lunedì 13 febbraio 2023

Triplo concerto per Ludwig, Bettina e Wolfgang. Di Giuseppe Moscatt

Triplo concerto per Ludwig, Bettina e Wolfgang

Giuseppe Moscatt


I tre protagonisti del pezzo sinfonico in esame - il triplo concerto per pianoforte, violino, violoncello, op. 56 di Beethoven - non è particolarmente noto, visto che ben altre opere - la sinfonia Eroica, la sonata a Kreutzer, il concerto per pianoforte l'Appassionata e l'unica opera lirica, Il Fidelio - hanno avuto riscontri critici e di pubblico sempre favorevoli e che costituiscono l'apogeo dell'Autore. Noi, però, lo prendiamo a spunto per un singolare episodio che si ebbe con altri due protagonisti; un rapporto a tre lungo più di mezzo secolo nella cultura tedesca romantica. Chi sono gli altri due? Se al pianoforte possiamo pensare Ludwig; al violoncello, in posizione di raccordo, una donna, Bettina von Arnim, nata Brentano, che interverrà nella vita degli altri due in modo decisivo e addirittura condizionerà la fortuna del violino. E questi altro non è che Wolfgang Goethe, divenuto un monumento per la Germania moderna e contemporanea. Ma andiamo con ordine. 


Il periodo fra il 1806 e il 1812 è per la Germania alquanto centrale per la sua storia, perché preparatorio all'unità politica e territoriale, mentre a livello politico, l'assedio della Francia napoleonica alla moltitudine degli staterelli tedeschi sulla riva destra del Reno culminò il 12 luglio del 1806 nella costituzione della Confederazione del Reno, ponendo sotto la protezione francese la Baviera, il Baden, il Württemberg e la Sassonia, seguito nell'agosto successivo con la vittoria di Napoleone a Jena sulla Prussia e l'occupazione di Berlino. A livello personale, si vedeva un Goethe alquanto attivo, malgrado il fortissimo dolore per la morte dell'amico e alleato Schiller (1805) e la perdita della madre Catherina cui era stato sempre legato (1808). Ma erano gli anni d'oro dei suoi romanzi: Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister (1808) e del nuovo capolavoro, Le affinità elettive (1807), opera che influenzò Bettina Brentano come vedremo fra breve. Nondimeno, nel 1810 concludeva gli studi teorici sui colori e la prima parte dell'autobiografia Poesia e verità.

Certamente, la vittoria napoleonica di Jena e l'occupazione di Weimar, lo aveva sorpreso favorevolmente per l'ascesa di Napoleone e poco si era interessato delle proteste che si erano levate nei circoli romantici e nella relativa resistenza armata di tanti intellettuali con Fichte in testa. Piuttosto, il matrimonio con Christiane Vulpius, con la quale conviveva da tempo fin dal 1806; e l'incontro suggestivo con Napoleone a Erfurt (2 ottobre 1808); lo sollevarono spiritualmente, anche se i contrasti con i fratelli Schlegel erano giunti a un livello di non ritorno, principalmente per le vicende politiche legate al loro nazionalismo militante. E veniamo a Bettina Brentano.

Non è ancora sposata allo scrittore romantico Achim von Arnim, ma appartiene a una famiglia medio-borghese, i Brentano. Figlia di seconde nozze del commerciante di origine bergamesco e soprattutto nipote di una vecchia fiamma del giovane Goethe, Sofia La Roche. Una alsaziana di origine francese, amica della famiglia Goethe (erano gli anni '60 del 700 ed erano tutti residenti a Francoforte sul Meno). La nonna alla piccola nipotina narrava le fiabe di Perrault con molte varianti tedesche. Il fratello Clemente poi si specializzò nelle ricerche sui canti popolari, stimolato dal filosofo Herder che ne aveva pubblicato, con l'aiuto del giovane von Arnim, una raccolta Das Knabe Wunderhorn, il corno magico del fanciullo (1806-1808). E neppure l'amica del cuore - Karoline von Günderrode, poetessa incompresa, anche per il suo amore respinto dall'archeologo Creuzer e perciò suicida - le era stata non meno influente della formazione prettamente romantica, solleticata com'era nella virtù che sempre più la possiederà, la fantasia più sfrenata, sfociata in una quasi psicosi compulsiva che assillerà Goethe, Beethoven e perfino Federico Guglielmo IV di Prussia. Ma alla famiglia apparterrà anche il grande giurista, fondatore della scuola storica del diritto naturale, Friedrich Carl Savigny, che sposò la sorella Günde. Amica anche del commediografo Tieck - quello della fiaba Il gatto con gli stivali - Bettina nel 1806 assiste al suicidio della Günderrode, vive col fratello Clemens a Winkiel sul Reno, assistendolo dopo la morte della cognata Sofia. Qui ascolta gli ultimi racconti della nonna e nel 1810 si fidanza ufficialmente con von Arnim, di carattere opposto però, tanto rigido e poco socievole, per non dire misogino, come emerge dal suo atto di accusa contro la società del suo tempo, un programma culturale inascoltato della cerchia liberale prussiana, il Wunderhorn, cioè Il corno magico, nazionalista nello spirito, ma di tenore pacifista (1806). Nel 1811 lo sposa improvvisamente e va a vivere con lui a Berlino, in quella Prussia molto lontana dallo spirito avventuroso ed esotico della sua terra di formazione.

Qualche anno prima che la nonna morisse, appena quindicenne, aveva conosciuto un uomo imponente di corpo e di anima a Tieplitz, Wolfgang Goethe. A questi aveva fatto simpatia, ché anzi le aveva dedicato un po' di versi, chiamandola Mignon come una delle protagoniste dei suoi romanzi. Da quel primo incontro, Bettina fu fulminata da un amore impetuoso quanto ideale e cominciò l'assedio per averlo nel cuore, Lui che da poco tempo si era soffermato sulla Vulpius, per di più madre del suo unico figlio Augusto. Non appena sposatasi con von Arnim (1811) e messa casa a Berlino, Bettina, non si sa se per attrazione psicotica, o per puro calcolo di carriera, si precipitò a casa di Goethe e comincerà a provocarlo, non solo intellettualmente, subissandolo però prima di lettere, offrendosi in modo palese, sfoderando un linguaggio all'epoca sfrontato, che lasciava il maturo gentiluomo preoccupato ma non indifferente, perché sorpreso per tale irrefrenabile attenzione.

La rottura a casa Goethe fra Bettina e la Vulpius è nota, come lo è l'ineluttabile e cortese allontanamento della coppia di sposini, con il seguito di commenti critici che Goethe esprimerà a Riemer suo segretario, alquanto invidioso del favore concesso a Bettina, che nelle prime note biografiche dell'Olimpico non mancherà di sottolineare la malizia della ragazza molto più giovane. La buona fede del maturo Goethe - ne ha ben 66! - la cecità del marito di Bettina - un terzo incomodo, ma assente, come nelle commedie di Goldoni - ma anche la rabbia dell'ex servetta Christiane, che con unghie e denti difenderà quella famiglia e quel matrimonio faticosamente conquistato, saranno narrate dal predetto segretario con evidente astio. Mentre il buon Riemer consigliava con successo di tagliare i ponti, altrimenti altri danni - anche per se stesso... - ne sarebbero derivati. Proprio un episodio avvenuto nell'anno successivo, che coinvolgerà un pianoforte del calibro di Beethoven, romperà ogni speranza di mero duetto, riaprendo le danze dinanzi a un pubblico di maestri d'orchestra oramai consapevoli di assistere a un concertato del tutto inaspettato e foriero di effetti per il futuro.

Bettina non era ancora stata domata. Nel suo villino nella campagna vicina a Berlino, mentre il marito era in viaggio, per non chiudere definitivamente col poeta, peraltro assai blando nell'interrompere quelle lettere - spedite addirittura prima del matrimonio - già nel 1810, ordisce un tremendo piano: perché non fare incontrare i suoi due presunti amati, l'astro fulgido della letteratura e della cultura germanica, col giovane maestro di musica romantica, Ludwig van Beethoven, già autore di una poema sinfonico - Egmont (1800) - scritto da quel famoso scrittore? Il luogo fu Toeplitz, che Goethe aveva citato nel pieno del giovanile titanismo. Era una ridente stazione climatica, dove già soggiornava una fascinosa cantante lirica, Amalie Sebald, una delle tante amiche di Goethe, pronta a fare da esca per i due gentiluomini. Detto fatto, la giovane sposina Bettina scrive una serie di lettere, facendo quello che il violoncello fa nel trio di Beethoven, un raccordo sincronico di arcate fra il pianoforte e il violino, di fronte a un pubblico estasiato. E ci riesce. La birboncella! Il medico di Beethoven, constatata l'impetuoso aggravamento della sordità del maestro, si fa complice di Bettina e il 9 luglio del 1812, Wolfgang e Ludwig piombano nella ridente cittadina. Se l'obiettivo per entrambi era Amelia, Bettina ne fu l'abile regista. Ma se il primo dava spettacolo di affabilità e magnanimità di fronte ai suoi amici lì convenuti per conversare e poetare; l'altro, irascibile e misogino, dava segni di selvaticità e di ampia volontà di solitudine nei lunghi giardini delle Terme. Il poeta, è vero, come confermò nella sua autobiografia del 1830, incontrò personalmente il musicista che gli suonò al pianoforte la trascrizione dell'Egmont e riuscì a fatica a raccontargli la serata della prima. Ma Goethe, infastidito dalla sordità dell'interlocutore, rimase subito interdetto dalla presenza massiccia di romantici in quella serata, giacché non li considerava artisti. E Beethoven, scontroso e riottoso, non riusciva a capire le critiche rivolte da Goethe a quel di giovinastri che deliravano al suono di quelle musiche troppo veloci per Lui. I due si lasciarono a sera - come dirà la stessa Bettina in una lettera a un suo amico nobile prussiano due anni dopo - in modo diverso: il Vate sconcertato per non aver capito quelle note in libertà e per aver sudato sette camicie per conversare con l'altro, rimasto però ossequioso ma irremovibile.

E poi, l'indomani l'episodio finale, la scortesia di Ludwig di non essersi inginocchiato al passaggio dell'arciduca Rodolfo d'Austria con seguito imperiale. Cosa che fece invece Wolfgang prontamente, un gesto di senilismo condiscendente che Bettina impetuosamente sottolineò negativamente in un’altra lettera, quasi vendicandosi del Vate. Goethe non volle quasi mai più rivederla, né più le rispose se non in modo molto formale dopo lo scontro con la moglie. Dopo quell'incidente - che vide Beethoven togliersi appena il cappello di fronte all'Arciduca! - Goethe inorridì, si svincolò dal musicista, e anzi negli anni successivi gli fu alquanto estraneo, senza mai più plaudire alle opere del musicista, adducendo la seccante sordità; ma nascondendo l'antipatia per un artista tutto basato sulla musica strumentale e poco sensibile alla musica lirica, dove invece la parola e la poesia trionfavano, a vantaggio del Goethe, che su tale strumento artistico basava il suo pensiero.

Alla fine Bettina capì che il suo anelito alla fama e all'immortalità potevano avere l'effetto sperato soltanto alla morte del marito e alla morte dello stesso Goethe. L'ennesimo fallimento della mira di Bettina finora era stato evidente. Ma la battagliera ragazza di Francoforte aveva altre frecce nel suo arco: la domanda di immortalità, dopo un ventennio di preparazione, esploderà alla metà dell'800 e salverà la memoria di Goethe durante l'ubriacatura romantica degli anni anteriori al 1848. E così l'ansia di fama letteraria per una persona così dotata di fictio mania tuttavia trovò una lunga pausa fra il 1812 e il 1832, che dedicò finalmente alla famiglia. Nacquero ben 4 figli maschi e due femmine che non arresteranno la Virago fino al 1859, quando morì di colpo apoplettico a 74 anni, nel pieno delle sue attività di cooperazione alle attività socialiste di Marx. A farla riaccostare all'Olimpico di Weimar furono le notizie che l'epigono di Goethe, Eckermann, che gli forniva nella prima parte dell'intervista concessa al Maestro e la pubblicazione dell'ode Marienbader Elegie (1823), scritta in onore del suo ultimo amore Ulrike von Levetzow. 

iccata da tale motivazione, Bettina, ormai in rotta col marito, iniziò a scrivere una raffica di lettere d'amore per il vegliardo, che spesso non rispose, oppure in modo sempre più annoiato, tanto da diradare ogni contatto, fino a dire a Eckermann di mettere a tacere quella “piccola importuna”. Bettina si inventò invece molte risposte con formale ripresa delle vecchie poesie erotiche rivolte al povero destinatario. E quando nel 1832 Goethe morì, ardì qualche anno dopo di pubblicare quelle lettere col titolo che fece discutere e arricciare il naso a molti amici e seguaci di Goethe, primo fra tutti quel Riemer che l'accusò di plagio e di falso. Il famoso Carteggio fra Goethe e una bimba (1835), che rimbalzò nei salotti culturali come un masso sulla memoria del Vate, scatenando ogni genere di contumelia e di sorpresa e che diede acqua a Heine e agli altri romantici in piena rottura coll'antico parruccone, che aveva cinquant'anni prima levato gli scudi a favore di coloro che ora lo denigravano. I tempi erano cambiati, ma la società tedesca aveva ben poco recepito il messaggio goethiano di libertà e fratellanza, ma anche di giustizia sociale che aveva rimosso le diseguaglianze e che aveva connotato la letteratura tedesca illuminista in senso cosmopolita, dove il pensiero scientifico naturalista e democratico del Vate di Weimar si era visto brevemente prevalere rispetto all'ideologia nazionalista e romantica.

E mentre Rachel Vanhagen, ma anche Hermann Grimm e una miriade di poeti neoclassici e romantici di tutti i paesi europei visitavano il salotto di Bettina a Berlino onorando il pensiero di Goethe; Federico Guglielmo IV varava negli anni '40 dell'800 una Costituzione per la Prussia di stampo liberale, aprendo la via al '48 in Europa. Anche qui, Bettina intraprese la via dell'immortalità rompendo come un fiume in piena le pastoie politiche di non pochi liberali della cattedra, assistendo personalmente i malati di colera del 1830, i poveri operai malnutriti delle prime industria attorno a Berlino, entusiasta del messaggio sociale di Marx e Engels, anch'essi frequentatori in quegli anni del suo salotto. Senza questa opera in difesa diretta a celebrare la memoria del Maestro di Weimar, la rinascita della nazione tedesca verso l'unità culturale, lanciata da Bismarck e poi da Nietzsche in nome di Goethe e Schiller, negli ultimi decenni dell'800, sarebbe stata lettera morta. Oggi, dobbiamo in Italia a Giuliano Baioni, la rinascita della grandezza del Vate e a Luigi Magnani, l'analisi di un senso demoniaco nel rapporto fra i tre protagonisti della nostra storia. Ma merita un ricordo speciale Milan Kundera che ha reso immortale la multiforme figura di Bettina: una donna giustamente messa in rilievo alle origini dell'Europa contemporanea.

Giuseppe Moscatt

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