domenica 5 febbraio 2023

Nietzsche 103. Ecce homo 4. Nietzsche professore.


 

Nietzsche insegnò per dieci anni  dal 1869 venticinquenne- al 1979 trentacinquenne – nel liceo e nell’ Università di Basilea.  

“Io addomestico gli orsi, insegno la buona educazione ai buffoni. Durante tutti i sette anni in cui ho insegnato greco nella classe superiore del liceo di Basilea, mai una volta ho avuto l’occasione di dover punire qualcuno; anche i pigroni diventavano diligenti con me (…) la compassione è chiamata virtù solo tra i décadents. Rimprovero i compassionevoli perché perdono facilmente il pudore, il rispetto, perché basta un niente e la compassione puzza di plebe e somiglia alle cattive maniere fino a confondersi con esse- perché in certe circostanze le mani compassionevoli possono intervenire distruttivamente in un grande destino. Io annovero il superamento della compassione fra le virtù nobili”.

Si può  citare a questo punto la Poetica di Aristotele:

:"La tragedia è dunque imitazione di azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~ kai; teleiva~) che, con una certa estensione e con parola ornata (hJdusmevnw/ lovgw/) presentata da attori che agiscono e non attraverso un racconto, per mezzo di pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin, 1449b, 28). La pietà dunque è un’affezione, un pavqhma che si sovrappone agli altri e li aggrava.

L’ho verificato vivendo, dunque sono lettere vive queste di Nietzsche e di Aristotele.

Quando dopo il liceo per due anni  interi attraversai una crisi di identità che mi portò ad augurarmi la morte, quanti mi dicevano “poverino, poverino, tanta pena mi fai!” giravano coltelli nelle mie piaghe e mi spingevano verso l’abisso. Mi aiutarono invece due amici: Fulvio dicendomi che se non smettevo di lamentarmi, dato che non ne avevo motivo siccome non mi mancava niente, mi avrebbe picchiato pesantemente dandomi dei motivi seri per piagnucolare, e un altro, Claudio, quando la notte nella stanza del collegio di Debrecen, spengendo la luce dicevo: “domani mi uccido”, una battuta del resto ripresa dal film Fuoco fatuo di Louis Malle  a sua volta tratto da dal romanzo Le feu follet di Drieu La Rochelle, gridava: “perché non ti uccidi subito, borsa, e ci lasci dormire? Se non lo fai da solo anzi, e continui a disturbare, vengo io ad ammazzarti”. Allora finalmente, spaventato e persuaso, tacevo.

Questi due amici di Parma mi hanno aiutato. E pure educato.

Un terzo amico benevolo e beneficente è stato il veneto Danilo che diceva: “non lamentarti, caro da Dio, la vita è tutta una festa rallegrata dal vino e dalle femine!” parole dette bene e  benedette. Aveva ragione quel bevitore santo. Eravamo nel luglio de 1966. L’anno della mia salvazione.

 

Bologna 5 febbraio 2023 ore18, 10

Sempre1320032

 

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