mercoledì 4 settembre 2024

Ifigenia. Bagno Vignoni.


 

Argomenti

 La gita scolastica a

Bagno Vignoni. .

L'attentato al presidente-guitto  dai capelli orrendamente  tinti. Il biglietto confortante.

 

La mattina seguente ero proprio contento. La vidi

in via Rizzoli mentre tornavo a casa da scuola.  Mi


 

 

 

corse incontro avvampando di gioia come ai tempi belli, o almeno

così mi sembrò.

Ma, lo ripeto, è saggio dare credito anche alla gioia apparente, poiché il

dolore è quasi sempre concreto reale. Magari può essere utilizzato a fin di bene.

Ci complimentammo e festeggiammo a vicenda

 davanti a gente stupita siccome non è frequente la visione di due persone

felici in quella maniera.

Il pomeriggio andai a pedalare sui colli fioriti, dove splendeva il

sole che pareva dissolvere la nube di strazio incombente sulla mia

povera testa da mesi. La sera a letto però non raggiunsi la

sufficienza sessuale. Stavo cercando una giustificazione, con aria afflitta,

quando Ifigenia, accortamente, volle salvare il corso di

buonumore che avevamo deciso e iniziato il giorno prima, dicendo

parole di tolleranza e comprensione inusuali per lei:"Non te la

prendere: il numero tre  non è essenziale alla nostra felicità;

importante è solo che ci vogliamo bene. Adesso che abbiamo

sofferto e capito, possiamo comprenderci assai più rispetto al

tempo comunque bellissimo nel quale facevamo l'amore tante

volte che era difficile tenerne il conto, e con  veemenza tale da

spezzare le gambe del letto".

Quando ebbi sentito queste parole buone, ebbi la terza erezione.

Così, ragionando di amore, raggiunsi la sufficienza sperata.

Nei due giorni seguenti, Ifigenia seguitò a manifestarmi

un'ottima disposizione: a momenti mostrando una comprensione

equilibrata e matura dei nostri problemi e del futuro che sembrava

volere affrontare con me, a tratti prendendo quell'aspetto

fiammeggiante e gioioso che mi infondeva simpatia per la vita.

Il 28 le feci lezione su Shakespeare. C'era anche un suo compagno della

scuola di recitazione. Prendevano appunti. Dopo un paio di ore conclusi il lavoro

mirato all'esame. Il ragazzo andò via, e noi due ci

stendemmo sul letto vestiti: Desdemona sotto, io sopra. Osservata

in quella posizione appariva molto più piccola dei suoi ventisei anni e mezzo

: sembrava la mia bambina che mi guardava piena di

ammirazione filiale, con gli occhi lucenti e umidi, i denti superiori

che sporgevano appena dal labbro un poco rialzato. Era commossa

e contenta del fatto che mi dessi tanto da fare per lei. In fondo

aveva deciso di restare con me soprattutto per avere un aiuto in


 

 

 

vista della temuta prova , e io glielo davo, impiegando

gran parte del mio tempo.

A un tratto disse: "Gianni, io sono molto ignorante: non studio,

non faccio, non so! Tu invece sai tante cose!"

"Anche io so poco creatura; quasi niente. Ma voglio imparare, e

non solo dai libri; anche da te, e con te, se tu vuoi". Annuì.

Quando si recuperava l'orientamento educativo e produttivo, la

ragazza tonava a essermi cara; le volevo bene, la amavo, e pensavo:

"Ecco, Ifigenia ti spinge a imparare, ad agire, con la sua bellezza;

e ti trascina con la vitalità della sua gioventù; in cambio si aspetta la

solidità mentale e morale, la disciplina, il metodo di cui ha

bisogno per non disperdere le proprie energie, per diventare il

meglio di quello che è. Perciò tu con lei non puoi essere insicuro,

incoerente e contorto, altrimenti le cose andranno male di nuovo:

ti disprezzerebbe, giustamente e ti pianterà un'altra volta, per

sempre”.

In quel momento  non volevo pensare  che il mio essere poco

chiaro e diretto dipendeva in gran parte da lei, dalla sua ambiguità, dai capricci,

dagli sbalzi di umore conseguenti al conflitto tra l'opportunismo,

derivato dall'imitazione di persone mediocri e volgari però, o perciò, di successo, e il suo

bisogno di amore e di verità con la coscienza, pur oscura e

intermittente, che io non meritavo di essere usato senza stima, né

simpatia né compassione.

D'altra parte non era soltanto il mio stato

emotivo a essere condizionato da lei, bensì tutto quanto facevo:

oramai  Ifigenia era la sola creatura dalla quale volessi farmi

assegnare i compiti di cui avevo bisogno per vivere.

 

Il 30 marzo andai nel senese in gita scolastica con la mia quarta

ginnasio. Osservavo gli allievi con occhio sano, cioé senza volere

nulla in cambio della simpatia che provavo per loro. Quando

fummo entrati in un convento, un vecchio frate mi venne vicino e

mi parlò sottovoce: detestava prima i confratelli, poi i Toscani in

generale, e infine tutta l'umanità. Ne parlava con odio convinto.

"Haud proinde in crimine incendii quam  odio humani generis

convicti sunt"9 , ricordai . Appena il maledicente si fu allontanato, si

Nota

9

Tacito, Annales, 15, 44: e vennero ritenuti colpevoli non tanto del crimine

dell'incendio quanto di odio per l'umanità. Si riferisce ai Cristiani condannati dal

regime di Nerone dopo l'incendio di Roma del 64 d. C.


 

 


avvicinò un secondo religioso per  consigliarmi di non dare

importanza a quanto aveva detto l'altro: era chiamato "fra' pazzo".

Una pazzia sempre più diffusa commento dopo alti 43 anni di vita.

 

Pernottammo in un albergo isolato in mezzo alla campagna fiorita

e affumicata da un vapore caldo che emanava da una vasca

termale. Lo strano posto si chiama Bagno Vignoni. Sembrava una

notte afosa di estate matura. Prima di cena i ragazzini correvano

intorno alla piscina fumosa sparendo e riapparendo con lieto

rumore tra le nuvole nate dall'acqua.

Pensavo: "Sono felici di stare insieme poiché hanno qualcosa da

dire e da fare in comune: giocare, studiare, contrapporsi agli

adulti. Per noi ci vorrebbe una vita politica e culturale. Quando

avranno finito il liceo, ciascuno rimarrà solo se allora, nel 1985,

non ci sarà stato un rinnovamento in Italia. Cercheranno un

partner per riprodursi, e, dopo la  laurea, intorno al 1990, un

impiego, una casa, e altre cose accessorie. Ma avere qualcosa

soltanto per sé non può dare gioia. La vita apolitica, egoista invece

che impiegata per il bene comune, non è umana nel senso più nobile della parola.

L'impolitico, diceva Pericle, noi lo consideriamo non tranquillo

ma inutile10.

 

Finito il liceo Mamiani di Pesaro, quasi morivo, siccome non

sapevo adattarmi a un vivere senza bellezza, generosità, eroismo, a

un vivacchiare teso soltanto alla laurea, allo stipendio e alla produzione di

figli. Sono stati i miei  auctores accrescitori  a salvarmi. E la bicicletta pedalata in salita, nel sole.

Se non fossi riuscito a

calarmi, come un attore, nelle storie grandi e meravigliose degli

scrittori maestri e amici, mi sarei ammazzato. L'università era

un'istituzione di tedio. Doveva allevare insetti

intricati in una ragnatela di formule. Non avrei potuto lavorare là

dentro come facevano quei ragni di professori annoiando e

annoiandosi,

mortificando le anime; per me insegnare è

interessare, ravvivare, educare. Cultura è natura potenziata.

Non sapevo allora che a 55 anni avrei fatto un concorso e poi insegnato per dieci anni a contratto nell’Università di Bologna, con puntate in quelle di Bressanone e di Urbino chiamato per la  novità del mio metodo. Quindi avrei tenuto conferenze in convegni con altre presenze prestigiose.

Con il passare dei decenni diverse mode sarebbero mutate e il mio essere a[topo~  non mi avrebbe condotto in carcere o in manicomio né alla condanna a morte come quella inflitta alla ajtropiva, di Socrate.   La mia stranezza romita dopo essere stata criminalizzata, sarebbe stata apprezzata. Pochi giorni fa una mia alumna optima della SSIS, oggi collega mi ha scritto: “Penso anche all'invidia che - a volte mi hai raccontato - ha pervaso le tue giornate a scuola, perché eri bravo, hai anticipato i tempi con lo studio della letteratura comparata, venivi contattato da case editrici, convegni, università”. Allora mi ero già ritrovato del tutto.

 

Ma sui miei  ventanni  

 era stato più

interessato al mio dolore tragico che allo studio soltanto mnemonico e acritico dovuto a quasi tutti esami.

Sicché ho indagato me stesso, e ho

sofferto fino a non poterne più di soffrire, fino a volere studiare

per gli alunni migliori i paradigmi e i manuali sì, ma in vista della

bellezza di Omero e degli altri accrescitori di vita i quali mi hanno

illuminato la strada.  

Nota

10

Cfr. Tucidide, Storie,  II, 40.


 

 

 

Per vivere

intensamente in mezzo agli uomini bisogna avere uno scopo

comune con loro. Così andava nell'Atene quando una cittadinanza colta andava spesso a teatro, così a

Bologna, a Roma, a Praga, a Parigi, a Pechino nel '68.

 

Verso le nove telefonai due volte a Ifigenia. La prima non si

sentiva niente; la seconda mi diede l'angoscia.

Dissi: "Oggi mi sei mancata tanto".

"Anche tu mi sei mancato questa mattina".

"Ho capito", feci e la salutai. Pensavo: "Ha detto – questa mattina

–. Vuol dire che non le sono mancato nel pomeriggio, quando ha

visto Gennaro". Sapevo che era stata a lezione di danza.

Uscii dall'albergo, pieno di pena. Sembrava di sentire i grilli e le

rane cantare nella campagna fiorita. Invece era lo stridere delle

tubature e il gorgoglìo della superficie bollente. Le fanciulle

camminavano, i ragazzini si rincorrevano intorno all'acqua dal

fiato fumoso. Feci il giro anche io, più volte, aspettando presagi.

L'aria di Marzo era calda e appiccicosa come quella di luglio in

una città della pianura padana o della puszta ungherese. Mi

aspettavo che i fiori durante la notte divenissero frutti maturi, poi

marci, che cadessero a terra con tutte le foglie,  quindi dalla

putredine tornassero vivi, in un volgersi vorticoso delle stagioni, in

una ridda continua.

Tornato in albergo sentii dire che avevano sparato al guitto

divenuto presidente degli U.S.A. L'avevano solo ferito.

"Sarà stato un sicario pagato da un potentato economico e

finanziario cui la linea dell'istrione dai capelli orrendamente tinti non giova.

Se

la mia compagna capisse qualcosa di politica, potremmo parlarne.

Ma quella pensa soltanto a se stessa. E io penso troppo a lei".

Andai a letto accompagnato da questi pensieri, senza conforto.

Passai male anche il secondo giorno di gita. Osservavo la vasca

che vomitava sempre fumo rovente. Sulla superficie acquorea

sbocciavano, si gonfiavano, si rompevano, poi si riformavano,

gorgogliando, a miriadi, le bolle d'aria, come nell'anima mia i

pensieri vani. Pochi giorni prima Ifigenia  mi aveva detto:

"Abbiamo davanti una nebbia che ci oscura il mondo".

La sera, appena arrivato a Bologna, le telefonai. Disse che le ero

mancato tanto e che per sentirsi meno lontana da me era stata “a

casa nostra” dove aveva lasciato un messaggio. Corsi subito a


 

 


leggerlo. Diceva: "31/3/81. Gianni, ti amo sempre di più e non

vedo l'ora di rivederti per poterti baciare e parlare. Ti adoro, tua

Desdemona. Se non ci sentiamo prima, ti auguro una buona notte

e sogni felici ". Ne trassi  conforto.

 

Pesaro 4 settembre 2024 ore 12, 01 giovanni ghiselli

p. s

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