sabato 7 settembre 2024

Gli sbalzi di Ifigenia.

 

Argomenti

 I consolatori: Pindaro,

Virgilio e Catullo. Lo scandalo della P2. Il presidente Pertini. La

telefonata dell'una di notte. La probabile fornicazione

 

Mercoledì ventisette maggio, pieno di  doloroso amore, volevo

capire il mio sentimento  misto: non integralmente cattivo né tutto

buono che Ifigenia mi infondeva nel petto da parecchi mesi

oramai: io la amavo e la apprezzavo, ma la detestavo anche, e la

consideravo pure spregevole.

Sul monte delle formiche, tre giorni prima, era stata bravissima:

aveva sì vacillato faticando a dismisura; anzi, quando mancava un

chilometro solo, il più duro, era stata vicina a cedere stramazzando

al suolo e singhiozzando come una grossa folaga colpita a morte da un cacciatore spietato e ghiotto della sua carne saporita; mentre Ifigenia incitata

da me, aveva raccolto tutte le forze, aveva stretto i denti,

conservato l'equilibrio, spinto i pedali con le belle gambe sode,

tirato il manubrio con le forti braccia rotonde, e ci era riuscita.

L'avevo ammirata per la prova di forza e di volontà. Mi era

sembrata una persona in gamba, cosciente di quanto voleva, e

capace di conseguirlo, soprattutto se la incoraggiavo.

Nei due giorni seguenti, alternò un'allegria forzata e rumorosa con

una muta e cupa stanchezza. In certi momenti mi si appoggiava

addosso con tutto il peso del corpo statuario e della piccola testa; a

volte appariva estranea, quasi ostile alla mia persona, più sbigottita

però che malevola. Seguivo i suoi sbalzi mentali con pena, ma non

disperavo di arrivare a capire le cause più vere di tanto squilibrio

che mi contagiava. Comunque volevo comprendere per quale

ragione non funzionasse più l'amore con quella ragazza che pure

aspirava all'arte, e aborriva la vita ostile alle Muse della gente

ordinaria. Questo almeno era quanto affermava lei stessa, con la

sua bocca. Era bugiarda?

Nota

1

Cfr. Iliade, III, vv. 156-157:"

ouj nevmesi" Trw'a" kai;

ejϋknhvmida"  jAcaiou;"-

 

toih'/d  j ajmfi; gunaiki; polu;n crovnon a[lgea pavscousin

", non è peccato che

Troiani e Achei dai begli schinieri  soffrano a lungo dolori per una donna siffatta.


 

 

 

Gli ultimi giorni di maggio ella temeva l'esame di recitazione, ed

era sempre più squilibrata. Io ne soffrivo senza potere aiutarla.

Infatti, come ebbe avuto il commento scritto al dramma di Horvàth

e lo ebbe approvato con ringraziamenti e salamelecchi cerimoniosi, per due dì e due

notti non si fece vedere né sentire, onde impiegare tutto il  tempo,

le emozioni e le forze nella preparazione della prova d'esame,

suppongo.

Io rileggendo i poeti greci e latini, annotavo alcuni versi belli assai

e confacenti al mio stato d'animo. Li trascrivo, sperando di indurti,

lettore, a studiarne con amore i volumi .

Ottima è l'acqua2

 

E bruciarono nella solitudine3

 .

Mi manca l'occhio dell'esercito4

 .

I fiumi della notte tenebrosa eruttano un'oscurità infinita 5

.

Nessuna delle fatiche mi si presenta nuova o inattesa: io ho

presofferto tutto 6 .

 

Non sapere in anticipo, è assenza di pensiero7

 .

 

Il pomeriggio di giovedì 28 maggio Desdemona mi telefonò e mi

diede l'angoscia. Mi fece capire che con me si annoiava, mentre si

sentiva viva e reale quando preparava l'esame di recitazione che

pure la terrorizzava. Intanto si emozionava nel lavoro preparatorio

che la teneva in contatto con il regista, con i compagni e con il

testo; poi, sabato sera, si sarebbe eccitata nel rapporto con il

pubblico cui oltretutto avrebbe fatto vedere il corpo inguainato in

una calzamaglia molto aderente e diafana. Nel locale notturno, il

Maxim, su un palcoscenico di cabaret, Marianne doveva apparire

per diversi minuti vestita soltanto delle mutandine e di una guaina

color carne, attillatissima e trasparente. Il regista, quello panciuto,

forse per valorizzare o sfruttare la bellezza della ragazza, aveva

enfatizzato e prolungato la scena, facendo mimare uno Zeppelin

2

Cfr. Pindaro, Olimpica I , v. 1.

4

Cfr. Pindaro, Nemea X , v. 72.

5

Cfr. Pindaro, Olimpica VI, v. 18.

6

Cfr. Eneide, VI, vv. 103-105.

7

Cfr. Pindaro, Olimpica VIII , 60.


 

 

 

dai movimenti più o meno aerei delle membra di lei. Questo non

mi faceva piacere, ma non era un elemento che scatenava ire o

tristezze. La sera comunque ero depresso: la notte prima non

avevo dormito per il tormento del raffreddore da fieno, e quel

giorno avevo dubitato delle

mie

capacità

di scrivere

quel

capolavoro che da diversi mesi oramai mi premeva molto più della

pudicizia e dell'amore stesso della mia compagna sviata. Mi

veniva in mente Catullo: un consolatore per gli amori non

contraccambiati e dolenti. Alcune sue parole, se ne sostituivo una

soltanto, si confacevano bene alla mia pena amorosa: Non iam

illud quaero, contra me ut diligat illa,/ aut( quod non potis est)

esse pudica velit; ipse scribere  opto et taetrum hunc deponere

morbum./ O di, reddite mi hoc pro pietate mea "9

.

Questo poeta

piaceva molto anche ai ragazzi: per il fatto che scriveva di amore e

non voleva sapere se Cesare fosse bianco o nero10.

  I giovani infatti

erano diventati impolitici.

I telegiornali del regime parlarono a lungo dello scandalo della P2.

Sperai che tale questione cruciale  diventasse  urgente per molte

coscienze. Ero triste. Pertini invece scherzava con i giornalisti.

L'arzillo vecchietto diceva:"Bisogna prendere le cose con animo

lieto, altrimenti è finita".

"Infatti da non pochi anni- pensai- affaristi, assassini e mafiosi si

sganasciano dalle risate".

All'una di notte telefonò un'altra volta Ifigenia.

Disse

solo:"Sono io. Vieni a prendermi davanti all'Antoniano". Stavo

studiando per darle altri suggerimenti . Ci andai di corsa. Mi aspettava, sola,

sulla soglia dell'edificio che contiene la scuola, una chiesa, un

cinema, e chissà quali altri locali destinati a vari incontri .

Era scura in volto, quasi adirata.

La salutai, la feci entrare nell'automobile, le domandai come

fossero andate le prove.

"Male", rispose. "Questa sera al regista non sono piaciuta".

9

Cfr. Catullo, Carmi,  76, 23-27. Non chiedo più quello, che ella contraccambi il

mio amore, o, (cosa che non può essere) che voglia essermi fedele; io desidero

scrivere (ma nel testo catulliano c'è valere, stare bene) e mettere via questo male

oscuro. O dei, datemi questo in cambio della mia devozione.

10

Cfr. Catullo, Carmi,  93.


 

 

 

"Come mai?", le chiesi, ostentando stupore. A lei infatti dicevo

che la credevo brava, e forse ne ero convinto.

"Non voglio parlarne; non questa sera. E' tardi. Portami a casa

subito".

Arrivata, mi salutò appena. La odiavo. Pensavo:"Stai attento, bischero,

perché quella ha preso tanto potere su te da usarti e trattarti come

il suo autista. Ma non un servo amico di cui si fida; tu sei il lacché

tenuto a distanza e spregiato, quello cui la padrona non si degna di

rivolgere lo sguardo altero  né la parola superba".

Ebbi anche il sospetto che avesse fornicato: le altre volte che,

dopo le prove, si era fatta accompagnare a casa, mi aveva

chiamato intorno alle undici e mezzo: strano tale spostamento

dell'orario, e ancora più strano il fatto che, avendo tutta la

compagnia terminato le prove all'una, lei si trovasse già tutta sola

davanti al portone all'una e cinque minuti. Il malumore e il non

guardarmi in faccia mentre le facevo un piacere, poteva essere

segno di un incontro erotico, probabilmente malriuscito, con il

regista o con un attore. Forse quello che faceva la parte di Alfred:

si chiamava Felice, e Desdemona doveva baciarlo, per esigenza di

copione, nella scena sul bel Danubio, al suono del valzer "Voci di

primavera ".

"Il Danubio è morbido come un velluto".

" Come un velluto ".

Mi consolai con l’ironia ricordando: anche tu hai fornicato più volte, seppure in altri paesi e con ragazze  già quasi morte.

 

Pesaro 7 settembre 2024 ore 10, 08 giovanni ghiselli.

p. s.

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