mercoledì 15 febbraio 2023

Esordio del corso su Nietzsche e i Greci


Martedì 28 febbraio inizierà il mio corso su Nietzsche all’Università Primo Levi di Bologna. Terrò 8 lezioni di due ore ciascuna (18-20) ogni martedì fino al 18 aprile. Ho preparato tre percorsi: uno antologico tratto da tutta l’opera di Nietzsche  con particolare attenzione al suo rapporto con gli autori greci e latini, senza ignorare altri europei; un secondo percorso su La nascita della tragedia (1872)  prezioso viatico per la comprensione delle tragedie di Eschilo, Sofocle, Euripide, un’opera geniale anche se non mancano alcune affermazioni giovanili che verranno corrette dal Nietzsche maturo dei decenni successivi; e il terzo percorso su La filosofia nell’età tragica dei Greci (1873) che ci aiuta a conoscere i Presocratici attraverso i frammenti commentati e citati.

 Inizierò dall’antologia che dà una visione d’insieme di questo autore non sempre coerente né del tutto attendibile ma comunque geniale.

Friedrich Nietzsche 15 ottobre 1844-25 agosto 1900

Nietzsche 1-

La storia

La storia può e deve essere studiata con spirito critico. Sentiamo   Nietzsche: “Sono questi i servigi che la storia può rendere alla vita; ogni uomo e ogni popolo ha bisogno, secondo le sue mete, forze e necessità, di una certa conoscenza del passato, ora come storia monumentale, ora come storia antiquaria e ora come storia critica[1].

 

La seconda delle Considerazioni inattuali, intitolata Sull’utilità e il danno della storia per la vita…è, in fondo, un’unica, grande variazione delle parole di Amleto su “l’innato colore della risolutezza ammorbato dal pallore del pensiero”[2] (Amleto, III, 1). 

 

La Storia monumentale

“La storia occorre innanzitutto all’attivo e al potente, a colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non può trovarli fra i suoi compagni e nel presente (…) Che i grandi momenti nella lotta degli individui formino una catena, che attraverso essi si formi lungo i millenni la cresta montuosa dell’umanità, che per me le vette di tali momenti da lungo tempo trascorsi siano ancora vive, chiare e grandi- è questo il pensiero fondamentale di una fede nell’umanità che si esprime nell’esigenza di una storia monumentale[3].

"Nella mancanza di dominio su se stessi, in ciò che i Romani chiamano impotentia , si rivela la debolezza della personalità moderna"[4].

L’impotentia può derivare anche da una saturazione della storia, dalla credenza “sempre dannosa nella vecchiaia dell’umanità”[5], in quella di  essere frutti tardivi ed epigoni che può farci cadere nell’ironia e nel cinismo.

 

Ironia è mancanza di nobiltà”[6].

Il principe Myskin dell’Idiota nemmeno sapeva cosa fosse l’ironia.

Il motto di spirito è l’epigramma sulla morte di un sentimento[7].

 

 

L’uomo moderno soffre di una personalità indebolita. Ha perso la sua identità “come il romano dell’epoca imperiale abbandonò la sua romanità rispetto al mondo che era a lui soggetto, come egli perdette se stesso sotto l’irrompere delle cose straniere e degenerò in mezzo al cosmopolitico carnevale di dèi, costumi ed arti, così deve accadere all’uomo moderno, che si fa preparare di continuo dai suoi artisti della storia la festa di un’esposizione universale”[8].

 

 

Un ajntifavrmako" , un ottimo contravveleno di questa impotenza, può essere Plutarco:"Se invece rivivrete in voi la storia dei grandi uomini, imparerete da essa il supremo comandamento di diventare maturi e di sfuggire al fascino paralizzante dell'educazione del tempo, che vede la sua utilità nel non lasciarvi maturare  per dominare e sfruttare voi, gli immaturi. E se desiderate biografie, allora che non siano quelle col ritornello "Il signor Taldeitali e il suo tempo". Saziate le vostre anime con Plutarco ed osate credere in voi stessi, credendo ai suoi eroi. Con un centinaio di uomini educati in tal modo non moderno, ossia divenuti maturi e abituati all'eroico, si può oggi ridurre all'eterno silenzio tutta la chiassosa pseudocultura di questo tempo"[9]. 

Cfr. l’eroe che non cede mai Achille nell’Iliade o l’eroina Antigone, una ragazza ostinata, di durezza amazzonica: il suo carattere sembra corrispondere all'affermazione di Oreste (Elettra  sofoclea, vv. 1243-1244) che c'é un Ares anche nelle donne:"kajn gunaix;ivn... [Arh"-  e[nestin".

 L'eroe non fa niente che non stimi degno della sua natura:  Achille , cedere nescius [10],  non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo fatato Xanto,  e gli risponde:"ouj lhvxw"[11], non cederò.

 

“Cultura è l’aristocrazia della vita”[12].

Al diavolo le masse” egli dice “e la statistica” (…) non considera più affatto le masse, ma solo i grandi (…) che sopra il brulicar della storia conducono il loro alto colloquio di spiriti (…) Questo è il suo individualismo, un culto estetico del genio e dell’eroe, culto che egli ha derivato da Schopenhauer, insieme con il fermo convincimento che la felicità è impossibile e che l’unica cosa possibile e degna dell’uomo è una vita eroica; essa unita con l’adulazione della vita bella e forte, crea l’estetismo eroico che egli pone sotto il segno protettore di Dioniso, il dio della tragedia”[13].

Plutarco propone modelli da imitare per le virtù ( p. e.Solone) e contromodelli (p.e. Antonio) carichi di vizi. Alcuni personaggi del resto sono figure composite. Pensiamo ai ritratti paradossali di Catilina, Alcibiade o il principe Henry dell’Enrico IV di Shakespeare.

La catarsi  della storiografia avviene non solo assimilando il valore, ma anche respingendo i vizi.

 Plutarco  ha avuto diversi estimatori, fino al fanatismo (Vittorio Alfieri, p. e, o Jacopo Ortis di Foscolo).

  Nietzsche dà grande rilievo alla funzione di educatore dello storico di Cheronea.

 

Volutamente paradigmatiche sono  le biografie  di Plutarco[14] il quale nella Prefazione alla Vita di Emilio Paolo e Timoleonte suggerisce di utilizzare le  Vite parallele quali modelli positivi o negativi: infatti si dà catarsi non solo assimilando il valore, ma anche respingendo i vizi; questo è accaduto allo stesso autore delle Vite parallele il quale si è posto di fronte alla storia come davanti a uno specchio (w{sper ejn ejsovptrw//, 1), cercando di adornare e assimilare in qualche modo la vita (propria) alle virtù di quelli (kosmei'n kai ajfomoiou'n pro;~ ta;~ ejkeivnwn ajreta;~ to;n bivon, 2) il cui esempio aiuta a respingere quella dose eventuale di pochezza (" ei[ ti fau'lon", ) o malvagità ("h]  kakovhqe"") o volgarità (" h]  ajgennev"",  ), che le compagnie di coloro con i quali si deve  vivere cercano di insinuare ("aiJ tw'n sunovntwn ejx ajnavgkh" oJmilivai prosbavllousin", 5).

 

 

In un'altra prefazione, quella a Demetrio-Antonio,  Plutarco afferma che forse non è male inserire tra gli esempi le vite  di uomini che hanno fatto uso del loro ingegno in modo troppo sconsiderato, e sono divenuti celebri nel potere e nelle grandi imprese per i loro vizi ("eij" kakivan").

 

Seneca,  "egregius vitiorum insectator "[15], ottimo persecutore dei vizi, invece sconsiglia di proporre contromodelli: nella Praefatio al III libro delle Naturales quaestiones afferma che è molto meglio spengere i propri vizi piuttosto che raccontare ai posteri quelli degli altri: "quanto satius est sua mala extinguere quam aliena posteris tradere! " (5), quanto meglio è spengere i propri vizi che tramandare ai posteri quelli degli altri! Seguono gli esempi di Filippo e di Alessandro e di tutti gli altri che furono pestes mortalium non meno rovinose di inondazioni e incendi.

Nietzsche pone il maestro di Nerone tra “I miei impossibili-Seneca: ovvero il toreador della virtù" con “Dante: ovvero la iena che fa poesia nelle tombe e Zola: ovvero “il piacere di puzzare” [16].

Del resto la stilizzazione eroica, lo stile dell’eroe, e pure quello dell’impotente farabutto, si può imparare anche dalla poesia che precede la storia: Giambattista Vico ( 1668-1744)  afferma  che "la storia romana si cominciò a scrivere da' poeti", e inoltre, utilizzando un passo di Strabone (I, 2, 6) sulla continuità tra l'epica ed Ecateo, :"prima d'Erodoto, anzi prima d'Ecateo milesio, tutta la storia de' popoli della Grecia essere stata scritta da' lor poeti"[17].

Posso fare l’esempio di Omero per i Greci, Omero utilizzato da Tucidide nella sua “archeologia”, poi di Nevio ed Ennio per i Latini che raccontarono le guerre puniche in versi pima di Tito Livio in prosa.

 

Anche Machiavelli propone modelli da imitare: “debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi e quelli che sono stati eccellentissimi imitare” (Il Principe, VI).

 Pure Guicciardini ricava insegnamenti dalla storia e dagli storiografi: “Insegna molto bene Cornelio Tacito a chi vive sotto a’ tiranni el modo di vivere e governarsi prudentemente, così come insegna a’ tiranni e modi di fondare la tirannide”[18].

Tuttavia in un altro dei Ricordi (110) scrive contraddicendosi: “Quanto si ingannano coloro che a ogni parola allegano e Romani! Bisognerebbe avere una città condizionata come era la loro, e poi governarsi secondo quello essemplo: el quale a chi ha le qualità disproporzionate è tanto disproporzionato, quanto sarebbe volere che uno asino facessi il corso di uno cavallo”.

Ci vuole la discrezione suggerita di recente anche dal Papa.

 

Nietzsche suggerisce  altri storiografi esemplari, oltre Plutarco. In particolare ammira Tucidide, Tacito e Machiavelli per il loro stile e per il realismo il quale fa apparire"più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa"[19] .

Questa scelta  ha un correlativo stilistico.

 Riferisco una serie di osservazioni che trovo azzeccatissime.

 In Umano, troppo umano II [20] si legge:"Lo stile dell'immortalità . Tanto Tucidide quanto Tacito-entrambi hanno pensato, nel redigere le loro opere, a una durata immortale di esse: ciò si potrebbe indovinarlo, se non lo si sapesse altrimenti, già dal loro stile. L'uno credette di dare durevolezza ai suoi pensieri salandoli, l'altro condensandoli a forza di cuocerli; e nessuno dei due, sembra, ha fatto male i suoi conti.

" Un giudizio non lontano da quello di Quintiliano (35-96)  :"densus et brevis et semper instans sibi Thucydides "[21], denso, conciso e sempre presente a se stesso Tucidide

F. de Sanctis trova nel Machiavelli “la negazione più profonda del Medio Evo (…) il lato positivo del materialismo italiano: un andar più dappresso al reale e all’esperienza”[22].

A proposito di brevis: “Il sale del discorso. Nessuno ha ancora spiegato perché gli scrittori greci abbiano fatto dei mezzi di espressione, di cui disponevano in quantità e forza sbalorditive, un uso così straordinariamente parco, che al paragone ogni libro posteriore ai Greci appare sgargiante, variopinto e sforzato”[23]

“Lo stile sovraccarico in arte è la conseguenza di un impoverimento della forza di sintesi” (Op. cit. 117)

“Effetto della quantità.  Il più gran paradosso della storia della poesia è che uno possa essere (…) un barbaro, cioè difettoso e deforme dalla testa ai piedi, e rimanere tuttavia il più grande poeta.  Così è per Shakespeare, che, paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro lavorato nel modo più nobile, tale da far dimenticare il suo valore come metallo. Ma la quantità, nei suoi massimi potenziamenti, agisce anche come qualità: ciò torna a vantaggio di Shakespeare  ” (Op. cit., 162

Dostoveskij  sui chiacchieroni e Nietzsche sui pipistrelli dall’apparenza umana.

Nel romanzo I demoni di Dostoevskij, Pjotr Stepanovič dice a Nikolaj Stavrogin: “Io parlo sempre molto, dico cioè molte parole  e m’affretto e non mi riesce mai. Perché non mi riesce? Perché non so parlare. Quelli che sanno parlare bene, parlano brevemente. Ecco, dunque, che son privo d’ingegno, non è vero?”[24].

Avversione alla luce. L’odio della verità è “ l’avversione alla  luce troppo chiara, a cui le loro crepuscolari e facilmente abbacinabili anime di pipistrelli non sono avvezze”[25].

Credo che diversi presentatatori televisivi e scarabocchiatori cartacei debbano riconoscersi in queste categorie.

Bologna 15 febbraio 2023 ore 9, 26

 

 

 

 



[1] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita (1874), in Considerazioni inattuali II,  capitolo 4

[2] La filosofia di Nietzsche alla luce della nostra esperienza, conferenza dell’aprile 1947. In T. Mann, Nobiltà dello spirito e altri saggi, p. 1312.

[3] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita (del 1874), in Considerazioni inattuali, II, capitolo 2..

[4] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, II,  capitolo 5.

[5] Nietzsche, Opera e capitolo citati sopra.

  Momigliano menziona anche una concezione organica della storia che non si deve confondere con quella ciclica: “L’idea di Floro, e senza dubbio di altri storici prima e dopo di lui, era che la storia di uno Stato possa essere divisa, come la vita di un individuo, in periodi d’infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia, conclusi dalla morte. Questa concezione è importante in quanto implica un certo fatalismo. Essa può portare a ogni sorta d’interpretazioni biologiche degli eventi umani e può essere connessa, ma non necessariamente, alla teoria degli eterni ritorni” (La storiografia greca, p. 81).

A Giulio Floro, che potrebbe essere il Floro amico e corrispondente poetico dell’imperatore Adriano, si attribuisce l’opera intitolata Epitoma de Tito Livio, un compendio di storia romana dalla fondazione di Roma all’età di Augusto. Lo schema biologico è di derivazione stoica e si trova anche in Seneca il Vecchio. La monarchia sarebbe stata l’età dell’infanzia, la prima età repubblicana quella dell’adolescenza, e la maturità corrisponderebbe alla pax di Augusto.

A me la nostra pare quella della decrepitezza.

 

 

[6] Frammenti postumi ottobre 1876 (25).

[7] Umano, troppo umano II (1878), Parte prima. opinioni e sentenze diverse, 202.

[8] Utilità e danno della storia, capitolo 5.

[9] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia per la vita, in Considerazioni inattuali, II, capitolo 6.

[10]Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:" gravem /Pelidae stomachum cedere nescii ", la funesta  ira di Achille incapace di cedere. 

[11] Iliade , XIX, v. 423.

[12] T. Mann, La filosofia di Nietzsche in Nobiltà dello spirito, p.  813.

[13] T. Mann, La filosofia di Nietzsche in Nobiltà dello spirito, p. 819

[14] 50 d. C. ca-120 d. C. ca.

[15] Quintiliano, Institutio oratoria , X, 1, 129.

[16]Nietzsche, Crepuscolo degli idoli  (1888), Scorribande di un inattuale, 1.

[17]La Scienza Nuova , Pruove filologiche, III e VIII.

[18] Ricordi, 18. La redazione definitiva dei Ricordi è del 1530.

[19]Machiavelli Il Principe , XV.

[20] Parte seconda,  Il viandante e la sua ombra, 144. Esce nel maggio del 1878 con dedica a Voltaire.

[21]Institutio oratoria , X, 73.

[22] Storia della letteratura italiana, 1, p. 421

[23] F. Nietzsche, Umano, troppo umano, II, Opinioni e sentenze diverse, 112. Anno 1878.

[24] Dostoevkij, I Demoni, parte seconda, capitolo III. La prima edizione è del 1873.

[25] Nietzsche Umano, troppo umano II (1878), Parte prima Opinioni e sentenze diverse 7.

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