Percorsi la Rákóczi út fino alla
Keleti Pályaudvar, la stazione da dove le finniche mie erano partite per
tornare nei loro paesi poco caldi e dalla
frequenza umana assai rarefatta. Le donne di quella terra però erano più evolute delle nostrane all’inizio
di quel decennio che al punto dove siamo arrivati stava volgendo alla fine.
Anche per questo le avevo amate e mi avevano contraccambiato. Poi erano
sparite. Ifigenia dopo tutto non si era
dileguata. Meno fine delle magnifiche tre ma non meno formosa. Non
rimpiangevo le finlandesi: sapevo già allora che rimpiangere non favorisce il progredire. Se
Ifigenia non funzionava, dovevo guardare oltre, non indietro.
I binari della stazione
orientale di Budapest sono coperti da una gabbia metallica enorme, come quelli
della stazione di Milano dove arrivai una volta con una delle mie donne
italiane con la quale litigavo spesso e senza ragione. Probabilmente lo
facevamo per eccitarci, visto che tra noi non avevamo interessi comuni né c’erano
sentimenti buoni . In seguito avrei constatato che farsi del male a
vicenda è il principale collante di molte coppie sciagurate.
Dal secondo binario, második vágány, erano partite le tre
finniche accrescitive della mia vita. Erano salite su treni celesti. Ora sono
signore tutte sopra i settanta. Forse sono addirittura amiche celesti, come Fulvio
e altri cari defunti. Come tanti miei consaguinei e pure gli auctores accrescitivi della mia vita.
Sono tutti comunque dentro di me i defuncti,
quelli che hanno compiuto la loro vita e hanno aiutato me a riempire di cose
buone la mia.
Helena, Kaisa e Päivi mi
salutavano con tanto di lacrime. Anche io ero commosso ma non piangevo mai in
pubblico perché le donne di casa mi avevano detto che un bambino, un maschio,
non deve farsi vedere piangere mai. Poi me lo aveva confermato Tacito una dei
miei autori preferiti: “Feminis lugere honestum est, viris meminisse "[1].
In
compenso piangevo spesso da solo, magari davanti a uno specchio come avevo
visto fare dal principe del film di
Visconti, uno dei miei modelli.
Congedandoci dicevamo: “spero
di incontrarti ancora da qualche parte. Ti amerò sempre”. Era una scena, quanto
quella dell’esodo che chiude i drammi, siccome sapevamo bene, io e ciascuna di
loro, che il tempo molto bello del nostro amore, un mese fatale passato con
gioia in quella lontana università incantata in mezzo a una foresta magica, era
finito e non sarebbe tornato mai più. Ne avevamo coscienza fin dal prologo o
addirittura dall’antefatto della nostra commedia, un dramma non volgare né
falso bensì recitato e pure vissuto con bello stile dal primo all’ultimo
giorno.
Spero di averlo reso
scrivendo. Credo di sì.
L’ho raccontato in un libro: Tre amori a Debrecen. Non dovete
comprarlo: potete trovarlo in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna.
Bologna 3 giugno
2025 ore 16, 56 giovanni ghiselli
p. s
A proposito della biblioteca
Ginzburg vi ricordo che lunedì 9 giugno dalle 17 alle 18,30 terrò una
conferenza sull’Odissea di Omero. Potete
venire o seguirla da lontano
Questo è il link
https://meet.google.com/wwe-depo-vzp?authuser=0&hs=122&ijlm=1747908475519
E’ tutto gratuito ma è
gradita la prenotazione- 051-466307 per
il conteggio dei posti.
[1] Germania
27, 1. Alle donne sta bene piangere, agli uomini ricordare.
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento