martedì 10 settembre 2024

Il preludio insoddisfacente. Il monte Donato: esterno notte.


 

Lunedì quindici giugno dunque, salutata Ifigenia, tornai nello

studio e iniziai questo romanzo. Riempii due facciate di un foglio

protocollo a righe, con la diligenza di un ragazzo che fa un

compito in classe.

Verso le dieci risposi al telefono.

"Hai cominciato il nostro capolavoro?", domandò conciliante.

"Sì certo. Lo sai che quando ho preso una decisione, non ci

ripenso, almeno non così presto. Ci ho lavorato tutto il

pomeriggio: da quando te ne sei andata, alle sette e mezzo. Poi ho

fatto un giro in bicicletta sul monte Donato.

Durerai eterna nelle mie pagine

“se  non ti assente-premio miglior la volontà de’ fati”

Non volevo rinunciare a farle da paradigma di serietà operosa.

"Mi fai sentire com'è venuto l'incipit della nostra storia?"

"Volentieri', risposi, lusingato dalla richiesta, come una madre cui

fanno una domanda sul figlio concepito da poco e aggiungono

un’occhiata discreta alla pancia dove la nuova creatura, sebbene

ancora invisibile, già vive, si nutre e cresce.

Gliela lessi, ma ci rimasi male: mi sembrò meno accettabile di

poche ore prima, quando l'avevo scritta. Nelle intenzioni doveva

essere un’ ouverture, come quello del Don Giovanni di Mozart, un preludio

che raduna in sintesi tutti i temi dell'opera, ma di fatto era proprio un

compitino raffazzonato sebbene pretenzioso e saccente.

"Dovrò riscriverla", pensai con rammarico. Non immaginavo

quante  volte sarei dovuto intervenire, correggere e limare; quanti

anni sarebbero trascorsi prima di arrivare alla fine. Un tempo

molto più lungo di quello richiesto dalla Smyrna di Cinna1

 Pensa

lettore che ora ho quasi ottanta anni. Però corro sempre i

cinquemila metri, i capelli non mi sono diventati tutti bianchi, e in luglio ho scalato il Taigeto in bicicletta.

1

Cfr. Catullo, Carmi, 95, 1-2:"Zmyrna mei Cinnae nonam post denique

messem/quam coepta est nonamque edita post hiemem", la Smirna del mio Cinna

dopo nove estati e nove inverni da quando è iniziata, finalmente è venuta alla

luce.


 

 

 

Ifigenia  disse:"gianni, così io non divento immortale".

"Cos'è che non va?", domandai.

"Troppe citazioni, troppe e male assimilate. Devi trovare una stile

epico tuo come ne hai elaborato uno drammatico personale, pur mentre

seguivi da vicino la tragedia greca, e Sofocle in particolare. Vedrai

che i dialoghi ti riusciranno bene subito. Ma la narrazione ancora

non va: è confusa e frettolosa. Ricorda che l'epos è ritardante."

"Brava-pensai-. E' vero, sono tutte cose che ti ho insegnato io, ma

quale altro allievo le ha imparate al pari di te? Se non ti rovinano

gli istrioni o i borghesi ignoranti, tu diventi una donna di raro valore".

Capii che avevo ancora bisogno di lei, che poteva aiutarmi a darle

l'immortalità. Come ispiratrice e consigliera d'arte era di grande

valore quella ragazza. Non so se l'abbia capito prima di morire, ma

lei mi ha insegnato e dato più di quanto abbia imparato e preso da

me.

"Parliamone guardandoci in faccia, se ti va. Al telefono mi sento

poco espressivo", dissi.

"Va bene, però non facciamo tardi perché domani mattina dovrò imparare a memoria

 parecchi versi dell'Antigone. ".

"D'accordo. Io dovrò scrivere di nuovo questo foglio, e riempirne

un altro cercando lo stile epico secondo i tuoi suggerimenti. Tu

prima mi hai criticato in modo ottimo, prezioso per il nostro

capolavoro. Anzi, ti faccio una proposta che spero non troverai

oscena né sconveniente. Pensaci, mentre vengo a prenderti. Tu mi

aiuti nella prima parte del romanzo che ci renderà immortali. Dovrai darmi suggerimenti  per

un centinaio di pagine, finché non avrò trovato il ritmo fluido

dell'epos, e  io ti darò una mano ad assimilare l'Antigone. La traduzione

precisa e potente, anche recitabile, come piace a te, l'ho già tutta

pronta".

"La tua proposta mi piace e mi conviene. Non devo pensarci.

Vieni subito: ti aspetto".

Faceva caldo. Salimmo sul monte Donato con la

bianca

Volkswagen scoperta. Ci sedemmo su una panchina di legno del

parco  Forte bandiera

deserto. Parlammo del romanzo nostro e

dell'Antigone di Sofocle.

 Ci mettemmo d'accordo


 

 


sul modo di aiutarci a vicenda. Ifigenia precisò che dopo avere

preso il diploma voleva essere libera di darsi  al teatro e al cinema.

"Mi va bene-risposi-. Non ti ho chiesto di tornare con me; io

intanto devo dedicarmi all'opera della mia vita, poi, quando vorrò

una donna, cercherò un amore morale poiché oramai me ne sento

desideroso e capace. Con te l'altra sera a Riccione ho visto che non

mi è concesso nemmeno sperarlo".

"Hai ragione – confermò –, io adesso non voglio l'amore: non ne

ho la disponibilità mentale; l'unica cosa che mi interessa davvero è

fare l'attrice. Questo è lo scopo; il resto è un mezzo più o meno

utile e interessante, ma sempre soltanto uno strumento. Tuttavia,

se con tali limiti può piacermi un uomo, quello sei tu. Adesso anzi

mi è venuta una voglia tremenda di fare l'amore; a te va?"

Ce l'avevo anche io quella voglia ispirata da Eros invincibile o da sua madre . Forse il nuovo progetto di

lavoro comune aveva risvegliato la fiamma amorosa.

Oppure era stato il chiarimento del quale avevamo bisogno

entrambi. Del resto Ifigenia aveva ancora i calzoni corti che le

lasciavano scoperta buona parte delle  cosce più luminose del cielo e molto più seduttive.

 

 Fatto

sta che la desideravo con forza. Però non potevo accettare la sua

proposta subito, poiché dovevo salvare la mia dignità di uomo

abbandonato e ripreso probabilmente solo per il capriccio di una

sera sciroccosa. Era bene resisterle almeno un pochino. Pensai che

i ruoli dei due sessi nel corteggiamento si erano invertiti rispetto

agli anni Sessanta quando avevo cominciato la carriera amorosa.

Desdemona intanto mi accarezzava il volto renitente e cercava di

baciarmi la bocca che, pur senza arretrare, restava chiusa.

"Ma Gianni, tesoro, io ti amo!", aggiungeva.

Dopo qualche secondo di quella resistenza mal pertinace2

  con cui

volevo salvare la faccia, accettai le sue iniziative; poi anzi le presi

io stesso: le accarezzai il florido seno, le cosce sode, fin le natiche

opime, e tutta la bella carne che oggi è sparita da questa terra con

mio eterno rimpianto. Già fin da allora del resto era destinata alla putrefazione.

Ci stringemmo con forza, poi ci staccammo.

 

 Nota

2Cfr. Orazio, Odi , I, 9, 23-24:"pignusque dereptum lacertis/aut digito male

pertinaci", e il pegno strappato alle braccia o al dito che debolmente resiste.


 

 

Dissi:"Ifigenia io ti amo ancora, però non ti voglio più bene3

 

Il mio non è un amore morale. E' un'inclinazione estetica e un

desiderio carnale".

Avrei continuato a ripetere il concetto con espressioni prese a

prestito, poiché non riuscivo ad afferrarlo bene con la mente, né a

renderlo intero con poche parole mie; nel pomeriggio infatti avevo

scritto una pagina di tale stile: imitativo e bolso; il correre zoppo

di chi non sa camminare 4,

 e volevo esercitarmi ancora, parlando;

ma la ragazza me lo impedì

interrompendomi con giusta

impazienza.

"Ho capito – disse –; l'ho anche già sentito, almeno da Catullo, ma

 nella tua testa infarcita  ci saranno altri autori. Sei troppo

libresco, non solo quando scrivi ma anche quando stai per fare

l'amore. Pensaci più tardi. Adesso andiamo a casa: nel nostro

grande letto. L'amore vince tutto5”.

 

Meravigliosa istriona! Posava e citava anche lei. Quando mai

siamo stati naturali noi due?

Mentre ci stavamo muovendo per andare a scambiarci piacere,

Ifigenia aggiunse, non senza tristezza:

"Gianni, però io non vorrei che questo nostro essere amanti-amici

comportasse un calo della tua stima per me".

"Non lo so, non ne sono sicuro, non credo", risposi mentendo solo

a metà, poiché se da una parte il mio apprezzamento di lei dopo la

notte di Riccione era calato, dall'altra mi accingevo a chiudermi in

casa per migliaia di giorni con l'intento di rendere eterna la sua

giovinezza che già cominciava a sfiorire.

Dopo tale pensiero potei baciarla e dirle:"Io comunque ti amo, ti

adoro, ti venero".

Prima di entrare nell'auto guardai la scena notturna.

 

Note

3

Cfr. Catullo, Carmi, 72, 7-8:"Qui potis est?-inquis-. Quod amantem iniuria

talis/cogit amare magis, sed bene velle minus", come è possibile? chiedi. Poiché

un'offesa del genere costringe l'amante ad amare di più, ma a voler bene di meno.

 

4

Cfr. Svevo, Una vita:"Non aveva egli in mano la prova palmare di quella vanità,

in quel romanzo, un dettato della vanità in persona, dal concetto generale tronfio

e vacuo alla singola frase enfatica, il volo di chi non sa camminare?". Pag.149,

Dall'Oglio, Milano, 1938.

 

5

Cfr. Virgilio, X Bucolica, 69:"omnia vincit Amor, et nos cedamus amori",

Amore vince tutto, anche noi arrendiamoci all'amore.


 

 

 

L'ultimo esterno notte di questo romanzo.

Il cielo non era sereno. Le foglie erano mosse da un vento caldo e

appiccicoso che spostavano pure una nuvolaglia dai bagliori

giallognoli. Una torre metallica, forse un'antenna televisiva, stava

dritta davanti a noi, visibile per delle lucine rosse appoggiate sul

traliccio di ferro che si poteva solo immaginare. Sembravano

piccoli fuochi ardenti come la nostra passione riaccesa dalle

cattive emozioni nell'oscurità morale, dove non esisteva o non era

percepibile una solida struttura etica e razionale.

Pesaro 10 settembre 2024 ore 11, 37 giovanni ghiselli

p. s.

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