.
Tutta l'Odissea infatti è un grande campo di battaglia dell'intelligenza sviluppata, raffinata, contro la brutalità primordiale, oppure contro la stupidità. civilizzata:
"Ultimo tra gli eroi a ritornare, Odisseo è anche colui che prolunga sino all'estremo il contatto - e quale intimità di contatto - con le potenze primordiali, che si erano mostrate nelle prime fasi del ciclo. Con Odisseo, sono invece per un'ultima volta presenti e possenti, intatti, e salutano in lui l'ultimo viaggiatore che ha potuto vederli con i propri occhi e testimoniare. Mentre Odisseo faticosamente veleggiava verso la sua isola, l'aedo Femio già cantava, nelle sale del palazzo di Itaca, le gesta dei guerrieri con i quali Odisseo aveva combattuto sotto Troia. Quasi tutto era già parola. Una sola lacuna permaneva: le gesta di Odisseo stesso, fibula del ciclo. Odisseo, maestro della parola, fu l'ultimo a far pensare che non tutto è parola, finché mancava la sua preda luccicante di storie. Dopo il suo ritorno a Itaca, dopo l'Odissea , la frequentazione degli esseri e dei luoghi primordiali potrà avvenire soltanto attraverso la letteratura"[1].
Questa osservazione è insignificante e sbagliata.
Veramente i mostri, se non altro le Erinni, si trovano anche nelle tragedie, particolarmente in quelle di Eschilo.
Ebbene Penelope è simile a suo marito . In fondo l’Odissea è un grande agone dove gli intelligenti (Odisseo, Telemaco[2], Penelope) prevalgono sui cretini (i proci, i marinai di Ulisse, il Ciclope etc.).
Gli stupidi sono anche immorali, smodati, eccessivi nel mangiare e nel bere, violenti.
La diffidenza di Odisseo e quella di Penelope
Un altro aspetto che associa Penelope a Odisseo è la diffidenza.
“Essendo la diffidenza un tratto tipico della saggezza omerica, Penelope non crede né a Euriclea, né a Telemaco” [3]
In precedenza Odisseo aveva messo in dubbio le intenzioni di Calipso, non certo cattive .
Non si fidava della ninfa che voleva fargli passare mevga lai`tma qalavssh~ (V. 174) , un abisso immenso di mare schdivh/, su una zattera. Uguale cautela usa Odisseo con Leucotea che gli offre il velo - talismano (krhvdemnon, V, 346) con il quale dovrà gettarsi dalla zattera.
Odisseo mermhvrixe (v. 354), ci pensò su, e non si tuffò, ma fu scaraventato nell’ acqua da un’onda.
Quando Odisseo arriva a Itaca, gli si fa incontro Atena simile a un giovinetto pastore di greggi, e il reduce, sebbene non richiesto della identità, non le dice il vero (oujd j o{ g j ajlhqeva ei\pe (XIII, 254), ma si inventa di essere scappato da Creta dove avrebbe ucciso un figlio di Idomeneo.
Un’identità da Cretese è scelta bene: lo afferma proprio il cretese Epimenide, profeta delle Erinni: L’apostolo Paolo ricorda che il profeta caratteristico (proprius) dei Cretesi disse: “Krh`te~ ajei; yeu`stai, kaka; qhriva, gastevre~ ajrgaiv ( Lettera a Tito, I, 12) Cretenses semper mendaces, malae bestiae, ventres pigri.
Allora rise Atena (meivdhsen, 287 - meidiavw cfr. to smile), e, rivelandosi, lo accarezzò, poi gli disse: “sarebbe scaltro (kerdalevo~[4], 291), e astuto ingannatore chi ti superasse in tutti gli inganni, anche se è un dio che ti incontra”.
La dea quindi gli riconobbe una somiglianza con se stessa: “ anche io sono come te: eijdovte~ a[mfw - kevrde j , conosciamo entrambi il modo di trarre profitto: tu sei di gran lunga il migliore di tutti i mortali per consiglio e parola ("boulh'/ kai; muvqoisin", XIII, 298), io fra tutti gli dèi sono famosa per senno e accortezza ("mhvti te klevomai kai; kevrdesin", 299).
Sono entrambi capaci di individuare i nessi.
Intelligenza in greco è suvnesi~, da sunivhmi, “metto insieme”.
Penelope ha in comune con il consorte anche il prendere tempo.
Odisseo con il Ciclope adotta la strategia dell’attesa, come Penelope con i proci e con lo stesso Odisseo.
Nella diffidenza poi la moglie supera il marito: Penelope è restia a credere alla vera identità di Odisseo anche dopo la mnesterofonia che l’ha rivelata: a Euriclea che le annuncia il massacro dei proci da parte di Odisseo, la regina dice che i pretendenti sono stati ammazzati da qualche nume ed essi di j ajtasqaliva~ (XXIII, 67), per la loro stupida presunzione sono andati in malora.
Poi Penelope scende dal piano alto. Quindi i due sposi siedono uno davanti all’altro e nessuno dei due parla. Odisseo seduto nel chiarore del fuoco (ejn puro;~ aujgh`/, v. 89) vicino a un’alta colonna ( v. 90, pro;~ kiovna makrhvn) aspetta che sua moglie gli dica qualcosa. “Si produce dunque una scena surreale, dove il silenzio esprime la reciproca attesa di due intelligenze che si guardano allo specchio, e viene rotto dall’unico terzo possibile, Telemaco”[5].
Telemaco rimprovera la madre perché non butta le braccia al collo del marito e Penelope gli risponde che il suo qumov~ è attonito (tevqhpen XXIII, 105 - qhpevw) nel petto. Comunque se l’ospite è davvero Odisseo, loro due si riconosceranno poiché hanno dei segni (shvmaq j) che solo loro conoscono in quanto sono kekrummevna (110), coperti dal segreto.
La gioia di Penelope è trattenuta in quanto “vaccinata dalla minaccia della delusione”[6].
Odisseo a un certo punto si irrita davanti alla diffidenza eccessiva di Penelope e la chiama daimonivh (v. 166) disgraziata, cui gli dei fecero un cuore ajtevramnon (167) duro, quindi ordina a Euriclea di preparargli un letto dove potrà dormire anche da solo.
La moglie lo mette alla prova e ordina alla nutrice di stendere per l’ospite il letto robusto di Odisseo fuori dalla solida stanza: “ jall j a[ge oiJ J stovreson pukino;n levco~ , Eujruvkleia - ejkto;~ eu>staqevo~ qalavmou” (XXIII, 176 - 177).
Odisseo a questo punto si adira e perde il solito autocontrollo: il suo letto infatti non è spostabile siccome l’ha fatto lui, con le sue mani su un tronco d’olivo grosso come una colonna. Intorno a quello egli costruì la stanza (v. 192).
Così Penelope ha shvmat j e[mpeda (206) segni sicuri (saldamente fissati al suolo).
Quindi c’è il ricongiungimento sessuale: giunsero al diritto del letto antico: “ levktroio palaiou` qesmo;n i[konto” (v. 296). E’ il lieto fine canonico della letteratura occidentale sottolineato dagli alessandrini Aristarco e Aristofane di Bisanzio, ma il valore erotico dell’incontro è accentuato pochi versi più avanti: i due sposi, quando ebbero goduto dell’amore gradevole (Tw; d’ ejpei; ou\n filovthto~ ejtarphvthn ejrateinh`~, v300), godettero nel parlarsi. terpevsqhn muvqoisi (v. 301).
Penelope raccontò i suoi martìri o{s j ajnevsceto (v. 302) quanto sopportò dai proci sfacciati e Odisseo narra le pene (khvdej 306) subite e inflitte. Più intenso per due personaggi siffatti è il valore erotico della parola che il contatto tra i corpi.
Odisseo menziona tutte le tappe del suo pellegrinare: i Ciconi, i mangiatori di Loto, il Ciclope, Eolo, i Lestrigoni, Circe, l’incontro con le yucaiv de morti[7] con Tiresia[8] e con la madre, le Sirene, Scilla e Cariddi, le vacche del Sole, Calipso la quale desiderava che fosse suo sposo lilaiomevnh povsin ei\nai (XXIII, 334) nelle profonde caverne, ma non poteva convincerlo, sebbene gli promettesse che lo avrebbe reso immortale e immune da vecchiezza per sempre (qhvsein ajqavnaton kai; ajghvrwn h[mata paventa, 336).
Ulisse però non dice alla moglie che “la notte dormiva sempre ( V, 154)” con Calipso. E’ pur vero che ci dormiva ajnavgkh/, per forza , almeno negli ultimi tempi.
L’ultima tappa prima del lieto fine nel letto con Penelope è l’isola dei Feaci che lo hanno onorato come un dio (XXIII, 339) e l’hanno riportato a casa.
Ma di Nausicaa nemmeno una parola. Certamente la simpatia reciproca tra Odisseo e la fanciulla in fiore non sarebbe riuscita gradita a Penelope, un fiore di vent’anni prima. Visto, come si è detto, che i due erano tanto simili, non è impossibile che anche Penelope abbia nascosto qualcosa a Odisseo, al figlio, a Laerte, ingannandoli come aveva ingannato i suoi pretendenti con la storia del sudario di Laerte.
Concludo questa chiacchierata sulle donne dell’Odissea con il massacro delle ancelle che non avevano disdegnato i proci come aveva fatto la loro regina.
Siamo nella parte finale del XXII canto, subito dopo la strage dei proci.
Odisseo ha appena terminato la mnesterofonia, quando Euriclea gli dice che delle cinquanta ancelle, dodici giunsero all’impudenza ( ajnaideivh~ ejpevbhsan, 424), ossia non rispettarono i padroni. Quindi la nutrice emerita vorrebbe portare la buona notizia a Penelope, ma Odisseo le ordina di non svegliarla ancora ( mhv pw thvnd j ejpevgeire, v. 431): prima Euriclea deve convocare le dodici ancelle sfrontate che erano andate a letto con quei fannulloni crapuloni.
Quindi comanda a Telemaco, al porcaro Eumeo e al bovaro Filezio di far pulire la sala alle ancelle infedeli e di ucciderle.
Le donne entrarono tutte insieme “terribilmente gemendo, versando gran pianto” (v. 447). Portarono fuori i cadaveri dei proci, e pulirono i seggi e le mense con acqua e con spugne dai molti buchi ( u{dati kai; spovggoisi polutrhvtoisi, XII, v. 453). Poi portarono fuori lo sporco raschiato dal suolo. Quindi vennero ristrette in breve spazio dal quale non potevano scappare e Telemaco disse che non sarebbero state uccise con una morte pulita kaqarw`/ qanavtw/ (v. 462) le donne che avevano versato insulti sul capo di Telemaco e di Penelope e andavano a letto con i pretendenti (para; te mnhsth`rsin i[auon, v. 464).
Quindi le impiccarono: allora un orrido letto le prese (stugero;~ d j uJpedevxato koi`to~, 470) perché morissero nel modo più miserevole come tordi dalle larghe ali o colombe prese in una rete.
Chiudo la chiacchierata con questo verso: h[spairon de; povdessi mivnunqav per, ou[ ti mavla dhvn (XXII,475), si dibattevano con i piedi, ma per poco, certo non molto a lungo.
Bologna 10 febbraio 2020. giovanni ghiselli
[3] Guido Paduano La nascita dell’eroe.Achille, Odisseo, Enea: le origini della cultura occidentale, p. 26
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