giovedì 5 settembre 2024

Guerre in Oriente.


Condanne dell’imperialismo romano: Mitridate, Budicca e Calgaco

 

Gaetano De Sanctis  Storia dei Romani, vol III, 2, cap VIII, p.375.

La guerra in Oriente. L’Unità dei Greci si era frantumata dopo la morte di Alessandro Magno (323).

I Tolomei sostenevano il particolarismo greco nella lotta contro la Macedonia che invece cercava di unificare la Grecia sotto gli Antigonidi. Invece finì asservita ai Romani.

 Dal 225 in avanti l’Egitto perde potenza e decade. Quindi la Macedonia si avvia ad unificare la Grecia. Nel 222 Antigono Dosone, cugino del futuro Filippo V, e reggente di Macedonia (dal 229 al 221), sconfigge il re spartano Cleomene III a Sellasia, nel Peloponneso,  e sottomette gran parte della Grecia. Alleato di Antigono era Filopemene, capo dell’esercito acheo fino al suicidio nel 183. Gli succedette Licorta, padre di Polibio.

Gli aggregati principali erano la Macedonia e la lega Achea e i Greci erano etnicamente e culturalmente più compatti degli Italici, ma il loro funesto particolarismo  politico li teneva divisi. Inoltre non avevano gli ottimi ordinamenti militari dei Romani, ma negli eserciti serpeggiava fiacchezza, indisciplinatezza, inettitudine.

Nel 221  Antigono Dosone muore combattendo gli Illiri e Filippo V, dicaissettenne, divenne re di Macedonia.

Nemici della Macedonia erano prima di tutti gli Etòli: gli si opponevano con la gagliardìa ancora intatta di tribù rozze e guerriere. Non c’era conflitto tra le povlei~ poiché non c’erano città a impedire l’aggregazione fra tribù. Nel 220 la lega etolica comprendeva 16 mila kmq con Delfi, la Locride , e parte dell’Acarnania. La popolazione era animata da spirito brigantesco più che bellicoso ed era avvantaggiata dal suo territorio compatto e dalla posizione centrale nella Grecia. Nel Peloponneso gli Etòli contendevano agli Achei l’Elide e la Messenia. Nel 219 Sparta strinse accordi con la lega etolica e attaccò gli Achei.

Achei e Macedoni costituivano il polo dei Greci più benestanti;  Etoli e Sparta l’altro polo.

 

Filippo V perse la supremazia su Sparta acquistata da Antigono Dosone.  A Sparta e agli Etoli guardavano come possibili alleati i nemici della Macedonia e degli Achei.

Nel 220 Filippo V attacca gli Etòli e strappa loro Ambraco, vicino ad Ambracia, l’antica reggia di Pirro. Ma nel 216 fece la pace (di Naupatto) con gli Etoli poiché voleva aiutare Annibale.

 

Polibio (V, 101) racconta che mentre Filippo V assisteva ai giochi Nemèi, in Argolide, gli arrivò la notizia della battaglia di Canne. Allora il suo consigliere Demetrio di Faro gli suggerì di porre termine alla guerra contro gli Etòli e di andare a combattere in Italia. Questa spedizione avrebbe segnato l’inizio di un dominio universale che non spettava a nessun altro più che a lui in quanto successore di Alessandro Magno. Prima però doveva stabilire l’egemonia su tutta la Grecia.

Già  nel 217 Filippo V e gli Etòli si incontrarono a Naupatto (Locride Esperia, vicina ad Antirrio) dove Agelao di Naupatto consigliò la concordia: Filippo doveva smettere di combattere i Greci se voleva ottenere l’egemonia universale come Alessandro Magno; tutti dovevano preoccuparsi delle nubi che si addensavano a Occidente.

 Secondo la celebre immagine del pacifista Agelao di Naupatto: i Romani se avessero vinto, e così pure i Cartaginesi  avrebbero impedito ai Greci perfino di guerreggiare tra loro (Polibio,V, 104, 10). Fu questa la prima volta che si intrecciarono le vicende di Grecia, Italia e Libia (V, 105).

Filippo fece costruire 100 navi da guerra leggere come quelle degli Illiri: i lembi (eJkatovnlevmbou~, V, 109, 3), adatti a pirateggiare, ma non ad affrontare le navi da guerra romane. Gli mancava una finanza ordinata e solida, premessa necessaria per mettere insieme una potenza navale.

Cf, l’ajcrhmativa di Tucidide.

Filippo capiva la necessità di vie nuove: parlando a quelli di Larissa in Tessaglia, ammoniva quei Greci ad accogliere i non Greci nella cittadinanza, come fanno i Romani che accolgono anche gli schiavi.

I Greci comunque si odiavano tra loro: l’Acheo odiava l’Etòlo, come si vede dalla caricatura che l’acheo Polibio fa degli Etoli, dicendo che sono mostri indegni non solo del nome di Greci, ma anche di quello di uomini.

 

Gli Etoli  quali bestie in Polibio e in Livio.

Gente che prima aggrediva gli altri Greci, poi si dilaniava da sola: erano pronti a tutto e avevano raggiunto un tal grado di bestialità che neppure permettevano ai loro magistrati di deliberare. Perciò l'Etolia era in preda al caos, alla criminalità e alla violenza assassina, e nulla di quanto vi si faceva era frutto di riflessione e di un progetto preciso, ma tutto veniva fatto a caso e alla rinfusa, come se si fosse abbattuto su di loro una sorta di uragano ("pavnta d jeijkh'/ kai; fuvrdhn ejpravtteto, kaqaperei; laivlapov" tino" ejmpeptwkuiva" eij" aujtouv"", XXX 11 6). Vediamo come "lo traduce" Livio:" Linguam tantum Graecorum habent sicut speciem hominum: moribus ritibusque efferatioribus quam ulli barbari, immo quam immanes beluae vivunt "(XXXIV, 24)  dei Greci hanno soltanto la lingua, come di uomini solo l'aspetto:  vivono con usanze e costumi più selvaggi di tutti i barbari, anzi delle stesse bestie feroci. 

 

Nel 216 Filippo si muove con i lembi verso Apollonia (ora Albania), ma giunto nei pressi del fiume Aoo fu preso dal panico di essere attaccato dai Romani, tornò in Macedonia (V, 110). Dopo Canne (215) tuttavia osò stringere alleanza con Annibale: ai Cartaginesi la penisola italica, ai Macedoni quella balcanica: comunque il trattato non prevedeva interventi militari e quindi non aveva nessun valore. Filippo non se la sentiva di sbarcare in Italia poiché temeva che di fronte ad Annibale sarebbe stato un duce subordinato. Per lui, erede di Al. Magno sarebbe stato un disonore la sottomissione a un africano di origine asiatica. Eppure un suo rincalzo nella Magna Grecia avrebbe procurato molte adesioni ad Annibale. I Siracusani chiedevano aiuto a Filippo ma egli fece un tentativo in Illliria. Avrebbe potuto rinnovare le gesta di Pirro ridestando contro i Romani il sentimento nazionale greco.

Filippo aveva il progetto di entrare in Italia da nord est: per prevenire questo i Romani nel 181 fondarono Aquileia.

Filippo si immischia nelle lotte intestine della Grecia senza una direttiva precisa. In Messenia aiuta i popolari a prendere la rocca di Messene. Nel 211 gli Etoli e Sparta si alleano con i Romani. Nel 206 c’è una nuova pace tra gli Etoli e Filippo.

 Nel 205 la pace di Fenice tra Filippo V e i Romani. Politica estera confusa con cambiamenti repentini e inopinati

 

Mommsen dice che Filippo e suo figlio Perseo cercavano di attirare i poveri e gli impoveriti. Perseo (re dal 179) proclamò a Delfi che quanti erano emigrati potevano recarsi in Macedonia. I nazionalisti simpatizzavano per Perseo. La guerra di Perseo iniziò nel 171 e fu risolta Pidna nel 168 da Emilio Paolo, figlio del console morto a Canne, nobile, povero e incorruttibile, uomo di cultura greca e filelleno. A Pidna, in Macedonia, ci fu l’ultima grande battaglia della falange: Perseo si arrese piangente, e il console, riflettendo più sulla labilità della fortuna che sul proprio successo, lo portò a Roma nel suo trionfo con Genzio, re dell’Illiria anch’essa conquistata. La Macedonia venne annientata e divisa in quattro Stati tributari di Roma.

 

Eumene II di Pergamo (re dal 197) che aveva aiutato i Romani contro Antioco III di Siria quando questo venne sconfitto a Magnesia nel 189 non serviva più come gendarme della Macedonia e venne umiliato: fu accusato di intese con Perseo quando si recò in Italia per chiedere aiuto contro i Galati, il Senato non volle riceverlo: venne respinto a Brindisi da un senato consulto. Eumene II fece edificare l’altare di Pergamo e fece organizzare la biblioteca dal filosofo stoico Cratete di Mallo. Morì nel 159. Gli succedette Attalo II.

 

Anche l’alleata Rodi venne danneggiata: col pretesto di intese che potevano esserci state da parte del partito popolare, non del governo, venne rovinata l’economia di Rodi con l’istituzione di un porto franco a Delo per il lucro dei commercianti italici. I dazi del porto di Rodi passarono da un milione a 150 mila dracme all’anno. La buona prosperità dell’isola testimoniata dal colosso di Rodi era finita.

 

Il nuovo re (dal 175) della Siria Antioco IV Epifane  sconfisse Tolomeo VI a Pelusio (168) e conquistò parte dell’Egitto, ma bastò un ordine del senato a farlo tornare indietro.

L’Egitto salvato dai Romani così divenne un loro protettorato. I Greci furono accusati di comportamento ambiguo, ed era facile poiché in ogni città esisteva un partito filomacedone. Molte città dovettero mandare ostaggi a Roma, soprattutto i paesi della lega etolica.

Polibio considera la giornata di Pidna l’inizio del dominio romano sul mondo. I Romani per mantenere sottomessi tutti tendevano a umiliare e ridurre le forze degli Stati più potenti (Cartagine e Siria) che faceva controllare dagli Stati satelliti (Numidia e Bitinia). Insomma: divide et impera.

 Nessuno Stato doveva esistere per forza propria: dopo la vittoria i Romani trattavano peggio i propri alleati che i nemici vinti.

 Nei posti di comando venivano favoriti i personaggi più sottomessi a Roma, come Masinissa  re di Numidia che era solo un usufruttuario, essendo i Romani i veri padroni, e Prusa di Bitinia cui venne affidata la flotta Macedone, secondo Polibio, poiché si era dimostrato tanto servile da inchinarsi con la faccia a terra quando venne ammesso in senato.

Sentiamo Machiavelli: “E’ Romani, nelle provincie che pigliorono, osservorono bene queste parti; e mandorono le colonie, intrattennono e’ meno potenti, sanza crescere loro potenzia, abbassorono e’ potenti, e non vi laciorono prendere reputazione a’ potenti forestieri” (Il principe, 3). In Grecia, per esempio: “Furono intrattenuti da loro li Achei e li Etoli; fu abbassato el regno de’ Macedoni; funne cacciato Antioco; né mai e’ meriti delli Achei o delli Etoli feciono che permettessino loro accrescere alcuno stato; né le persuasioni di Filippo l’indussono mai ad esserli amici senza sbassarlo”. I Romani non differirono la guerra contro Filippo e Antioco, poiché sapevano che la guerra “si differisce a vantaggio d’altri”.

 

Contro l’imperialismo romano. I Romani ladroni del mondo.

 

Ci fu un tentativo di ribellione da parte di Mitridate re del Ponto cui Sallustio attribuisce parole forti contro l’imperialismo romano (Historiae, V, lettera di Mitridate ad Arsace).

Condanne dell’imperialismo romano.

 Tale impianto  non è estraneo alla storiografia romana: si può pensare  a Sallustio[1]: "primo pecuniae, deinde imperi cupido crevit: ea quasi materies omnium malorum fuere " (De coniuratione Catilinae[2]  , 10) prima crebbe la brama del denaro, poi quella dell'impero, ed esse furono per così dire l'esca di tutti i mali[3]. 

 

Ma la condanna più celebre[4] dell’imperialismo romano è il discorso di Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli, ricostruito nell'Agricola[5] di Tacito:" Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt.  Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant "  (30), ladroni del mondo, dopo che alle loro devastazioni totali vennero meno le terre, frugano il mare: se il nemico è ricco, avidi, se povero, tracotanti, essi che né l'Oriente né l'Occidente potrebbe saziare: soli tra tutti bramano i mezzi e la loro mancanza con pari passione.  Rubare, massacrare, rapire con nome falso chiamano impero e dove fanno il deserto lo chiamano pace.  Siamo nell’84 d. C.

 

Non dice meno sull’avidità dei colonizzatori romani il Mitridate di Sallustio che nelle Historiae[6], scrive al re dei Parti Arsace una lettera anti-imperialista   :"Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum "( Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse?  neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4), come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?

Mitridate fece ammazzare 80 mila commercianti italici in Asia.

Venne fu sconfitto definitivamente da Pompeo nel 66 a. C.

In carica dal 111, morì nel 63-

 

La condanna dell'imperialismo romano ha un seguito nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis:"vi furono de' popoli che per non obbedire a' Romani ladroni del mondo, diedero all'incendio le loro case, le loro mogli, i loro figli e sé medesimi, sotterrando fra le gloriose ruine e le ceneri della loro patria la loro sacra indipendenza"[7]. E più avanti:" quando i Romani rapinavano il mondo, cercavano oltre i mari e i deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl' Iddii de' vinti, incatenavano principi e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i loro ferri li ritorceano contro le proprie viscere"[8].

 

Cfr. Budicca una donna eroica 33-61 d- C.

Diciamo due parole su Budicca. Era la moglie del re degli Iceni,  popolazione della Britannia. I Romani ne avevano devastato il regno e violentato le figlie, perciò queste tribù si erano ribellate, nel 59 d. C.,  sotto la guida della regina Budicca: ella ricordava che era consuetudine dei Britanni combattere sotto la guida di una donna:"solitum quidem Britannis feminarum ductu bellare testabatur " e denunciava la brutalità dei Romani:"Eo provectas Romanorum cupidines ut non corpora, ne senectam quidem aut virginitatem impollutam relinquant ", era giunta a tal punto la cupidigia dei Romani che non lasciavano incontaminata neppure la vecchiezza o la verginità.

 La conclusione contiene un tocco femministico:"vincendum illa acie vel cadendum esse. Id mulieri destinatum: viverent viri et servirent" (Annales , XIV, 35), in quella battaglia si doveva vincere o morire. Questo era stato deciso da una donna: vivessero da schiavi i maschi, se volevano. La conclusione della battaglia, favorevole ai Romani,  conferma comunque la crudeltà di tali invasori:"et miles ne mulierum quidem neci temperabat ", i soldati non si astenevano nemmeno dall'ammazzare le donne. Per non dire delle bestie. Alla fine vennero massacrati non meno di ottantamila Britanni. "Boudicca vitam veneno finivit " (XIV, 37), Budicca si uccise con del veleno.

Budicca era la regina degli Iceni, una popolazione della Britannia che, guidata da questa ribelle, nel 61 d. C. mise a sacco Londinium e Verulanium e uccise 80 mila persone tra Romani e alleati. Aveva un’intelligenza superiore a quella solita delle donne, racconta Cassio Dione: mei'zon h] kata; gunai'ka frovnhma e[cousa” (62, 2, 2).

Anche l’aspetto non era usuale: era to; sw'ma megivsth, (62, 2, 3) grandissima di corpo, di aspetto terribile, di sguardo penetrante, e di voce aspra, aveva una chioma biondissima e foltissima che le scendeva fino alle natiche (mevcri tw'n gloutw'n, 62, 2, 4) e al collo portava una grossa collana d’oro. Si pensi all’ultima Elisabetta I cinematografica.

In questa occasione brandiva una lancia (tovte de; kai; lovgchn labou'sa) con la quale incuteva soggezione a tutti. Esortò i suoi Britanni sminuendo i Romani come effemminati e comandati da femmine: Messalina e Agrippina che dà ordini a Nerone il quale o[noma me;n ajndro;~ e[cei, e[rgw/ de; gunhv ejsti: shmei'on de;, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai (62, 6, 3), ha nome da uomo, ma  è una donna: i segni sono il fatto che canta e suona la cetra e si imbelletta. Budicca invece regnava su uomini veri che non sanno coltivare la terra né produrre manufatti, ma conoscono l’arte della guerra e che considerano tutto bene comune, anche i bambini  le donne le quali proprio per questo hanno lo stesso valore dei maschi: “ th;n aujth;n toi'~ a[rresin ajrethvn[9].

Budicca conclude l’esortazione   chiedendo che questa Domizia Nerona (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più su di me né su di voi, ma tiranneggi cantando i Romani : “kai; ga;r  a[xioi toiauvth/ gunaikiv douleuvein”, i quali infatti meritano di servire una tale donna.

         

Pesaro 5 settembre 2024 ore 18, 58 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] 86-35 a. C.

[2] Del 42 a. C.

[3] Più avanti (cap. 48) vedremo che la causa principale del dilagare dei vizi fu la fine del metus hostilis coincidente con la distruzione di Cartagine (146 a. C.).

 

[4] L’ultima frase era uno slogan per noi studenti del ’68.

[5] Del 98 d. C.

[6] Le quali prendevano in esame il periodo 78-67 a. C. Furono composte fra il 40 e il 35. Ci sono giunti solo dei frammenti.

[7] 28 ottobre 1797 .

[8] Ventimiglia, 19 e 20 febbraro.

[9] Nota l’ allitterazione e la paronomasia o adnominatio.

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