NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 2 settembre 2024

Amilcare e Annibale a Cartagine, poi in Spagna. Entriamo in medias res.


 

 

 I Cartaginesi capirono di avere bisogno di un esercito stanziale sul tipo di quelli delle grandi monarchie ellenistiche. Ma i cittadini  non erano abituati alla vita militare: bisognava costituire un esercito permanente con mercenari e sudditi e tenerlo unito con capitani di grande prestigio. Servivano successi e prede di guerra per mantenerlo. Il militarismo comportava imperialismo. A est c’era il regno di Tolomeo Evergete (246-222), troppo forte. Annone voleva l’espansione in Numidia e in Mauretania. Ma quando i Romani conquistarono la Sardegna (238), acquistò maggior prestigio presso l’opinione pubblica l’odiatore di Roma, Amilcare che scelse come territorio di espansione la Spagna. In Spagna un generale vittorioso avrebbe destato le gelosie e i sospetti del senato di Cartagine meno che in Africa. Inoltre in Spagna c’erano le miniere d’argento e poteva dare più gloria della Numidia. I Barcidi consideravano inevitabile la guerra con Roma e pensavano che l’unica speranza di vittoria fosse attaccarla direttamente in Italia dove gli stessi Barcidi avevano contatti con i Celti.

Nel 237 Amilcare Barca si reca a Cadice e ne fa la sua base operativa. Aveva portato con sé Annibale novenne per fargli scuola di guerra e gli fece giurare solennemente che avrebbe sempre odiato i Romani: “ Fama est etiam Hannibalem annorum ferme novemtactis sacris iure iurandum adactum  se cum primum posset hostem fore populo romano” (21, 1) fu spinto a giurare e giurò che appena possibile sarebbe stato nemico del popolo romano.  Sarò l’ ultor invocato da Didone morente (Eneide, IV, 625)

 Polibio racconta che il padre lo chiamò dopo un sacrificio e gli domandò se voleva seguirlo in Spagna. Il bambino rispose di sì tutto contento (ajsmevnw~) anche perché glielo aveva chiesto lui stesso con una certa insistenza paidikw'~ infantilmente; allora il padre presolo per mano lo condusse  pro;~ to;n bwmovn, gli ordinò di toccare le vittime e di giurare che mai sarebbe stato benevolo con i Romani: ojmnuvnai mhdevpote  JRwmaivoi~ eujnohvsein (3, 11, 7).  Un giuramento cui terrà fede, nonostante la perfidia plus quam punica. (21, 4) attribuitagli da Tito Livio.

Valerio Massimo racconta che A. seguì le orme del padre al punto di giurare odio al popolo romano. Per significare poi visivamente questo odio sbattè un piede a terra, ne sollevò della polvere e disse tunc inter eas finem fore belli dixit, cum alterǔtra in habitum pulveris esset redacta ( Factorum et Dictorum memorabilium libri, 9, 3, ext. 3). E’ l’ultimo libro.

 

Annibale bambino in Salambò di Flaubert (1862).

Lo descrive, al padre Amilcare, un vecchio aio, un “vecchio robusto, con la pelle che sembrava bulinata dalla sabbia, dal vento e dal mare”. “E’ forte, vero?” domanda Amilcare. E il vecchio: “Sì, Signore, e anche coraggioso! Non ha paura né dei serpenti né del tuono né dei fantasmi. Corre a piedi nudi, come un pastore sull’orlo dei precipizi

Parla! Parla!

Escogita trappole per le bestie feroci. La luna scorsa, ci crederesti? Ha preso un’aquila; la trascinava, e il sangue dell’uccello e il sangue del bambino schizzavano in aria in grosse gocce, come rose portate via dal vento. La bestia, infuriata, gli sbatteva addosso le ali; lui la stringeva contro il petto, e quella più agonizzava, più le sue risate crescevano, squillanti e impetuose come un cozzare di spade”.

Amilcare abbassava il capo, abbagliato da quei presagi di grandezza.

“Ma da un po’ di tempo c’è qualcosa che lo rende inquieto. Guarda le vele che passano lontano sul mare; è triste, rifiuta di mangiare, fa domande sugli dei e vuole conoscere Cartagine.”

“No! no! Non ancora!”, esclamò il suffeta.

Il vecchio schiavo sembrò intuire il pericolo che Amilcare paventava e riprese: “Come trattenerlo? Siamo al punto che devo fargli delle promesse, e sono venuto a Cartagine solo per comprargli un pugnale con il manico d’argento tempestato di perle” ( Garzanti, 2002, pp. 97-98).

 

Più avanti viene descritto il bambino, appena è stato condotto dall’aio nel palazzo paterno: “Iddibal entrò, senza prosternarsi. Teneva per mano un ragazzino che indossava un mantello di pelo di caprone… Il bambino era rimasto in piedi, al centro, e con uno sguardo più attento che stupito osservava il soffitto, i mobili, le collane di perle disseminate sui drappi di porpora. E quella maestosa fanciulla china su di lui”.

 Era Salambò, la sorella. “Aveva forse dieci anni e non era più alto di una spada romana. I capelli crespi ombreggiavano la fronte bombata. Pareva che le sue pupille cercassero spazi più vasti. Le narici del naso sottile palpitavano senza posa; da tutta la sua persona emanava l’indefinibile splendore di coloro che sono destinati a grandi imprese. Liberatosi del mantello troppo pesante, rimase vestito con una pelle di lince che gli cingeva la vita; i piccoli piedi nudi, bianchi di polvere, poggiavano saldamente sulle pietre del pavimento. Ma probabilmente intuiva che si discutevano cose importanti, perché se ne stava immobile, con una mano dietro la schiena, il mento abbassato e un dito in bocca. Alla fine Amilcare chiamò con un cenno Salambò e le disse sottovoce: “Devi tenerlo con te, siamo intesi? Nessuno, nemmeno in casa, deve sapere della sua esistenza” (pp. 214-215).

 

Livio dice che la factio barcīna era molto influente tra i militari e la plebe, mentre il senato avrebbe preferito l’espansione in Africa. Come Cesare, Annibale era favorito dai popolari che nella monarchia militare vedeva un contrappeso allo spadroneggiare dell’oligarchia. Amilcare dunque cominciò a conquistare la Spagna, ma nel 229 morì in battaglia. Catone, pur acerrimo nemico di Cartagine, diede un giudizio positivo su Amilcare, disse che nessuno dei re reputati fortunati era degno di paragonarsi a Epaminonda, o Pericle, o Temistocle o a Manio Curio o ad Amilcare to;n ejpiklhqevnta Bavrkan (Plut. Cato, 8) p. 397.  

Fece questo discorso nel 172 quando i Romani festeggiavano Eumene di Pergamo.

A Epaminonda Polibio paragona Annibale. L’uno e l’altro vinsero i nemici ma furono vinti dalla fortuna (9, 8, 13). Polibio manifesta ammirazione per Annibale: “mevgacrhvma kai; qaumavsion” (9, 22, 6), grande e meraviglioso prodotto della natura. Anche i Tebani, discendenti di Cadmo, erano di origine fenicia.

Tiro non apre le porte ad Alessandro incoraggiata da Cartagine: "quippe Carthaginem Tyrii condiderunt" (Curzio Rufo, IV, 2, 10).

 Da Tiro proveniva anche Cadmo, il fondatore di Tebe (cfr. Euripide, Fenicie, 638-639: “Kavdmo" e[[mole tavnde ga'n-Tuvrio", Cadmo di Tiro giunse in questa terra). Avere tradizioni antiche significa nobiltà e minore acquiescenza. Alessandro del resto aveva già distrutto Tebe.

 Epaminonda inventò la tattca della loxh; favlax, la falange obliqua che a Leuttra (371) spiazzò gli Spartani attaccandoli da sinistra.

 

Alla morte di Amilcare, il comando fu preso dal genero Asdrubale che fondò Cartagena Karchdwvn, Cartagine, città nuova Kainh; povli~, come centro del dominio cartaginese in Spagna. Polibio dice che era il vanto e la capitale provschma kai; basivleion  (3, 15, 3 ) dell’impero cartaginese in Iberia.

Asdrubale disse ai Romani che la conquista punica dell’Iberia conveniva anche a loro poiché metteva Cartagine in grado di pagare le somme di indennità a Roma. Comunque Asdrubale nel 225 si impegnò a non superare il fiume Ebro. I Romani concessero ad Asdrubale quasi tutta l’Iberia poiché erano minacciati dal pericolo celtico che incombeva dia; to; to;n ajpo; tw'n Keltw'n fovbon ejpikrevmasqai (Polibio, II, 13, 5). I Romani cercavano di ammansire Asdrubale il quale contava che i Celti sarebbero stati un osso duro per i Romani.

Cornelio Nepote dice che Asdrubale era un giovane di bellissimo aspetto e che i malevoli insinuavano fosse amato turpemente da Amilcare (diligi turpius quam par  (conveniente) erat, Vita di Amilcare, 3, 2). Perciò gli fece sposare la figlia. Nel 229 muore Amilcare combattendo contro i Vettōnes  in Lusitania (Estremadura).

Fu il suo perpetuum odium erga Romanos ereditato da Annibale a scatenare la IIGP.

Nel 221  muore Asdrubale (detto il Bello) e Annibale viene acclamato dall’esercito e confermato dal senato come successore. Aveva 25 anni.

Annone, alterius factionis princeps, disse in senato: “Ego istum iuvenem domi tenendum sub legibus, sub magistratibus docendum vivere aequo iure cum ceteris censeo, ne quandōque parvus hic ignis incendium ingens exsuscitet (21, 3).  Ma alla fine maior pars meliorem vicit (21, 4), i più prevalsero sui migliori.

 

Annibale assomigliava al padre giovane e questo attirò i soldati che vedevano nel figlio eundem vigorem in vultu vimque in oculis .

Cfr. Properzio (II, 15, 12). oculi sunt in amore duces. Anche in acie evidentemente, e con adnominatio. Del resto era resistentissimo alla fatica, mangiava poco, vestiva come gli altri giovani: “vestitus nihil inter aequales excellens”.

 

Un confronto con Alessandro Magno

Alessandro Magno giunse a Tarso, la capitale della Cilicia. Et tunc aestas erat (del 333) e il re accaldato volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si spogliò fiero di mostrare ai suoi levi ac parabili cultu corporis se esse contentum (Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni III, 5, 2) che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile.

 

Annibale Sopportava nello stesso modo il caldo e il freddo. Princeps in proelium ibat, ultimus conserto proelio excedebat . I suoi vizi, oltre la perfidia plus quam punica, erano la inhumana crudelitas, nihil veri, nihili sancti, nullus deum metus, nullum ius iurandum, nulla religio (21, 4). “Il più odioso dei vitia rinfacciati ad  Annibale, la sua perfidia, la slealtà maligna e senza scrupoli di cui il Cartaginese si era infinite volte macchiato, era figlia, in effetti, dell’educazione greca e non dell’indole punica[1]”.

 

 

Cfr. la malafede dei Greci. Lisandro  concluse la guerra del Peloponneso sconfiggendo gli Ateniesi: egli se la rideva di quanti stimavano che i discendenti di Eracle dovessero sdegnare di vincere con il tradimento, e raccomandava sempre:" o{pou ga;r hJ leonth' mh; ejfiknei'tai prosraptevon ejkei' th;n ajlwpekhvn" dove di fatto non giunge la pelle del leone, bisogna cucirle sopra quella della volpe" (Plutarco, Vita di Lisandro, 7, 6). La perfidia plus quam punica di Annibale e quella italica di Machiavelli hanno avuto dei maestri negli Elleni.

Nel XVIII capitolo di Il Principe Machiavelli ricorda  "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".

 

 

 

Pesaro 2 settembre 2024 ore 11, 19 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] G. Brizzi, Scipione e Annibale, p. 21. Laterza, Roma-Bari 2007.

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