lunedì 6 febbraio 2023

Nietzsche 105. Ecce homo. Perché sono così saggio. 8. La solitudine, la follia e l’antipatia universale

Nietzsche 104. Ecce homo. Perché sono così saggio. 8

 

La solitudine, la follia e l’antipatia universale di certi periodi storici (Musil)

 

“Una estrema integrità con me stesso è il presupposto della mia esistenza. Io muoio se mi trovo in situazioni contaminate (…) Perciò il commercio con gli uomini è per me una non piccola prova di pazienza; la mia umanità non consiste nel partecipare ai sentimenti degli uomini, ma nella capacità di sopportare questa partecipazione…La miaumanità è una continua vittoria su me stesso. Ma ho bisogno di solitudine, voglio dire di guarigione, di tornare a me stesso (…) Tutto il mio Zarathustra è un ditirambo alla solitudine o alla purezza. E non alla pura follia, per fortuna. La nausea per l’uomo, per la “canaglia” è stato sempre il mio più grande pericolo”.

 

Un certo grado di solitudine in effetti è contiguo alla follia.

Non tutti gli uomini sono canaglia, né tutte le donne ovviamente. Per noi educatori e studiosi, la canaglia è chi non vuole imparare, non sa nemmeno ascoltare ma chiacchiera e abbaia come i cani appunto, come i cani peggiori, maleducati dalla canaglia umana a sua volta maleducata dalla volgarità dei tempi.  

La solitudine non deve essere assoluta ma perfino questa diventa una tentazione quando le relazioni tra gli uomini diventano rapporti di ostilità o indifferenza.

 

Cito alcune parole del romanzo di Musil “L’uomo senza qualità”.

A Ulrich sembrava che ci fosse un ristagno della vita, come se qualche cosa fosse andata perduta: “Qualcosa di imponderabile. Come quando si sganciano i vagoni d’un treno. O un’orchestra si mette a suonare sbagliato (…) Tutti i rapporti si erano un poco  spostati. Come se il sangue fosse mutato, o l’aria. (…) Così dunque i  tempi erano cambiati, come una giornata che comincia sfolgorante di azzurro e poi va velandosi piano piano (…) Da molto tempo un’ombra di disgusto si posava  su tutto ciò che egli faceva, o subiva, si posava, un soffio di impotenza e di solitudine, un’antipatia universale alla quale non sapeva trovare la complementare simpatia” (Parte prima . Una specie d’introduzione, pp 53, 54 e 55).

 

Lo spostamento dei rapporti umani, la loro degradazione a “un’antipatia universale” l’abbiamo visstuti noi che abbiamo vissuto il 1968 e la simpatia universale di quell’anno e dei successivi, fino al 1972 più o meno.

Bologna 6 febbraio 2023 ore 9, 42 giovanni ghiselli

Sempre1320172

 

 

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