domenica 1 settembre 2024

Ifigenia. Il pomeriggio nostalgico. La sera al cinema.


 

 L'immagine rievocata e rimpianta. L’azzardo della  telefonata rischiosa.  Lilì Marlen di Fassbinder.

 

Tali pensieri andavo rimuginando verso il tramonto. A un tratto mi

venne in mente un'immagine di ifigenia, una delle più care,

 un'icona depositata per sempre in una nicchia

dell'anima. Era una bella sera di maggio, eravamo andati al campo sportivo Baumann, correva sulla pista davanti a me,

indossava una tuta

nuova

fiammante, azzurra, attillata: un

ornamento che metteva in rilievo la perfezione delle sue membra

slanciate. Dopo un paio di giri, Ifigenia volse indietro il

viso abbronzato e fece una piccola, mirabile smorfia con cui

voleva significarmi la sua stanchezza e chiedeva il permesso di

riposarsi; quindi sfoderò un sorriso malizioso, espressivo, da

ragazza nello stesso tempo giovane molto e antica.

Allora io, siccome volevo abbracciarla subito, lì, sul prato interno

alla pista rossa, dissi:"Fermati pure cara: sei tanto stanca tu: non

devi affaticarti troppo". Smise di correre subito, si portò sull'erba e

vi si posò, ansimante, stremata, ma tutta contenta di avere ottenuto

quanto voleva con il suo irresistibile fascino.

 Mi stesi accanto a lei, le accarezzai il volto,

le baciai le vene sottili e pulsanti delle tempie sudate, e con le

labbra raccolsi l'odoroso stillare del suo corpo fiorente, bello e


 

 

 

profumato più di una giornata già quasi estiva, quando i muri

pietrosi, i cancelli ferrigni, le reti arrugginite, si ornano di rose

rosse, e spruzzi di purpurei papaveri screziano di chiazze

purpuree i flutti del grano che non è più verde né ancora biondo

 22

Mentre  viene fatto ondeggiare da un vento caldo, pregno di vita.

 

Questo ricordavo il 15 marzo dopo il tramonto e, come un uccello

orbato dei figli, rimpiangevo acutamente la creatura dello spirito

mio.

"Dio, fai che mi telefoni", pregavo. "Fai che chiami lei". Io non

potevo. Però avevo una voglia tremenda di farlo. Per resistere, mi

dicevo:"obdura. Tu destinatus obdura”23,

 Lei ti ha lasciato. Lei

deve cercarti. Lo farà: dove lo trova uno migliore? Tornerà,

vedrai. Desdemona è la vita, è la bellezza viva, e ha bisogno di un

uomo

vivo,

entusiasta del bello, capace

di

valorizzarla.

Quell'uomo sei tu. Senza di te andrebbe in rovina, e lo sa. Se

tornerà, le darò le ali24

 con le quali volerà sul mare infinito e su tutta

la terra, librandosi senza fatica ".

Però non telefonava. Forse non

aveva bisogno di ali.

Alle nove, non potendo resistere oltre, telefonai io.

"Ciao Ifigenia, non sto bene senza di te".

"Ciao Gianni. Non è facile neppure per me".

" Allora vediamoci".

"Per fare che cosa?"

"Andiamo a vedere "Lilì Marlen ", proposi, "l'ultimo film di

Fassbinder".

Mi bastava vederla.

"Va bene", accettò,"ti aspetto alle dieci".

Cercai di farmi bello il più possibile: volevo piacerle. Contavo

sullo sguardo che, sebbene da miope con lenti a contatto,

Ifigenia aveva elogiato più volte.

Quella sera infelice doveva essere sensuale, ma non fisso,

ossessivo o stralunato, bensì mite e vagamente allusivo; caldo ma

non pretenzioso né aggressivo; dolce ma non mellifluo,

Note

22

Cfr. D'Annunzio, La sera fiesolana, 25-26.

23

Catullo, Carmi,  8, 19. Tu, ostinato, tieni duro.

24

Cfr. Teognide, Silloge,  vv.237-239.


 

 

 

 bensì risoluto e cosciente. Altrimenti

rischiavo il penoso o il ridicolo. Però c'era poco da sbandierare

sicurezza, poiché ifigenia mi aveva lasciato e io l'avevo

cercata, quasi contravvenendo a un divieto, e se lei aveva

accettato, del resto soltanto un invito al cinema, poteva averlo

fatto solo per compassione.

Andai a prenderla con grande patema: non osai toccarla, né

parlarle, né guardarla con intensità, a dispetto dei piani. Per

fortuna fu lei a incoraggiarmi dicendo che verso le cinque aveva

sentito il desiderio di telefonarmi. Ma l'aveva represso per volontà

di coerenza.

"Mi avresti reso mirabilmente felice" ribattei, confortato, e le

riferii alcuni dei pensieri pullulati dal mio cervello durante questa

lunga giornata che sta per finire. Era ora dirai, lettore, e lo dico

anche io, ché raccontarla mi è costato fatica e dolore. Ma se il racconto è fatica, il

silenzio è dolore25

 .

Entrammo dunque nel cinema dove proiettavano l'ultima opera del

regista caro ad entrambi. Durante il film, che seguivo con

attenzione scarsa, a un certo momento le presi la mano sinistra.

La ritirò subito e mi gelò dicendo:"Gianni, dobbiamo pensarci".

"A che cosa?", domandai, cercando di non mostrarmi umiliato.

"A noi", rispose. "Prima di rimetterci insieme, dobbiamo capire se

ci amiamo davvero".

"D'accordo" feci, mentre mi toccavo i baffi,"pensiamoci su".

Ci ero rimasto male assai. Io non dovevo pensarci: ero sicuro che

dovevo passare altro tempo con lei per scrivere questo romanzo.

Usciti dal cinema, commentammo il film che non ci era piaciuto

troppo, nonostante i tocchi di commozione e poesia che in Rainer Werner Fassbinfer

 non mancano mai. E' la storia di un amore fatto fallire da

una società disumana, tanto nel suo aspetto militare e tirannico,

quello nazista, quanto nella faccia affarista e borghese. E' la civiltà

antiartistica, antiumana, che ha ucciso Fassbinder, Ludwig di

Baviera e tanti altri nostri eroi. Gli amanti falliti sono due

tendenziali artisti nei quali ognuno di noi riconobbe un poco di se

stesso. Però non sembrava che Desdemona avesse intenzione di

rimettersi a fare l'amore con me.

25

Cfr. Eschilo, Prometeo incatenato, v. 198.

 

Pesaro 1 settembre 2024 ore 17, 15 giovanni ghiselli

p. s.

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