martedì 3 settembre 2024

Ifigenia. L’ultima sortita a Moena. Amo baciare chi se ne va.


Argomenti

La telefonata mattutina di Margherita. Il proposito malfermo di

concludere il rapporto con Ifigenia che  si offre di

venire in montagna. L'ultimo viaggio da Bologna a Moena.

Cesare e Cleopatra. Il peccato vero: fare sesso per dispetto. La

ragazza si ammala, prende in mano la penna, scrive e disegna due

piccoli autoritratti. La scïata balorda del Lusia. Il conforto delle

montagne dalla voce umana. La cena con i chiarimenti dovuti.

L'ira di Priapo1 . Il patto dei quindici giorni di separazione.

 

 

La mattina di venerdì 20 marzo, verso le sette e mezzo, mentre

stavo uscendo da casa, sentìi squillare il telefono, del tutto

insolitamente per quell'ora.

"Chi può essere tanto presto?" mi domandai, sperando che

fosse Ifigenia. Il proposito di non amarla più e di prepararmi

alla solitudine era debole. Rimasi deluso dalla voce di mia sorella

che chiamava da Moena e ci invitava a raggiungerla lassù: c'erano

anche suo marito e un gruppo di amici.

"Venite", disse, "così stiamo un poco insieme".

"Io arrivo questa sera, volentieri, Ifigenia non so: oggi è molto

impegnata ala scuola di recitazione", risposi. Non volevo spiegare le nostre

tragedie al telefono, prima di correre a scuola.

"Aspettala", mi esortò Margherita. "Venite insieme domani

mattina:  noi rimaniamo fino a domenica sera".

"Glielo dirò", conclusi,"comunque tu e io ci vediamo".

Mia sorella non si era accorta che la ragazza non gradiva la

compagnia dei suoi amici, né la sua, anzi oramai nemmeno la mia.

Per strada pensavo che era meglio se a Moena andavo senza di lei:

avrebbe fatto scene odiose, come l'ultima notte dell’anno. Non era

capace di sciare, non sapeva o non voleva osservare, tanto meno

ascoltare; chi avremmo trovato non le piaceva; con me non andava

d'accordo. Non amava neppure il sole, sebbene all'abbronzatura

tenesse parecchio, secondo la solita pretesa parassitaria di avere

tutto, in cambio di niente. E in ogni caso Ifigenia- Desdemona, la

1

E' il dio dell'erezione. Un dio grande. E’ inutile, è perfino dannoso, cercare

di propiziarselo con farmaci che, anzi, suscitano la sua ira santa.


 

 

 

disgraziata, era innamorata di un altro: che cosa voleva ancora da

me?

Entrai in classe e assegnai il compito di latino. Mentre i ragazzi

traducevano, cercavo di stabilizzare il vacillante proposito di

terminare il rapporto. Scrissi all'Antonia che l'amore più grande,

bello e morale della mia vita era finito. Aggiunsi una frase tratta

da Leopardi "anche io davo il mio contento in custodia alla

malinconia"2.

  Voleva essere l'epigrafe sulla pietra tombale della

relazione che invece aveva ancora due mesi e 24 giorni di vita.

All'inizio dell'intervallo ero incerto se telefonarle, cosa che avevo

fatto sempre, quasi come un rito dovuto e un tempo pure festoso, ogni volta

che  uscivo di classe e andavo alla cabina telefonica di via Monte Grappa.. Formai il numero poco convinto, tanto che

lo sbagliai. Lo rifeci con l'intenzione di dirle soltanto che la

salutavo poiché subito dopo la scuola sarei andato in montagna.

Non intendevo invitarla. Ma il telefono era occupato. Allora sentii

una voglia impaziente e nervosa della sua voce. Finalmente

rispose.

"Ciao - dissi -. Ti telefono per salutarti: subito dopo la scuola vado a

Moena. Ci sono Margherita e i suoi amici".

Senza esitare un istante rispose: " Gianni, ti prego,  aspettami fino alle

sei. Ti prego. Ho voglia di venire con te, anche di vedere tua

sorella. Mi sono svegliata di ottimo umore. Mi manchi".

Così mi spiazzò, mi eccitò, mi commosse. Mi vennero le lacrime

agli occhi; ebbi un'erezione violenta. Non fui capace

di

mantenermi fedele al primo proposito, di tenerla in rispetto e a

distanza da me, come avrei voluto, siccome immaginavo che a

Moena e in presenza di Margherita si sarebbe comportata da

canaglia. Oppure da disgraziata. O entrambe le cose.

"Sì tesoro, ti aspetto, sì vieni, mi fa tanto piacere davvero", risposi.

Non che fossi acciecato al punto di non prevedere dispiaceri grossi;

il fatto è che sotto sotto credevo di averne bisogno, per capire

meglio e fare capire scrivendo. Non sei curioso, lettore, di

quest'ultimo viaggio da Bologna a Moena dei due amanti

degenerati in quasi nemici?

Nel pomeriggio andai a correre i 5000 metri al campo sportivo: lo

feci in un tempo buono per il mese di marzo. Allora pensai che,

Nota 2

2

Leopardi, Zibaldone,  27 Dic. 1820.


 

 

 

portandola in montagna con me, non solo facevo del bene a lei,

siccome la aiutavo a non degradarsi con quel ballerino di mezza

tacca, ma anche a me stesso in quanto frequentandola acquistavo

comunque potenza, mentale e fisica.

Alle sei e mezzo dunque partimmo per la valle di Fassa. Io avevo

buone

intenzioni. All'inizio eravamo  in discreta armonia.

Cantavamo  Marinella  di Fabrizio De Andrè, scambiandoci

sguardi per quanto lo consentiva la guida, e sorridendoci, come

due che si vogliono bene, o addirittura si amano. Andava così nel

novembre del '78, il primo mese del nostro rapporto, quando ci

guardavamo nelle pupille con ammirazione reciproca, con allegria,

con gioia, e osservandola io non potevo fare a meno di ringraziare

la Mente dell'Universo di averla messa sulla mia strada.

Appena usciti dal casello di Padova ovest però, mi innervosii

poiché avevo dimenticato di fare benzina nell'autostrada, mentre

fuori le pompe erano già chiuse. Ifigenia intanto, accesa la

radio, aveva cercato e trovato la musica rock, e la teneva a tutto

volume. "Musa drogata"3

  pensai. Né mi aiutava a rimediare la

necessaria benzina. Mi domandavo:" Che cosa è venuta a fare in

montagna con me?".

A Borgo Valsugana finalmente vidi un distributore aperto; dopo il

rifornimento mi tranquillizzai un poco. Anche perché erano cessati

quei rumori d'inferno. Rimanemmo in silenzio fino a Trento, dove

Ifigenia disse:" Ehi, vecchio signore!"

"Che cosa vuoi dire?", le domandai.

"No, tu devi rispondere-Dei immortali!-", ordinò. Stetti al

gioco:"Dei immortali!".

"Vecchio signore,

non scappare!".

Dovevo rispondere:"Non

scappare? Vecchio signore? A Giulio Cesare questo?". Erano

battute del Cesare e Cleopatra di Bernard Shaw4 . La fanciulla le

 

aveva provate all'Antoniano, nel pomeriggio. Per un quarto d'ora

fu divertente, ma ripetuta decine di volte la scena divenne

Note

3

Cfr. Platone, Repubblica, 607a:"

eij de; th;n hJdusmevnhn Mou'san paradevxh/ ejn

mevlesin h] e[pesin, hJdonhv soi kai; luvph ejn th'/ povlei basileuvseton ajnti;

novmou te kai;..lovgou

", se invece accoglierai la Mu sa drogata nei canti o nei

poemi, il piacere e il dolore regneranno nella tua città invece della legge e del

pensiero.

4

Atto primo, quadro secondo.


 

 

 

monotona, quindi ossessiva, noiosa e odiosa. Non la finiva più di

ripetere:"Ehi, vecchio signore!". Con voce da bimba. Smisi di

risponderle, ma continuò fino a Moena. "Mancanza di misura",

pensavo,"di educazione, di intelligenza" probabilmente è adatta a

quel ballerino utile solo ad allungare una fila5.

  Si rispondeva da sola.

Con voce da uomo. Piacere depravato.

"Sfinge, tu abusi dei secoli"

"Sono più giovane di te, benché tu abbia ancora una voce da

bimba"

Ma che regina d'Egitto!".

Verso l'una arrivammo. Disse:"Buonanotte, vecchio signore", poi

si avviò verso  camera sua.

Mi sentivo così poco amato, così strumentalizzato, e provai tanto

risentimento che pensai:"Se non vado a letto con quella, gliela do

vinta ancora una volta. E' venuta a Moena solo per abbronzarsi e

sfruttarmi: non prova attrazione, né stima, né affetto per me.

Adesso però le faccio vedere cosa provo io per lei".

Mi involgarivo, mi mettevo a un livello più basso e triviale del

suo: Ifigenia non voleva fare sesso con me; il mio cattivo demone aveva

intenzione di imporglielo per dispetto, con rabbia e con odio.

Andai in camera mia a posare il bagaglio, quindi salii la rampa di

scale che ci separava e bussai alla porta della sua stanza.

Mi aprì. Entrai. Le chiesi:"Hai voglia di dormire?"

"No", rispose pur stropicciandosi gli occhi, come faceva, a

qualsiasi ora, quando voleva dare a vedere di essere già mezza

morta di sonno.

"Bene", dissi, "allora neanche io. Quindi facciamo l'amore". Come

se fosse stato suo dovere farlo comunque: anche senza tenerezza,

né simpatia, poiché era quanto lei mi doveva in cambio dell'aiuto

per l'esame, e del fatto che l'avevo portata in montagna.

Copulammo una sola volta, squallidamente. "Ecco il peccato

vero", pensai,"non è fare l'amore, come ci inculcavano i preti, ma

5

Cfr. T. S. Eliot, Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock, vv. 114-116:"No! I am

not Prince Hamlet, nor was meant to be;/am an attendant lord, one that will do/to

swell a progress, start a scene or two", no, io non sono il Principe Amleto, né ero

destinato a esserlo;/io sono un cortigiano, sono uno/ utile forse a ingrossare un

corteo, ad avviare una scena o due.


 

 

 

fare sesso in questa maniera che nega la gioia". Quindi cominciai a

vestirmi, senza parlare. Ma Ifigenia disse:"Gianni, resta a

dormire con me".

La guardai. Era nuda. Aveva un'aria davvero stanca, quasi

sofferente e malata. Mi diede pena. La sua dignità residua non le

consentiva di cadere con il nostro rapporto in una specie di

semiprostituzione senza reagire con una scena di affetto e con una

simulazione di amore.

"D'accordo", risposi. Volevo contribuire a salvarci la faccia, ma

sapevo che nella sua richiesta non c'erano sentimenti buoni per

me.

Dormii un paio di ore, poi tornai in camera mia, pieno di odio, di

compassione e di schifo.

La mattina, verso le nove, andai a chiamare Ifigenia che era

già pronta; quindi scendemmo insieme nella sala della colazione.

Avevo voluto evitarle l'imbarazzo di salutare da sola Margherita e

i suoi amici. Questi stavano finendo di nutrirsi; come ci videro

entrare, si alzarono in piedi, ci applaudirono e fecero dei gran

complimenti. In effetti la ragazza era bella assai, e imbelliva anche

me. Dopo, salimmo sulla pista del Lusia. Ifigenia si era

procurata sci e scarponi, ma non volle provarli; "forse domani",

disse.

Quando furono le dieci anzi, accusò un forte male di stomaco e

volle rientrare in albergo per stendersi nel letto. Sarebbe tornata

più tardi. Sciando, pensavo a lei che mi aveva accompagnato per

soffrire e farmi soffrire: non sciava, non parlava, non vedeva il

paesaggio, aborriva il gruppo di mia sorella, nemmeno del sole e

dell'abbronzatura si curava. Era venuta sulle Dolomiti per

chiudersi in una stanza e poi lamentarsi.

 

Mi venne in mente un

compagno di scuola di quinta ginnasio, Maurizio Sensi,  che in gita scolastica,

proprio a Moena, durante la cena, chiese un panino. Siccome non

glielo portarono, abbaiò:"Boia di un Giuda, ho fatto spendere

quindici mila lire a mio padre per non mangiare un panino? Sa ’sti quattre! Do’ i ho i sold?  E tu

Ghiselli, perché mi hai detto che questi posti dove ci affamano

sono bellissimi? Era meglio se restavo a casina, e quei bei baiocchi me li

tenevo in saccoccia, boia miseria!" Vecchio, titanico Sessi, tutto

istinto. Mi venne in mente per converso l’angelica Marisa e la gita scolastica delle terze medie a Venezia.

 Anche Ifigenia come Sensi  era tutto istinto, nemmeno  benevolo nei miei


 

 

 

confronti, ed era meglio se non veniva a Moena. Rimuginavo

fastidiosi pensieri, mescolati e temperati con ricordi buffi.

Alle tre cercai di telefonarle. Una voce rispose che la signorina

non era in albergo. "Cosa?", pensai,"è uscita?".

Cominciavo a sentire il morso vipereo della gelosia, quando la vidi

apparire con la faccia pallida, immersa nel bavero rialzato del

montone nuovo, quasi bianco anche lui. Era più attraente del

solito. Come Päivi quando mi accolse all’aeroporto di Helsinki.

Donne in fuga da me. Meno male penso oggi. Se non fuggivano andava peggio.

"Stai meglio?", le domandai.

"No, sto ancora male. Sono tornata perché in camera da sola avevo

paura. Ti aspettavo, ma tu non arrivavi mai. Non hai nemmeno

telefonato. Speravo tanto che lo facessi".

"Infatti, lo stavo facendo in questo momento, tesoro. Sarei venuto

adesso, se tu mi avessi detto che gradivi la mia presenza. Prima

non ti ho chiamata perché pensavo che stessi dormendo o

smaltendo il dolore. Davvero non ti è passato, creatura?"

"No, gianni, sto peggio di prima".

"Moena, o cara, noi lasceremo,/ la vita uniti trascorreremo:/de'

corsi affanni compenso avrai,/la tua salute rifiorirà "6,

canticchiai

 quasi senza ironia.

In effetti era verde a vedersi, stava peggio

Come

mi diceva

la

mamma

mia

quando ero bambino e

adolescente, per umiliarmi e farmi sentire brutto al pari di un

rospo. Ma la bellezza di Desdemona era inattaccabile; integrale

era: anche se mutava colore non cambiava sostanza.

"Cosa pensi che sia, cocca?", le domandai. Mi venne in mente

Helena , e la sera di quel luglio lontano, quando alla

stessa domanda rispose:"ho male al ventre: potrei essere in cinta,

ma potrebbe anche essere un cancro" 7.

Suscitò il mio istinto paterno nonostante fossimo quasi coetanei.

"Non lo so", fece Desdemona,"sento dolori forti sotto lo stomaco,

a destra. Forse è il fegato. "Bellina", pensai."Le tue vene tremano

senza tregua, come cespugli di rose" 8

.

"Ti accompagno in albergo poi

rimango là-dissi-ho sciato

abbastanza".

Note

6

Cfr. La traviata, F. M. Piave-G. Verdi, III,6.

7

Cfr G. Ghiselli, Tre amori a Debrecen.

8

Cfr. József Attila, Ode, 4.


 

 

 

Tornammo alla Campagnola e salimmo in camera sua. Si stese sul

letto. Volle che le tenessi una mano e leggessi i miei appunti del

mese di Marzo. Lessi le annotazioni copiose dalle quali avrei tratto

i due capitoli precedenti. Desdemona ascoltava con attenzione.

Quando ebbi finito, disse:"bravo, continua così: ci sai fare." Poi mi

chiese il quaderno per scriverci qualche cosa. Glielo diedi e volsi

lo sguardo fuori dalla finestra, ai monti Pallidi che, declinando il

sole dall'altra parte, cominciavano a coprirsi di rose. "Presagio

d'estate felice", pensai, come mi ero già detto  a Moena la primavera

che precedette l'incontro con la ragazza bella bruna e vivace.

Allora si era avverato.

Rivolsi una preghiera al sole che rosseggiava tra le pietre dei

m:"Falla diventare un'attrice famosa, e fammi scrivere un

capolavoro capace di educare un popolo intero". Il dio non diede

alcun segno. Invece mi

chiamò Ifigenia per restituirmi

l'agenda con queste parole:"Caro gianni, sto male da morire. Ho il

fegato in cattivo stato: "visceri guasti dai ripugnanti sospiri9

 " , e

mi sento quella persona infelice, malata che sono diventata. Ma io

non sono così di natura. Una delle mie caratteristiche è essere

sana oltre che allegra, vitale, ecc. Tu dici che vuoi il mio Bene e

secondo te il mio Bene è che tu continui a scrivere, a essere forte.

Dici che sono infelice e non ti chi… ". Qui si interrompe. In fondo

alla pagina sono disegnati due volti piccoli, con occhi grandi ma

poco espressivi, con capelli folti, nasi leggermente carnosi e

pronunciati, denti appena un poco fuori dalle labbra sensuali. Visi

alquanto simili al suo.

A cena Ifigenia continuò a fare la grande malata: mangiò solo

del riso scondito, e subito dopo, tra lamenti e sospiri, volle tornare

in camera. L'accompagnai. Mi pregò di rimanere a dormire con lei.

La mattina seguente si svegliò guarita e contenta. Allora le proposi

di sciare con me, sulle piste del Lusia: il gruppo di mia sorella era

andato su quelle del San Pellegrino, perciò non avremmo

incontrato nessuno che, conoscendola, potesse vederla cadere,

posto che fosse caduta. Così la convinsi: infatti temeva il ridicolo.

Mi seguì in direzione della discesa Le Cune-Valbona che per un

principiante, a onore del vero, è alquanto difficile. Voglio dire che

 

Nota

9

E' un verso del terzo coro del dramma che avevo scritto in Dicembre: La scuola

corrotta.


 

 

 

non fui un bravo maestro, né un amico, portandola da quella parte.

Comunque la precedevo, mi giravo e la incoraggiavo a tentare i

brevi tratti che ci separavano. Le davo pure suggerimenti vari sulla

tecnica sciistica dove del resto io stesso ho più da imparare che da

insegnare. Non potei evitarle di cadere innumerevoli volte, anche

pesantemente. Nei casi peggiori mi piombava

addosso, e,

precipitando, mi trascinava con sé. Allora dovevo rimettere in

piedi tutti e due, con fatica ogni volta maggiore. Dopo pochi metri

di scivolata, ricadeva, più o meno male, ma sempre cadeva.

A metà discesa si tolse gli sci, esasperata e, credo, ammaccata; mi

accusò persino di avere voluto ammazzarla buttandola giù per quel

burrone scosceso.

Risposi che la pista non era nera, e che cercavo di insegnarle con il

metodo attraverso il quale avevo imparato io: anche a nuotare

avevo cominciato buttandomi dal moscone dove non toccavo,

quando non ero sicuro di galleggiare.

Replicò sdegnata che lei era diversa da me, e non voleva rischiare

la vita; quindi mi consegnò i suoi sci e cominciò a scendere

camminando. Ogni due passi imprecava. Mentre facevo la discesa

da solo, con i suoi sci tra le braccia, pensavo:"Ma guarda se

quella, da quando frequenta una scuola di recitazione, deve avere

l'ardire di credersi una gran donna, superiore a te. Hai visto come

era goffa e vile? Hai contato quante volte è caduta? Se non ti

ama più siccome pensa di trovare un principe azzurro

nell'ambiente dello spettacolo, vada pure a cercarlo nel teatro il

suo eroico burattino. Sarà lo strappo nel cielo di carta 11 della sua baracca da avanspetttacolo

 

a darle

coscienza dell'errore che ha fatto cambiando te

con una

marionetta gesticolante. In fondo colei è stata pure una palla di piombo

attaccata con una catena ai tuoi piedi leggeri  per invalidarne la

corsa. Oggi per esempio, sai quanto avresti sciato più volentieri

con tua sorella, o anche da solo, piuttosto che con quella noiosa

balorda! Per quanto riguarda la tua opera d'arte poi, non credere

che tale incapace sia necessaria; anzi, comincerai a scrivere con

impegno totale quando questa sciagurata Desdemona sarà andata via. E intanto,

finché rimane, disturba. Sparita lei, tu sarai libero da tanto tumore;

Nota

11

Cfr. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, cap. XII.


 

 

 

passata la sofferenza della resecazione, ti sentirai veloce e potente:

potrai lanciarti spedito verso la meta dell'arte".

La aspettavo a Valbona. La vidi arrivare dopo una mezz'ora.

Avanzava ridicolmente

zoppicando e

appoggiandosi sulle

racchette.

"Vecchia e brutta", pensai.

Tornammo in albergo. L'accompagnai in camera sua. Guardai

l'orologio. "Sono le cinque-dissi-, adesso ci laviamo, ci riposiamo

un poco, e ci vediamo tra un'ora".

"Va bene-rispose-, a cena". Ma questa era alle otto: Desdemona

non voleva fare l'amore. Una volta non perdevamo nemmeno

occasioni  di pochi minuti, e non sempre avevamo una stanza per

la nostra libidine. Mi allontanai facendo questa constatazione

triste, e soffrendone, ma senza darlo a vedere. Scesi in camera

mia, mi lavai e asciugai in fretta, poi uscii per parlare con i monti

amici e con il santo volto di luce che tramontava. Erano quasi le

sei. A quell'ora, nelle sere non annuvolate di primavera, le rocce

antropomorfe prendono un colore rosa pallido che suscita buoni

presagi, evoca ricordi di maggi odorosi, di calde, aulenti sere piene

di voli. I  monti rosati dall'ultimo sole mi parlarono anche.

Dissero:

"Non preoccuparti, gianni, non te la prendere. Non sei più

il bambino umiliato e maltrattato che dovevamo consolare

trent'anni fa, quando oltre noi non avevi nessun conforto per il

padre vacante, nessuna difesa dalle zie bigotte, dalla madre furente

e spensierata. Né avevi ricordi buoni. Ora sei un uomo di trentasei

anni e non sei male: hai avuto il beneficio dell'amore di donne

anche belle e fini ben più di questa, hai conosciuto il pensiero di persone intelligenti

e geniali, hai costruito dentro di te una forza che nessuno potrà

sottrarti, che anzi si accresce di giorno in giorno mentre la

propaghi insegnando. Ifigenia è una ragazza bella assai, non è

proprio scema, non è ignorante del tutto, ma tu puoi trovare di

meglio.

Pensa a quanta strada in salita hai fatto da quando venivi qua

bambino angariato a domandarci:"Ditemi

monti dalle facce

umane, tu amico Piz Meda, tu caro Sas da Ciamp, tu fraterno

Mesdì, che cosa ho fatto di male per soffrire in questa maniera?

Fatemi capire in che cosa sbaglio, piccolo come sono, e smetterò.

Quali peccati ho commesso perché una zia possa umiliarmi


 

 

 

davanti a tutti dicendo che sono un bambino disgraziato, perché la mamma

dai capelli neri e lucenti come le piume dei grandi uccelli che

planano adagio sopra le vostre foreste scure, dagli occhi grigio

verdi e inafferrabili come le trote dei vostri torrenti, in due

settimane che sono qui a patire aspettando, non mi ha mandato

nemmeno una cartolina con baci e saluti?"

Ricordi quanto  male ti andava? Camminavi solo su queste strade,

ed eri vestito di stracci, e pativi, e non lo facevi per posa come oggi, soffrivi assai per tante carenze,  eppure pensavi che ti

saresti rifatto: un giorno, magari lontano, però sicuro, non saresti

più stato un mendicante di affetti in balìa di gente disordinata. Ebbene, da

allora diverse creature ti hanno amato; alcun persone ti hanno

ammirato; altre hanno dovuto temerti; i colleghi invidiosi ti hanno

fatto una guerra iniqua che giustamente hanno perduto, poiché gli

allievi hanno preso non loro, ma te quale modello di cultura e di

vita. Pensa alle donne che ti hanno donato l'amore nella gioia, o

l'amicizia nella contentezza, l'affetto e la solidarietà nei momenti

difficili. Ti è andata bene, gianni, molto bene ti è andata. E non è

finita qui. Dai retta a noi che siamo più antiche dei tuoi poeti, più

di Sofocle che prediligi, anche del poeta sovrano, l’antichissimo Omero siamo più

antiche, e abbiamo visto tanta gente soffrire. Ma tu sai farlo con

dignità, con nobiltà, come i tuoi eroi della tragedia: tu dal dolore

sai trarre comprensione12

 e accrescimento . Con la volontà buona e

l'intelligenza hai conquistato quanto nemmeno osavi sperare:

Elena, Kaisa, Päivi, per esempio; poi altre compresa Ifigenia. Cos'altro vuoi?

Dillo a te stesso, dillo a noi, e lo otterrai. Quella ragazza non l’hai mai voluta per sempre. Hai pensato che con

la sua bellezza esterna volesse sottomettere la tua interiore, meno

apparente ma più produttiva e reale, e non hai voluto scambiare

oro con rame, come fece con Diomede  Glauco13 cui Zeus tolse il senno . Non è

 

così?"

Ammisi e ne fui confortato. Capii che avevo motivi razionali e

reali per essere ottimista. Ringraziai i monti amici, le convalli

Note

12

Cfr. Eschilo, Agamennone, vv. 177:"

tw'/ pavqei mavqo"

", attraverso il dolore la

comprensione.

13

Cfr. Iliade, VI, vv. 234-236.


 

 

 

rifugi di fiere montane, i dossi sporgenti, le rupi scoscese a me

familiari , e tornai alla Campagnola.

 

Entrai in camera mia. Erano circa le sette. Poco dopo arrivò

Ifigenia, assai complimentosa. Probabilmente aveva pensato di

essere stata troppo scostante. Mi faceva carezze e moine straordinarie.

Troppe, e, nel contesto di quella giornata, stonate. Alle sette e

mezzo scendemmo a cenare. La ragazza continuava a

ripetere:"Quanto sei bello, gianni, quanto sei bravo!". Aspettai che

tacesse un momento, quindi le domandai:"Perché sei venuta in

montagna senza intenzione di fare niente con me: né parlare sul

serio, né sciare, né passeggiare, né amoreggiare?"

Capì che non poteva continuare a mentire e rispose:"Non lo so.

Forse per abbronzarmi. E' vero che non ho più tanta voglia di stare

con te, non quanta ne avevo una volta: mi spiace".

La osservavo con calma. Ne fu incoraggiata.

Continuò:"I miei sentimenti verso di te adesso non li capisco.

Dammi del tempo; anzi, facciamo una cosa. Finita la cena, saliamo

in camera mia. Quindi torniamo a Bologna, e là, per due

settimane, tu non mi cerchi, nemmeno al telefono. Io devo

pensarci bene a quello che sento, alla nostra situazione, a noi due.

Prima non ho voluto stare con te siccome ero stanchissima e tutta

indolenzita per le cento o mille cadute della mia disastrosa discesa.

Quando ho fatto la doccia, mi sono vista piena di lividi. Ma non è

solo per lo sfinimento e il pestaggio della discesa  da te imposta che non ho

voluto fare l’amore. Credo di essere venuta qua con l'intenzione di vedere se tu

mi vuoi bene, se io te ne voglio; insomma per capire qualcosa di

noi. Io non sono più sicura di niente. Ora per esempio mi è venuta

una gran voglia di farlo".

Sembrava sincera. Probabilmente lo era. Le luccicavano gli occhi

mentre mi fissava. Salimmo in camera sua. La chiave chiudeva.

Lo facemmo una volta, con gusto e allegria. Dopo l'orgasmo

disse:"Lavati Gianni, facciamolo ancora". Andai nel bagno

contento.

"Come ai bei tempi", pensavo. Tornai presto nel letto dove lei

aspettava fissando il soffitto con un sorriso. Io però non ebbi una

seconda erezione decente. Priapo mi aveva abbandonato. Dopo tre o quattro tentativi falliti, Ifigenia mi


 

 

 

scostò con una mano, e, senza guardarmi, esclamò con dura

ironia:"Poi sono io quella che ne ha poca voglia! Diciamola una

buona volta questa verità!"

"Sì, capita pure a me di non avere tanto desiderio quanto una

volta-risposi-, ma generalmente tu sei più fredda di me. L'anno

scorso il meno entusiasta ero io; quest'anno sei tu".

"Già, oramai sono anni che le cose non vanno bene tra noi",

confermò. Allora dissi:" Adesso partiamo. A Bologna proveremo

la separazione che hai proposto tu poco fa. Per due settimane non

ti cercherò. Faremo in modo di non incrociarci nemmeno per strada..

Dopo questi quindici giorni tu, però, mi dici con tutta franchezza e

chiarezza se vuoi restare con me. Io lo vorrei, nonostante questa

sera sia rimasto molto al di sotto della nostra sufficienza. Io

ambisco a restare con te. Non è soltanto dal numero degli orgasmi

che si misura la volontà di stare insieme".

Ifigenia annuì.

Ci vestimmo, prendemmo i bagagli già preparati prima di cena e

scendemmo. Il proprietario dell'albergo, quando andai a pagare il

conto, disse: "Torni a Bologna tanto presto? Io, con una femmina

tanto giovane e  bella starei via almeno due anni". Non si vedeva quanto male

andassero le cose tra noi. Meglio così: non affliggevamo altri che

noi stessi.

Durante il viaggio scherzammo sulla nostra tragedia; forse ci

aveva rallegrati la decisione presa di non vederci per quindici

giorni. Arrivati sulla tangenziale, poco prima di separarci, ancora

una volta e forse per sempre, recitammo un vicendevole atto di

dolore:"Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore...".

Davanti alla porta di casa sua le ricordai il nostro patto, onesto e

chiaro. Rimasto solo, nel letto, non ero del tutto infelice.

 

Pesaro 3 settembre 2024 ore 11, 18 giovanni ghiselli

p. s.

Nemmeno oggi sono infelice.

Ora ho una nuova amica celeste che mi protegge che è mia custode.

La penso e la prego tutte le sere. Quando passo davanti a casa sua, vicina alla mia, lancio dei baci. E così sia. Va bene così.

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Ifigenia LXVII e LXVIII.

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