sabato 7 settembre 2024

Ifigenia La degnazione della diva.


 

Argomenti

I pensieri del 30 maggio trascritti in

forma incondita. Ifigenia quale simbolo di un'età egoista e

nichilista. Progetto e schemi di una nuova tragedia. La  prova

a cronometro su per la salitaccia del monte Donato. L'esame di

Ifigenia all'Antoniano. Contro le sfacciate donne dell'età

esibizionista. L'imbarazzo dopo la recita. La ritirata

 

 

Dopo l'esibizione, Desdemona si sentiva una stella: venne a casa

mia e acconsentì a fare l'amore, ma con una degnazione nemmeno

tanto celata. Nuda e distesa sul letto, non aveva smesso di recitare;

anzi si dava insopportabili arie da attrice famosa. L'accompagnai a

casa sua, provando rancore per lei e per me stesso che continuavo

ad amare una donna del genere.

Il giorno seguente, sabato trenta maggio, la ragazza passò la

giornata a concentrarsi sull'esame finale, io a riflettere

sulla decadenza e rovina del nostro rapporto. Mancavano meno di

due settimane e alcune peripezie alla catastrofe tragica .

Trascrivo i pensieri di quel giorno lontano, inconditi come li trovo

nel diario.

"Ecco perché il secondo anno ho smesso di amarla: vedevo già i

segni dell'egoismo volgare che ora sta dispiegando in tutta la sua

piatta, ottusa e volgare grandezza. Adesso sfrutta apertamente,

non dissimula nemmeno i sentimenti cattivi, non nasconde

l'illusione ridicola di valere molto più di me, e di avere migliori

possibilità che stare con me. Prende tutto come se le fosse dovuto,

senza apprezzare il  tempo che ho impiegato per il suo esame di

, anche a discapito del mio lavoro scolastico. E' un prodotto tipico

di quest'età superba e vuota. Maggior mi sento1

 

  Già era egoista e

superficiale di sua natura, poi il mondo istrionico ha esercitato

1

Cfr. Leopardi, Il pensiero dominante: "Di questa età superba,/che di vote

speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e

inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede,/maggior mi sento" vv. 59-65.


 

 

 

un'influenza funesta sul suo carattere. Una seduzione cattiva che

non riesco a controbattere. Ho usato tutte le forze di cui

dispongo. Non le ho sprecate però. Quello che non ho insegnato a

lei (onestà, giustizia e così via), l'ho imparato per me e

per la prossima femmina umana, chiunque ella sia.

Ora prova fastidio della mia serietà, del rigore che lei stessa mi

consigliava

quando ci teneva, e come, a stare con me, poiché

voleva essere aiutata prima a insegnare poi a recitare; quando le ero utile, aspirava a essere la mia

unica donna, non sopportava di condividermi con altre, mentre io

facevo l'esteta, il seduttore insofferente di impegni morali,

incapace di scelte radicali e definitive.

“Laudata sii, Diversità/delle creature, sirena/del mondo! Talor non

elessi/perché parvemi che eleggendo/io t’escludessi,/o Diversità,

meraviglia/sempiterna ” 2, , mi dicevo allora.

Ora però le nostre

situazioni si sono capovolte: Ifigenia sguazza nella corruzione,

nell'ingiustizia e nell'estetismo mediocre; io tendo a diventare

morale: a scegliere il bene e la vita. In questo tempo doloroso ho

reso migliore me stesso, non lei. Oramai è meglio perderla: il suo

comportamento rozzo e cattivo versa nell'anima mia un veleno

composto di noia e dolore. Ho ancora meno in comune con quella

che con una borghese soddisfatta e convinta: questa almeno conosce le buone maniere.

Ifigenia

non ha una passione autentica per l’arte, altrimenti la studierebbe; per il

teatro non possiede un grande talento, né un interesse profondo; se

non fosse così, non punterebbe tutto sull'offerta del corpo a

maestri famosi; esperienze di vita con me non ha voluto farne,

tranne la bicicletta e quel paio di viaggi dove del resto si è

comportata da parassita mentale: insomma ha soltanto la smania

del successo comunque, e lo strumento della sua potenza fisica

disposta a correre rischi di ogni natura: un mezzo valutato troppo,

per il fatto che con me ha funzionato, ma inadeguato al nuovo

fine: a ottenere un lasciapassare dai maschi più cattivi che buoni,

posto che abbiano la volontà di darglielo, o ne siano in grado. Io

sono riuscito a trovare anche mito e poesia in una poveretta del

genere; quelli sui quali ora la disgraziata punta tutto,

probabilmente la useranno senza ascoltarla, senza scoprire niente

 

Nota

2D’Annunzio, Laus Vitae, vv. 46-52.   La Sirena del Mondo .


 

 

 

in lei, a parte la carne di cui si pasceranno: materia scambiata con

una speranza di applausi e lustrini.

Da quando ha fatto questa puntata folle su un destino di gran

rinomanza, mi ha escluso dal suo amore e dalla sua intimità

spirituale. Del resto, per fare l'esame ha bisogno di me, perciò

continuerà a strumentalizzarmi e a lasciarmi usare la sua bellezza

ancora per un po’. Veramente Ifigenia è un simbolo

dell'epoca nostra: egoista e nichilista, senza alcun principio oltre

l'utile. Fa come Poppea: “Unde utilitas ostenderetur, illuc

libidinem transferebat 3.

 Che se ne vada è cosa soltanto buona. Io

devo restare solo, indagare me stesso, tentare la rivoluzione

morale. Da questo dolore devo ricavare un messaggio di eticità

autentica, del tutto diverso dal farfugliare truffaldino di certi politici

obesi che quando aprono le bocche voraci simulano competenze

inesistenti mentre dissimulano tutta la vergognosa avidità che li

anima. E corrompono il popolo, soprattutto i giovani. Quella

ragazza, come tanti coetanei suoi, è peggiorata con il clima

politico e con i costumi dissoluti. La scelleratezza massima di

questo regime di ladri è il cattivo esempio che dà alla gente. Dalla

nostra miserabile storia, rappresentativa del triennio nel quale si è

svolta, devo trarre la luce e i semi di una nascita nuova. Potrebbe

essere una tragedia neoclassica: eschilea per la presenza della

Giustizia, sofoclea per lo scavo psicologico dei personaggi,

euripidea per la descrizione della decadenza di una civiltà.

Un'opera che ponga la questione morale in termini inquietanti per

tutti. Partendo dal nostro rapporto infelice, siccome immorale,

devo comunicare il messaggio che non può darsi felicità senza

moralità. Potrebbe esserci un coro di giovani desiderosi del Bene.

Ragazzi che rifiutano non solo i professori incolti, ma tutti i cattivi

maestri di questa era guasta.

Lo schema potrebbe essere questo:

I Atto. Ci conosciamo a scuola. Parliamo delle nostre vite di

edonisti-esteti, dediti al piacere e al culto della bellezza.

II Atto a Debrecen. Miei sospetti e angosce. Un'occhiata

all'Europa, con una retrospettiva fino al 1966. L' infelicità sessuale

di quel periodo. Dialoghi con le finniche dei primi  anni '70 per

3

Tacito, Annales, XIII, 45, volgeva la libidine là dove si mostrava l’utile.


 

 

 

mostrare la cultura di quel triennio felice. Peggioramento dei

rapporti umani già dal 1974.

III Atto. A Pesaro. Colloqui con le zie depravate dai preti. Arriva

Ifigenia. Serie difficoltà.

IV Atto. Mia emozione per la supplente Lucia, simbolo della gioventù

opportunista che sta dilagando. Dialoghi a scuola.

V Atto. Emozione di Ifigenia per il ballerino. Loro colloqui.

Lui le parla del mondo dello spettacolo e la affascina. Epilogo e

soluzione ancora da trovare".

 

Appena ebbi finito questo programma, sentii suonare le campane

di una chiesa vicina. Poteva essere l'assenso divino al mio piano.

Anche quando Ifigenia arrivò sul monte delle formiche, i

rintocchi del santuario diedero un segno. A vederla era una

creatura carica di tensione erotica. Ma io dovevo fare un altro

tentativo per considerarla e indurla a considerarsi una persona

morale e razionale. Potevo  spiegarle quanto avevo pensato e

progettato. Se l'idea del secondo dramma le fosse piaciuta, se ne

avesse provato interesse, forse saremmo risaliti da quella buca

dove eravamo caduti anche perché da tanto tempo oramai non

avevamo più progetti ma solo ricordi comuni. Se avesse

collaborato, ce l'avrei fatta. Mi aveva detto che dovevo

continuare a scrivere, che ne ero capace. Finalmente avevo

qualcosa di propositivo da dirle. Poteva darmi un'altra volta un

compito impegnativo, difficile: ci avrei messo il meglio delle mie

forze, non avrei più avuto l'angoscia. Il fine nobile e universale,

era educare il popolo, massime i giovani; quello più personale e

pratico, competere con i registi, gli attori e tutti i maschi di

prestigio che Ifigenia avrebbe incontrato facendo l'attrice. Per

emularli e batterli, dovevo creare una grande opera d'arte,

costruirmi una fama più vasta e duratura di quella che loro, i già

famosi, avrebbero potuto sbattere in faccia alla donna mia per

portarsela a letto.

"Se voglio continuare a fare l'amore con lei, devo avere successo

attraverso lo scrivere.  In fondo per arrivare a lei, nel '78, ho

dovuto compiere un'impresa che tre anni prima mi sarebbe

sembrata

irrealizzabile. Nell'autunno del '75 infatti ero un

velleitario del tutto incolto. Sciupavo il mio tempo in chiacchiere

vane. La mia preparazione professionale era fatta di manuali,


 

 

 

paradigmi e giornali. Sicché quando ho avuto l'incarico di latino e

greco al Rambaldi di Imola, quasi nulla sapevo. Meno dei ragazzi

più bravi sapevo.  Avevo di buono che non sapevo nemmeno

simulare. Né lo volevo. Per sopravvivere ho dovuto contare sulla

loro pazienza, e non vergognarmi troppo della loro pietà. Bravo

come ero stato sui banchi del  liceo Mamiani di Pesaro in competizione con la ragazza più brava Marisa, allora ammirata, oggi compianta, quando cominciai da

insegnante liceale, dovetti accettare il fatto che molti ragazzi e,

quel che è peggio, ragazze, non mi ascoltassero, e che alcuni

addirittura leggessero un libro o un giornale mentre facevo lezione. Non mi cacciarono

per compassione, credo. Fino a Natale in terza liceo facevo lezione

tremando. A casa studiavo, studiavo sempre. Per ogni venti versi

di traduzione mi leggevo un libro di critica. In gennaio dai banchi

sparirono tutti i giornali, e in primavera diversi allievi prendevano

appunti. Il secondo anno, al Minghetti, fin dal primo giorno, erano

molti quelli che scrivevano le mie parole. Avevo studiato pure

d'estate. Il terzo anno raggiunsi il successo. Poi, all'inizio del

quarto, il premio: la superragazza supplente.- Ce l'ho fatta-, mi

dissi,-oh Dio, ce l'ho fatta a prendere la borsa di studio . Deve andare così un'altra volta.

Qualche anno, due, tre, anche dieci o più, di sacrifici inumani, se

necessario, poi il capolavoro, la gloria, la fama. Se ti riesce, lei ti

ama di nuovo. O magari trovi di meglio. Un amore morale. Una di

stile elevato e di anima nobile. Insomma una grande donna, bella e

fine".

A questo punto mi feci due obiezioni:"Che gusto c'è a fare l'amore

con una che ti ama soltanto nel caso che tu abbia successo?"

Poi:"Se Ifigenia invece di aspirare al teatro, avesse mirato a

studiare con serietà, non sarebbe stato tutto più semplice e bello?".

Non mi diedi risposta: non ne potevo più di pensare; inoltre erano

già le sette di sera, e se volevo fare un giro in bicicletta prima di

andare a vedere l'esame, dovevo sbrigarmi. Anche tu lettore,

suppongo, sarai stanco di una ruminazione mentale che aveva

stremato perfino uno come me, allenatissimo all'almanaccare fin da bambino. Andai a

cronometro su per il monte Donato. Feci un buon tempo con un

rapporto più duro del solito.

"La marcia in più-pensai-che riesco a usare quando il pensiero di

lei mi mette alla prova". Avevo pedalato con leggerezza e potenza;

così avrei scritto il mio capolavoro; così avrei superato tutti i

registi e gli attori famosi nella sua stima. Il sole tramontò vicino a


 

 

 

S. Luca alle 20 e 34. Gli chiesi il successo per la mia compagna e

per me. Quindi tornai velocemente a casa, feci la doccia e mi

avviai verso l'Antoniano. Avevo indossato un vestito di lino

azzurro su una camicia bianca e mocassini rossicci. Ero teso.

La prova si svolgeva all'incirca come la sera prima. La differenza

stava nel pubblico più numeroso e in una riduzione del testo.

Ifigenia recitò discretamente. Meglio di tutto le riuscì la scena

sul Danubio. Alla fine i giovani attori furono applauditi a lungo

dal pubblico in piedi, del resto composto in massima parte da

amici e parenti. La mia donna guardava gli osannatori. Era in

calzamaglia poiché la rappresentazione si era chiusa con i naticosi

svolazzi dello Zeppelin incarnato da lei, callipigia.

Io ero in prima fila, ma fui ignorato. Quando gli applausi

terminarono, ifigenia si mosse verso il gruppo dei suoi

amici che erano da un'altra parte. Rimasi al mio posto: non

volevo essere io ad avvicinarmi. Speravo fosse lei a cercarmi con

lo sguardo e a venire da me: non ero nascosto. Avevo anche

sperato che, finita la commedia, si sarebbe cambiata, o avrebbe

messo qualcosa sopra la tuta trasparente; invece si era accostata al

pubblico con il seno in evidenza. Questo mi dava fastidio: non era

più per esigenza scenica che andava mostrando il petto

con tutte e due le poppe, tutte intere.4

  Era vanità, esibizionismo, impudicizia, mancanza

di rispetto

per il suo uomo.

Io la

penso così, forse

retrogradamente. Anche le sfacciate che mostrano seni e chiappe

sulle spiagge non mi sono simpatiche. Nemmeno eccitanti sono.

Una donna fine non lo fa, ed è più attraente.  Mostra magari le cosce, al massimo le mutande, le adorabili mutande delle donne.

I compagnoni le dicevano:"brava, bravissima!". La volevano tutti, qua e là, come Figaro.

Lei sorrideva giulivamente. Io

cominciavo a soffrire. Finalmente si accorse di me e venne a

salutarmi. Ma non era contenta che fossi presente nel momento e

nel luogo del suo primo trionfo. Oramai non le servivo più, ero di

troppo.

"Brava", dissi.

"Grazie. Dov'eri?"

"Qua, dove sono ora".

"Ti sono piaciuta?"

4

Cfr. Dante, Purgatorio, XXIII, vv. 100-102:"nel qual sarà in pergamo

interdetto/alle sfacciate donne fiorentine/l'andar mostrando con le poppe il petto".


 

 

 

"Molto". Ci fu un momento di silenzio.

"Ora che cosa farai?"

"Non lo so", rispose imbarazzata, volgendosi verso gli altri

attori."Credo che i miei compagni vogliano festeggiare in qualche

maniera".

"Ho capito" borbottai. Avevo capito che io non ci entravo.

Ifigenia non aggiunse parola: mi stava davanti silenziosa e

sempre più imbarazzata.

Dopo qualche secondo la salutai: "Bene. Allora ciao. Sei stata

brava. Continua così".

"Ciao, grazie".

Mi mossi verso l'uscita sperando che mi chiamasse, mi facesse

tornare indietro per dirmi almeno:"Ci vediamo domani". Invece mi

lasciò andare via come se fossi stato uno spettatore qualunque, o

un ammiratore di nessuna importanza, anzi piuttosto importuno.

Uscii da quell'ambiente che mi soffocava. Entrai nella bianca

Volkswagen, la scoprii nella notte d'estate precoce, ventosa, calda

e profumata. Tornai a casa. Speravo che mi telefonasse. Invece

niente. Mi spogliai e mi stesi sul grande letto dei nostri tripudi. Il

dolore mi ringhiava nel petto: lo accarezzavo, lo scrutavo, cercavo

di ammansirlo perché non mi dilaniasse.

Pensavo:" E' andata come avevo previsto. Appena si è sentita

un'attrice, si è sbarazzata di me. Tornerà nell'antico fango da dove

l'avevo estratta per elevarla al mio linguaggio, alla mia logica, al

mio stile. Questa sera si sente una diva, poveraccia! E' solo una

grossolana plebea, come quando la conobbi. Volgare di

anima, di comportamento, di tutto! Sebbene mi abbia scimmiottato

per quasi tre anni, è rimasta quello che era: fatta per la confusione,

il guazzabuglio. Ricordo una volta che mi telefonò da via

Rizzoli. Andai a prenderla. Era con altre della sua razza mentale:

facevano chiasso sul marciapiede. Io l' ho tirata fuori di lì. Ora ci

torna".

Ero steso sopra il lenzuolo, in mutande; stavo per piangere, ma

non volli lasciarmi andare così. Non era ancora giunto il momento

della catastrofe. Decisi di alzarmi, rivestirmi e tornare nel suo

covo  per porle delle domande, farla parlare, ascoltarla.

Anche se non fosse stata sincera, qualche cosa mi avrebbe

insegnato.

Pesaro 7 settembre 2024 ore 11, 43 giovanni ghiselli

p. s.

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