venerdì 10 febbraio 2023

Ifigenia XXVI. L’amore d’inverno


 

Mercoledì ventinove novembre, fin dalle prime ore del pomeriggio, su Bologna, dove lunghi sono gli inverni, cadde a fiocchi grandi la neve, che in poco tempo rese canuta la terra.

Ifigenia fece suonare il campanello verso le cinque, quando era già buio; corsi ad aprire il portone,  perché ero impaziente di fare l’amore; ma, come la vidi, mi fermai stupito, senza toccarla, senza invitarla a entrare, senza dire parola: non avevo mai visto una tale unione di inverno, colore e calore di vita: i capelli bruni bruni, bagnati, a tratti innevati, le scorrevano giù per le spalle come un ruscello montano cupo di gelide ombre , e aspro di pietre biancastre, facendola rabbrividire, ma gli occhi violacei, lucenti mi versavano addosso una morbida luce che fluiva calda dal cuore. La osservavo in silenzio, mentre i fiocchi larghi continuavano a caderle addosso, evidenziandosi sulle ciocche scure, come sulle chiome perenni degli abeti montani, e trasformando la luminosa ragazza  in una creatura dei boschi: un dolce cerbiatto dalla pelle screziata, oppure una bella baccante che dopo la dolce fatica della corsa sui monti si riassetta la nebride multicolore onorando il dio suo, Bacco, signore della gioia di vivere, della festa lieta, delle grazie tutte, del desiderio. Mentre nella fredda oscurità della notte precoce contemplavo la vivida fiamma della mia giovane amante, mi riempivo e scaldavo di gioia. Dopo qualche momento di stupito silenzio, la ragazza disse: “mi fai entrare? Sento un poco di freddo”.

Mi scostai dalla porta: Ifigenia entrò senza indugiare e, poiché l’ascensore non funzionava, cominciò a salire i cinque piani di scale spedita, facendo ondeggiare la testa, e le anche, sulle gambe robuste molleggiate dalle caviglie sottili, mentre i piccoli piedi, nello sforzo di ascendere i molti gradini di corsa, si appoggiavano e sollevavano con leggerenza, potenza e agilità. Le correvo dietro ammirato e felice. Quando fummo davanti alla porta dell’appartamento, la aprìi con la destra un poco tremante, poi con la sinistra le feci segno di entrare. Ero pieno di desiderio amoroso. Lo sentiva concordemente anche lei, poiché procedette fino alla sponda del mio grande letto dove si svestì con rapide mosse. Mentre, con i vestiti sul pavimento, cadeva la neve, la splendidissima amante mi chiese di spogliarmi subito e di abbracciarla senza i preamboli solitamente graditi: il marito, quel tanghero assai sospettoso, non poteva crederla a spasso nel caos bianconero della notte nevosa, né, tanto meno, doveva immaginarsi che passasse il tempo nell’alcova di un uomo: perciò era necessario che rientrasse non oltre mezz’ora dopo la lezione di yoga, che finiva alle sei e distava un chilometro circa da casa sua. Ci eravamo spogliati. L’abbracciai senza dire parola: il seno si era già intiepidito, anzi conservava gli odori della terra benedetta dal cielo estivo: pensai che non era il tepore domestico a renderla così calda e vivace appena si era sottratta all’iniqua, mortificante stagione, ma il suo giovane sangue fervido sotto la pelle ancora abbronzata e profumata dal sole che durante la nuda estate l’ aveva baciata con lucida forza amorosa, lasciandole addosso indelebili segni di bellezza, di salute e di gioia. La baciai anche io per succhiare una parte di quel calore celeste; quindi la distesi sul letto inclinando il mio corpo avido, scuro e magro su quello armonioso di lei: ne trassi piacere e voglia di vivere, eppure pensai a quando le sue magnifiche membra, coperte dall’ultima veste, la nera terra, l’avrebbero fatta fiorire di sanguigni papaveri, o di rose rosse, odorose della sua carne.

Bologna 10 febbraio 2023 ore 18, 25

giovanni ghiselli

 

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