lunedì 2 settembre 2024

Ifigenia. I sillogismi difettosi.


 Gli appunti da rielaborare.

I giorni dell'almanaccare a oltranza. Il 19 marzo riappare

Ifigenia. I sillogismi difettosi. Un’altra cena sul monte delle

formiche. Le accuse reciproche e le difese. Lo sfizio. La montagna

illuminata sopra la nebbia. Excursus su Marisa. Il ritorno nella pianura brumosa.

 

 

Appena arrivato a casa, per confermarmi nel proposito buono di

scrivere presto tutta quanta la storia con gli antefatti, trascrissi i

pochi appunti dei primi tristi mesi del '78 che poi invece, grazie

all'epifania della fanciulla, sarebbe diventato l'anno più bello della

mia vita, il più ricco di casi . Il primo gennaio, per fame sessuale,

 

avevo copulato malamente con una donnicciola: consumista

incolta e cretina. Il nove gennaio, alla nonna Margherita morta,

quasi novantasettenne chiedevo una grazia: "ti prego,

fammi incontrare una giovane bella, bruna, fiorente di voluttà tra

le cosce e ricca di forza mentale."

Il 18 febbraio mentre mi inebriavo dei primi

aromi  della primavera incipiente, al sole che tirava fuori dalla terra il vello

e i colori della terra che si risvegliava, chiedevo di non negarmi il più

spirituale e profumato dei fiori: una fanciulla di grande formato.

Insomma alle spalle dell’ trionfale che mi aspettsava c'erano anni non

solo di studio ma anche di riti propiziatori alla conquista di una

ragazza simile a quella che dovevo incontrare davvero.

Mentre leggevo gli appunti presi dopo che la nostra conoscenza si

fu approfondita, mi accorsi che avevano maggior nerbo rispetto a

quelli di prima. Perciò mi dissi che se volevo scrivere con forza

sull'argomento "amore fallito e corrotto", dovevo ritrovare il

contatto con lei che del resto quel giorno non aveva telefonato.

 

 

Per altri due giorni rimuginai il passato  cercandovi il significato

da fare brillare nel mio romanzo. Speravo che dopo avere

almanaccato a oltranza in solitudine, sarei giunto a una tale nausea

della ruminazione mentale da sentirmi costretto ad agire. Ma non

sapevo nemmeno in quale maniera. Aspettavo dei segni. Intanto

però Ifigenia non si faceva viva.

 

Giovedì 19 marzo finalmente mi avvicinò mentre entravo a scuola.

 Con aria seria, quasi severa, disse:"Gianni, ho

bisogno di parlarti". Sembrava il preludio  di  un addio.

 Ne ebbi paura. Perciò risposi:"Non qui. Devo salire

subito in classe. Dopo, se vuoi, andiamo da qualche parte. Dove

preferisci tu". La portai a casa mia. Parlando a fatica, disse che

aveva di nuovo il problema del maestro di danza.

"L'avevo superato sostanzialmente", precisò usando l'avverbio

che voleva avere sapore di filosofia o di burocrazia, "ma la sera che mi facesti la telefonata

orrenda delle cugine, ho perduto di nuovo la stima per te, e ho

sentito un'altra volta emozione per lui”.

"Questo me l’hai già detto. Perché torni a ripetermlo?  Non mi hai già lasciato?

Non ti senti libera adesso di amare chi vuoi?".

Speravo che mi smentisse.

"No, non è così semplice", rispose. "Io provo ancora sentimenti

forti per te;  per lui sento  un miscuglio di attrazione e ripugnanza:

mi attira in quanto mi insegna a ballare, però mi dà anche la

nausea siccome è un narcisista, e un mezzo ignorante per

giunta".

Smise di parlare. Mi guardava negli occhi, con fissità. Aspettava

una risposta.

"Ho capito", dissi. " E io che cosa posso fare per te?".

Ero seccato: la confessione significava che

 mi aveva mentito

dicendo che il problema non era più il maestro Gennaro. Mi dava

fastidio anche l'idea che il ballerino fosse probabilmente più bello di me. Infatti,

 

 

 

se era incolto e narcisista, per quale altra ragione poteva piacerle?

Sembra un ragionamento inoppugnabile, ma non lo è: le cause per

le quali ci va una persona non sono tutte di ordine razionale; uno

ci può piacere per quello che evoca, in modo che può non dipendere direttamente

da quello che è.

 

Breve Excursus su Marisa

Oggi la sorella della ragazzina che adoravo come una dea bambina poi giovinetta quando eravamo scolari al Lucio Accio di Pesaro poi al ginnasio, mi ha mostrato la foto  di Marisa  ventenne. Era davvero tanto bellina quanto la ricordavo o anche di più. Poi era bravissima a scuola. Era seria. Dopo il liceo l’ho persa di vista. Lei ha studiato a Urbino e insegnato a Pesaro sempre alle medie siccome non era punto ambiziosa. Io sono andato a Bologna poi a Debrecen, poi a Padova, poi di nuovo a Bologna. Una vita variopinta. Ho fatto un po’ di carriera, neanche tanta. Luci e ombre, opere buone e lazzaronate.  Se ci fossimo frequentati da insegnanti  lei poteva essere la “brava collega” che le zie auspicavano per me. Forse c’era questo pensiero dietro il mio innamoramento adolescenziale e l’apoteosi di quella coetanea deliziosa. Era davvero bellina assai e brava per giunta.  A Carmignano di Brenta non c’era una collega che mi piacesse e interessasse altrettanto. Se ci fosse stata lei l’avrei corteggia in ginocchio presentandole fiori nuziali. Non so quali siano a dire il vero ma l’avrei chiesto a lei.

Il destino però ci ha spinto per strade divergenti e diverse. Così sia. Ora sarei vedovo e non allegro. Invece Marisa  è diventata un’amicizia celeste cui offrirò sacrifici e rivolgerò tante preghiere  chiedendole  di aiutarmi, sicuro che lo farà. Era anche buona.

Fine excursus.

 

 Il 15 giugno successivo, quando oramai

Ifigenia era non solo smarrita ma anche perduta, vidi l'ex rivale saltellare per strada, da ballerino eterno  qual era.

 

Ebbene potei constatare che quell'uomo non era più giovane né più aitante

di me.

 

Il 19 marzo intanto dissi a Ifigenia: "Ora devi decidere tu chi preferisci tra me e lui".

Anche queste parole, dette sperando in una risposta consolatoria

rispetto a quanto avevo

difettosamente

pensato,

non sono

pienamente razionali, poiché Gennaro poteva non avere alcuna

intenzione di amare la  ragazza, per quanto assai appetitosa.

Poteva essere un omosessuale, o innamorato di un'altra, o avere

mille altri motivi per non volere ifigenia. Ma io la

sopravvalutavo, siccome avevo bisogno di stimoli enormi da lei.

Dovevo credere che fosse in grado di ottenere qualsiasi cosa e

persona potesse servirle o farle piacere. Allora, per essere scelto

da quella ragazza, bisognava mettersi in condizione di offrirle la

cosa di massimo pregio su questa terra: un'opera d'arte, un grande

romanzo capace

di educare un popolo intero. Un altro

ragionamento che non filava: Ifigenia non era d'accordo con

me su quale fosse il valore più alto. Ora credo che per lei fossero i

miseri quattrini.

Quel giorno conclusi dicendole:"Deciditi. Io non sono senza

difetti, ma terrò fede alle parole dette. Adesso ti porto

a casa tua, o altrove se preferisci. Non voglio condizionarti, né

influenzarti. Questa storia va avanti da troppo tempo oramai.

Quando avrai deciso, telefonami. Starò a casa".

Rimasto solo, credetti che volesse tornare con me. Altrimenti non

avrebbe chiesto il mio aiuto. Questo pensiero si rivelò razionale e

reale in quanto venne confermato dai fatti.

Telefonò alle sette. Chiese se la portavo a cena sul monte delle

formiche. Durante il tragitto ragionammo di scuola e di esami. Poi

parlammo di noi e litigammo. Ifigenia sosteneva che la lunga

relazione con me le aveva fatto perdere spontaneità e naturalezza:

troppi libri, troppo cervello, troppi arzigogoli. Ribattevo che il mio

vivere, tutt'al contrario, tendeva all'equilibrio tra l'attività corporea


 

 

e quella mentale, all'armonia della ragione egemone con l'istinto

che va potenziato ma anche imbrigliato e diretto nella direzione

decisa dal

lovgo"1

 

 

Il mio studiare e pensare non erano eccessivi,

dannosi e mortificanti poiché non ostacolavano l'accrescimento

dell'intera persona, ma lo regolavano, lo facevano procedere

metodicamente, cioé  per la strada dell'ordine e dell'efficienza.

Praticavo abbastanza esercizio corporeo per non sentirmi e non

apparire una  talpa di biblioteca, un pedante mezz’orbo; anzi, se lei avesse avuto la

forza e la voglia di partecipare alla mia ascesi somatica, l'avrei

incrementata ancora, e svolta

con gioia

sempre

maggiore.

Studiavo con apertura mentale sufficiente per non ingobbirmi sul

 telaio del sapere avulso dalla sapienza che potenzia la vita, per non intisichirmi lo spirito

ripetendo solo teorie altrui,  una congerie di nozioni stantie.

Rispose che non mi accusava di sedentarismo fisico o intellettuale,

ma di inibirle la naturalezza con il mio essere rigido, unilaterale e

intollerante. Le chiesi di essere meno generica:"In sostanza che

cosa ti impedisco di fare?"

 

“Di andare a letto con quello” - pensavo.

Rispose: "Tu non mi sopporti, o per lo meno mi biasimi, quando

sono agitata da sentimenti diversi, neanche necessariamente

contraddittòri".

– “Ci siamo”, pensai.

"Adesso per esempio, mi stuzzica l'idea di un'avventura con

Gennaro".

– “Hai visto?” , mi dissi.

"Però io amo te", continuò", e tu purtroppo vuoi impormi un aut

aut che..."

"Certo", la interruppi, "che cosa pretendi? Di essere la compagna

mia e l'amante di un altro? Di avere tutti i diritti su me e nessun

dovere nei miei confronti, nemmeno quello basilare della fedeltà

1

Il lovgo~ è il pensiero che informa la parola; la facoltà distintiva dell'uomo dai bruti,

"quae natura prona atque ventri oboedientia finxit", che la natura foggiò chini a

terra e schiavi del ventre, come scrive Sallustio all'inizio della monografia su

Catilina.


 

 

 

che anzi dovrebbe essere un dono gratuito, come l'amore? Tu vuoi

che ti metta a disposizione tutte le mie energie mentali e corporee,

mentre quanto di ottimo hai, la tua vitalità amorosa, dovrei

dividerla con quel tanghero? Del resto, al di là del nostro

caso particolare, io penso che una persona, se vuole combinare

qualcosa di buono, debba fare delle scelte: individuare gli scopi

più o meno  importanti tra quelli per i quali non è sprovvisto di

mezzi, quindi volere coglierli con determinazione assoluta,

evitando qualsiasi ostacolo possa impedirne il conseguimento. Per

esempio, se decido di essere snello e forte, non mangio più del

necessario, e mi tengo in esercizio; se voglio acculturarmi devo

leggere libri buoni per anni; se mi preme essere lucido, non bevo

superalcolici, sebbene lo veda fare nei film americani. E così via.

Tornando a noi, come puoi credere che se andrai a letto con un

secondo uomo, non distruggerai il nostro rapporto, qualunque esso

sia, e il rispetto che l'uno ha ancora per l'altro?"

"Ma con Gennaro  sarebbe solo uno sfizio", replicò.

Allora dissi:"Ascolta Ifigenia: la tua avventura per me invece

sarebbe un brutto dolore siccome io per mia disgrazia sono

innamorato di te".

“Invero per qualche mia aberrazione-pensai- e perché ho bisogno di

questa tragedia, ma tu, come hanno detto giustamente diversi ex

alunni, non vali il mio amore, non vali niente o nient'altro che la

bella materia di cui sei fatta: 53 chili ben messi”.

"Adesso", ripresi a parlare,"siamo completamente sfasati. Non

capisco per quale ragione tu continui a cercarmi".

Non rispose. Durante il silenzio mi domandai:" Per non essere

troppo geloso e inelegante2 dovrei sopportare i capricci della

 

mia non vereconda ragazza, se sono sporadici?  Devo accontentarmi che usi il preservativo con gli altri e poi si lavi ben bene pima di tornare da me?" Mi risposi di no.

 

Quindi cambiammo argomento. Poco dopo terminammo la cena.

Uscimmo dal locale nella notte fredda, quasi ancora invernale. La

luna illuminava un mare di nebbia che fluttuava contro i fianchi

scoscesi del monte, cento metri sotto di noi. Sembrava di stare su

un'isola alta in mezzo alle onde del mare canuto.

2

Cfr. Ovidio: “Rusticus est nimium quem laedit adultera coniunx” (Amores, III,

4, 37), è davvero rozzo quello che una moglie adultera offende.


 

 

 

Tornammo a Bologna senza parlare. Pensavo:" Non mi ama. Se

può essere indecisa tra me e un'avventura, se parla tanto

cinicamente, vuol dire che nel nostro rapporto trova soltanto un

appoggio, un aiuto per l'esame di recitazione, e, tutt'al più, un affetto

di cui pure ha bisogno per concludere senza gravi insuccessi

questa fase della sua vita. Mi usa. Ora la porto a casa, poi non

voglio vederla più". Ero così addolorato da dimenticare il mio

romanzo e che tutta la pena proveniente da quella ragazza doveva

giustificarsi contribuendo a formarlo. Di questo però si occupava

il destino. Infatti, come fummo nei pressi di casa mia, mentre

ero intenzionato a procedere verso la sua, Ifigenia mi

accarezzò e mi chiese se la facevo salire.

"Va bene", risposi. Appena entrati, mi abbracciò e mi strinse a sé,

senza dire parola."Tutto istinto", pensai.

Facemmo l'amore sul divano dello studio, in fretta e furia, senza

spogliarci, quasi senza baciarci, siccome era tardi e anche perché

c'era del marcio tra noi.

Subito dopo l'orgasmo semi strozzato, proposi:"Ricominciamo

tutto da capo!". Non rispose. Sentiva che non mi amava, ma

pensava di dovermi sfruttare fino all'esame . Io credevo

di amarla, e soffrivo di non essere contraccambiato, però mi era

venuto in mente che avevo bisogno di penare ancora per

raccontare meglio la nostra storia, emblematica di un'epoca guasta.

Eravamo degni l'uno dell'altra. "Pur in primavera, la pianura

padana è in mezzo alla nebbia buia che copre anche noi", pensai

mentre la accompagnavo

a casa. Quando fummo arrivati

disse:"Telefonami domani durante l'intervallo".

"Va bene" risposi, e la salutai senza cordialità.

Ce l'avevo con lei poiché aveva osato

posporre

il  nostro amore più che biennale a un'avventura, o

peggio a uno "sfizio" di cui bearsi  nel letto del ballerino Gennaro.

Speravo di trovare presto la forza necessaria per non amarla più,

per non sentirne il bisogno in nessun modo. Ifigenia infatti mi

teneva in pugno, e non aveva intenzioni buone, anche se durante la

cena aveva detto che a cinquant'anni sarei stato un grand'uomo.

“Peccato -aveva aggiunto- che allora io non sarò più tanto

giovane quanto le amanti che piacciono a te”. Un contentino da poco

 

Pesaro 2 settembre 2024 ore 17, 48.

p. s

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