venerdì 17 febbraio 2023

Nietzsche 8. Pensieri vari ma tutti destano interesse.


 La sprezzatura nobile e l’ affettazione plebea

L’aristocratico non teme il giudizio degli altri: “Degeneres animos timor arguit [1], la paura svela gli animi vili

L’uomo di razza aristocratica avverte se stesso come colui che determina il valore, egli non sente la necessità di essere approvato, giudica: “quello che nuoce a me è di per se stesso nocivo”; sa di essere colui che conferisce pregio alle cose, che crea i valori. Egli onora tutto ciò in cui riconosce se stesso: è la morale dell’esaltazione di se stessi”[2].

Questa non ha certamente bisogno di affettazione.

Trascrivo anche la sentenza granitica che chiude il terzo libro di La gaia scienza[3]: “Qual è il suggello della raggiunta libertà?-Non vergognarsi davanti a se stessi”.

Sentiamo un grande autore dall’animo aristocratico“Io mi reputo meno brutto degli altri e sdegno perciò di contraffarmi; anzi buono o reo ch’io mi sia, ho la generosità, o di’ pure la sfrontatezza di presentarmi nudo, e quasi come sono uscito dalle mani della Natura”[4].

 

L’ idea della studiata disinvoltura come virtù suprema dello stile si trova in Petronio: sia quello raccontato da Tacito, sia nel Satyricon.

Scrive Tacito (Annales , XVI, 18):"dicta factaque eius, quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius in speciem simplicitatis accipiebantur , le sue parole e azioni, quanto più erano libere e manifestavano una certa noncuranza di sé, con tanto maggior gradimento erano prese come segno di semplicità.

Faccio a due esempi di autori di estrazione aristocratica i quali

mettono in forte rilievo la finezza della sprezzatura: in I promessi sposi  il conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[5].

Una nobile semplicità si trova in Anna Karenina  del conte Tolstoj:" Levin riconobbe le maniere piacevoli della donna del gran mondo, sempre calma e naturale… Non soltanto Anna parlava con naturalezza e intelligenza, ma con un'intelligenza noncurante, senza attribuire alcun pregio ai propri pensieri e attribuendo invece gran pregio ai pensieri dell'interlocutore"[6] .

 

In All'ombra delle fanciulle in fiore, Proust scrive di Saint Loup che aveva il pregio della naturalezza, ed era di un'eleganza disinvolta, senza nulla di pretenzioso e compassato, era ricco ma viveva nel lusso "in modo negligente e libero, senza puzzare di soldi, senza darsi arie di importanza"(p. 334) né cercava di impedire al suo viso di riflettere un'emozione. Si vedeva in quel giovane l'agilità ereditaria dei grandi cacciatori, il loro disprezzo per la ricchezza. A loro i soldi servivano solo per festeggiare gli amici. "Vi sentivo soprattutto la certezza o l'illusione che avevano avuto quei grandi signori di essere più degli altri e grazie alla quale non avevano potuto lasciare in legato a Saint-Loup quel desiderio di mostrare che si vale quanto gli altri, quella paura di sembrare troppo premurosi che rende così rigida e goffa la più sincera amabilità plebea"(p.337).

Musil in L'uomo senza qualità  scrive:" Una casta dominante rimane sempre un poco barbarica… Erano invitati insieme in residenze campestri, e Ulrich notò che vi si vedeva sovente mangiare la frutta con le mani, senza sbucciarla, mentre nelle case dell'alta borghesia il cerimoniale con coltello e forchetta era rigidamente osservato; la stessa osservazione si poteva fare a proposito della conversazione che quasi soltanto nelle case borghesi era signorile e distinta, mentre negli ambienti aristocratici prevalevano i discorsi disinvolti, senza pretese, alla maniera dei cocchieri. Le dimore borghesi erano più igieniche e razionali. Nei castelli patrizi d'inverno si gelava; le scale logore e strette non erano una rarità, e accanto a sontuose sale di ricevimento si trovavano camere da letto basse e ammuffite. Non esistevano montavivande né bagni per la servitù. Ma, a guardar bene, c'era proprio in questo un senso più eroico, il senso della tradizione e di una magnifica negligenza! (Parte seconda, Le stesse cose ritornano, 67 Diotimae Ulrich, p269).

“Egli era veramente convinto che persino il vero socialismo concordava con le sue opinioni -E' chiaro come il sole che soccorrere i poveri è un dovere cavalleresco e che per la vera alta nobiltà non c'è poi una così gran differenza tra un fabbricante e un suo operaio. In fondo siamo tutti socialisti” ( Parte seconda , Le stesse cose ritornano, 21, La vera trovata dell’Azione Parallela fatta dal conte Leinsdorf,  p.84). Sono parole di Sua Signoria il conte Leinsdorf, il promotore della grande Azione Patriottica

 

Nel Faust di Goethe, Margherita, ripensando all’approccio di Faust, dice a se stessa:

“Che è di casata nobile edlen Haus

Glielo si legge scritto in fronte,

se no, non sarebbe stato tanto coraggioso”[7].

 

L’antitesi della sprezzatura è l’affettazione.  

Baldassarre Castiglione in Il cortegiano[8]  prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si concita –incita contro di sé- odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura, un’apparenza di naturalezza "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo  credo io che derivi assai la grazia… " (I, 26).

Sentiamo Leopardi a proposito dell’affettazione nello scrivere: “l’affettazione è la peste d’ogni bellezza e d’ogni bontà, perciò appunto che la prima e più necessaria dote sì dello scrivere, come di tutti gli atti della vita umana, è la naturalezza (28. Feb. 1821)[9].

Anche Dostoevskij in I fratelli Karamazov considera l'affettazione segno di cattiva educazione: Alioscia sebbene affascinato da Gruscenka" si domandava con un'oscura sensazione sgradevole e quasi con commiserazione perché ella strascicasse le parole a quel modo e non parlasse in tono naturale. Evidentemente, lo faceva perché trovava bella quella pronuncia strascicata e quella sdolcinata e forzata attenuazione delle sillabe e dei suoni. Certo, non era che una cattiva abitudine di dubbio gusto, la quale testimoniava un'educazione volgare e una volgare comprensione, acquisita sin dall'infanzia, delle convenienze e del decoro"[10].

Questo tipo di educazione volgare ora è praticato da molti maleducati che parlano in televisione e attori cinematografici e doppiatori di attori

 

La neglegentia (ajmevleia) degli autori.

L’Anonimo Sul sublime in un capitolo  (XXXIII)  annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti ("oujk ojlivga...aJmarthvmata") i quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza ("paroravmata di j ajmevleian eijkh'/") e prodotte distrattamente dalla loro stessa grandezza.

E' la stessa neglegentia  che faceva parte anche dello stile altissimo del Petronio di Tacito. In effetti tale noncuranza spesso geniale, talvolta difettosa, è preferibile all'ineccepibile correttezza di Apollonio Rodio. Comunque i difetti e le imperfezioni degli "eroi della letteratura" come Omero, Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone sono insignificanti e non valgono a inficiare la loro grandezza.

 

Nietzsche: “Sottigliezza nell’errare. Se Omero, come si diceva, ha dormito qualche volta[11], è stato più saggio di tutti gli artisti dalla insonne ambizione. Bisogna lasciare riprendere fiato agli ammiratori col trasformarli, di quando in quando, in censori: nessuno infatti sopporta una buona qualità interrottamente attiva ed abbagliante, e invece di far del bene, un maestro diventa, in tal modo, un correttore che odiamo mentre ci fa strada”[12].

Se siamo molto bravi qualche rara svista dovuta a distrazione ci fa apparire più umani

 

“ Ma non dobbiamo avere troppa ragione, se vogliamo avere dalla nostra quelli che ridono: avere un granello di torto è perfino indizio di buon gusto”[13].

“Per gli errori dei grandi uomini occorre avere rispetto perché sono più fecondi delle verità dei piccoli”[14].

Analoga valutazione estetica si trova nel Prologo dell'Andria dove Terenzio si difende dall'accusa di contaminatio menzionando i suoi maestri Nevio, Plauto, Ennio:" quorum aemulari exoptat neclegentiam/potius quam istorum obscuram diligentiam" (vv. 20-21), dei quali egli, l’autore, preferisce cercare di eguagliare la negligenza piuttosto che la buia diligenza di costoro, ossia del malevolo vecchio poeta (vv. 6-7) Luscio Lanuvino e degli altri detrattori.

 

Sulla “negligenza” dei sommi scrittori, da Omero in avanti, anche Leopardi dà un giudizio positivo: “ Così i poeti antichi non solamente non pensavano al pericolo in cui erano di errare, ma (specialmente Omero) appena sapevano che ci fosse, e però franchissimamente si diportavano con quella bellissima negligenza che accusa l’opera della natura e non della fatica. Ma noi timidissimi, non solamente sapendo che si può errare, ma avendo sempre avanti agli occhi l’esempio di chi ha errato e di chi erra, e però pensando sempre al pericolo…non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall’esempio degli antichi e dei Classici…ma da quelle regole (ottime e Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in voli bassi né mai osiamo alzarci con quella negligente e sicura e non curante e dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria nelle somme opere dell’arte, onde pel timore di non fare cose pessime, non ci attentiamo di farne delle ottime, e ne facciamo delle mediocri…insomma non c’è più Omero Dante l’Ariosto, insomma il Parini e il Monti sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto” (Zibaldone, 9-10).

A me il Parini piace più dell’Ariosto per la sua componente etica e politica. Credo che sia un autore sottovalutato.

Più avanti Leopardi sostiene che Ovidio “con quel tanto aggirarsi intorno agli oggetti…fa manifesta la diligenza, e la diligenza nei poeti è contraria alla naturalezza. Quello che nei poeti dee parer di vedere, oltre agli oggetti imitati, è una bella negligenza e questa è quella che vediamo negli antichi, maestri di questa necessarissima e sostanziale arte, questa è quella che vediamo nell’Ariosto, Petrarca ec…” (Zibaldone, 21).

Trovo che sia più manifesta la diligenza di Petrarca che quella di Ovidio. Secondo me Ovidio è più interessante e piacevole di Petrarca.

           

  L’aristocratico è capace di solitudine e ha il coraggio della diversità poiché sente la distanza.

“oggi il concetto di “grandezza” include in sé l’essere aristocratici, il voler essere per se stessi, la capacità di essere diversi, l’essere soli, la necessità di vivere a modo proprio. ”[15].

In una lettera del 21 agosto 1881 Nietzsche scrive, da Sils Maria a Peter Gast: “considero un mio nemico chiunque interrompa la mia estate di lavoro in Engadina, ossia l’avanzamento del mio compito, della mia “unica cosa indispensabile”.

 

Antigone vuole che la sua azione abbia un aspetto esemplare e rappresentativo, come deve essere l'agire di un principe o di un eroe. Questo, se in termini di psicologia individuale può significare esibizionismo o esaltazione, in un ambito sociale e di classe fa parte della morale aristocratica. La figlia di Edipo dunque dice alla sorella Ismene  :"ma so di essere in armonia con quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia" ( Antigone, v. 89).

Nel XII dell'Iliade  (vv.310-321), Sarpedone esorta Glauco a combattere in prima fila, rischiando la vita, poiché lo esigono la loro nobiltà e i loro privilegi.

Nietzsche scrive:"Indizi di una natura aristocratica: non degradare mai i propri doveri, pensando che siano i doveri di tutti; non voler rinunciare mai alla propria responsabilità e non volere dividerla con nessuno; annoverare tra i propri doveri i privilegi che si hanno e l’esercizio dei medesimi"[16].

Avrei detto piuttosto “annoverare tra i propri privilegi i doveriche si hanno”. Ritengo un privilegio studiare almeno 5 ore al giorno e pedalare per almeno due. Almeno e tutti i giorni. Per farlo sono necessari questi altri privilegi: salute, amor proprio, volontà

“Nobiltà il cui segno distintivo sarà sempre quello di non aver paura di sé, di non aspettarsi niente di ignominioso da sé, di volare senza esitazione là dove ci si sente spinti, noi uccelli nati liberi! In qualunque luogo si giunga, tutto sarà libero e assolato intorno a noi”[17].

“Gli uomini d’alto livello si distinguono dagli inferiori per il fatto che vedono e ascoltano indicibilmente di più, per il fatto che vedono e ascoltano pensando: questo appunto differenzia l’uomo dall’animale e gli animali superiori da quelli inferiori”[18].

 

La disciplina dura forma  caratteri forti: il re spartano Archidamo nelle Storie  di Tucidide sostiene che   non si deve pensare che uomini siano tanto differenti tra loro, ma che  sia fortissimo chi è stato educato nelle difficoltà massime:"poluv te diafevrein ouj dei' nomivzein a[nqrwpon ajnqrwvpou, kravtiston de; ei\nai o{sti~ ejn toi'" ajnagkaiotavtoi" paideuvetai"(I, 84, 4).

Concorda con questa affermazione del re spartano quanto scrive Nietzsche nell' Epistolario in data 14 aprile 1887:" Non c'è nulla infatti che irriti tanto le persone quanto il lasciare scorgere che noi seguiamo inesorabilmente una rigida disciplina di cui loro non si senton capaci". Da Cannobio a Franz Overbeck.

Quando dico che per tenere la mia linea da atleta agonista devo correre e pedalare per diverse ore e fare sacrifici alimentari, gli obesi rispondono: “figuriamoci! Tu puoi mangiare  quanto buoi e non ingrassi” A proposito dello sproloquiare a vanvera!

 

In questa lettera a Lou von Salomé del 12 giugno 1882, Nietzsche scrive:”Questa terribile esistenza di rinunce cui sono costretto, e che è dura quanto la vita di restrizioni di un asceta, può però contare su alcuni conforti grazie ai quali vivere mi appare pur sempre più apprezzabile del non vivere. Certe grandi prospettive sull’orizzonte spirituale e morale sono le mie più potenti fonti di vita, e sono così contento che proprio in questo terreno abbia messo radici e speranze la nostra amicizia”.

E in Ecce homo: “Ogni risultato, ogni passo avanti nella conoscenza è una conseguenza del coraggio, della durezza con se stessi, della pulizia con se stessi…Nitimur in vetĭtum: in questo segno verrà un giorno la vittoria della mia filosofia, perché finora solamente la verità è stata proibita sempre, per principio”[19].

Il vietato dunque è la verità ma è a questa che dobbiamo tendere con tutta la forza che abbiamo 

“La stessa disciplina rende valenti il militare e lo studioso…Stare in riga, ma essere capaci ogni volta di passare in testa; preferire il pericolo allo star bene, non pesare sulla bilancia del rivendugliolo il lecito e l’illecito; essere più nemico della meschinità, della furberia, del parassitismo che della cattiveria”[20].

 

Cfr kalo;" oJ kivnduno" di Platone.

Platone scrive: “kalo;ς ga;r oJ kivndunoς” (Fedone, 114d), bello è infatti il rischio. E’ il rischio di credere nei miti relativi alla sorte delle anime, dato che è chiaro che l’anima è immortale..

I miti sull’aldilà-dice Socrate- non si addicono a un uomo che abbia senno (ouj prevpei nou`n e[conti ajndriv) ma, siccome è chiaro che l’anima è immortale, si addice pensare che le cose relative all’anima vadano così o in maniera simile con il giudizio dei morti e tutto il resto.

Fedone racconta a Echecrate le ultime ore di Socrate

 

Il viaggio nell’Ade. Anch’io sono stato agli inferi, come Odisseo, e ci tornerò ancora più volte, e non solo montoni ho sacrificato per poter parlare con i morti; bensì non ho risparmiato il mio stesso sangue”.

Nietzsche menziona 4 coppie: Epicuro e Montaigne, Goethe e Spinoza, Platone e Rousseau, Pascal e Schopenhauer.  “ Su questi otto fisso gli occhi  e vedo il loo occhi fissi su di me. Vogliano i vivi perdonarmi se essi talvolta mi sembrano delle ombre così sbiaditi e aduggiati (…) Ma è l’eterna vitalità che conta!”[21].

 

Nietzsche su Leopardi

“So che, per quel che riguarda le sofferenze, Leopardi non stava peggio di me. E tuttavia si lamentava”[22] .

“Il Leopardi è lì nel suo austero splendore, messo da parte per i buoni giorni dell’estate, in montagna. Sa bene che io non sono un “pessimista”  come lui, e dove trovo il “cupo” lo constato, non mi lamento. Certo, così facendo, non nascono quelle stupende liriche”[23]

 

Bologna 17 febbraio 2023 ore 18, 23 giovanni ghiselli

p. s.

Sempre1324889

 

 



[1] Virgilio, Eneide, IV, 13. E’ Didone innamorata

[2] Di là dal bene e dal male. Che cosa è aristocratico? , 259.

[3] 1882.

[4]U. Foscolo,  Ultime lettere di Jacopo Ortis, Padova 11 dicembre.

[5] I promessi sposi , capitolo XIX.

[6] Anna Karenina (1873-1877), trad. it. Milano, 1965, pp 703 e 704.

[7] Faust I, sera (vv. 2680-2682)

[8] Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne pubblicato nel 1528.

[9] Zibaldone 705.

[10] I fratelli Karamazov, (1880), Trad. it.  Milano, 1968, p. 208.

[11] Cfr. Orazio, Ars poetica 359: indignor quandoque bonus dormītat Homerus”, mi sdegno ogni volta che il bravo Omero sonnecchia.

[12] Nietzsche, Aurora, libro quarto, 344.

[13] Di là dal bene e dal male, Le nostre virtù, 221.

[14] Appunti filosofici 1867-1869. Adelphi, Milano 1993, p. 95.

[15] Di là dal bene e dal male, noi dotti, 212.

[16]Di là dal bene e dal male , Che cos’è aristocratico?, 272.

[17] La gaia scienza, libro quarto, 294

[18] La gaia scienza, libro quarto, 301

[19] Ecce homo, Come si diventa ciò che si è Prologo..

[20] frammenti postumi, primavera 1888, 14 (161)

[21] Umano, troppo umano II, Parte prima, Opinioni e sentenze diverse, 408

[22] Lettera a Peter Gast, Basilea, 22 gennaio 1879.

[23] Lettera alla Signora Maria Baumgartner, Basilea, 29 dicembre 1978.

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