mercoledì 15 febbraio 2023

Nietzsche e i Greci 4. Sapere e sapienza.


La storia fornisce al potente modelli e maestri che, nell’impotentia generale della volgarità del presente, non si trovano.

 

Torniamo alla Prefazione della seconda Considerazione Inattuale  (Sull’utilità e il danno della storia per la vita).

Le prime parole rifiutano come "odioso" (con espressione mutuata  da Goethe che però ciascuno di noi potrebbe sottoscrivere) "tutto ciò che mi istruisce soltanto, senza accrescere o vivificare immediatamente la mia attività"(p. 81).

La conclusione della prefazione è che la filologia classica deve agire in modo inattuale contro il tempo  e, “speriamolo,  in favore di un tempo venturo” .

  E più avanti, nel primo capitolo:“C’è  un grado di insonnia, di ruminazione, di senso storico, in cui l'essere vivente riceve danno e alla fine perisce"(p. 85).

Contro l’erudizione Nietzsche si esprime anche in Ecce homo: “Avevo dietro di me dieci anni in cui la alimentazione del mio spirito si era propriamente arrestata, in cui non avevo imparato nulla di utilizzabile, in cui avevo dimenticato una quantità insensata di cose in cambio di tutto un ciarpame di polverosa erudizione (…) alla mia scienza mancavano completamente le realtà e le “idealità” chissà a che diavolo servivano (…)

 I miei occhi, per conto loro, mi costrinsero a farla finita con ogni specie di rosicchiamento di libri, in altre parole: con la filologia; ero redento dal libro”[1].

Insomma: “Philosophia facta est quae philologia fuit[2]

 

“Nel libro di un erudito c’è sempre anche qualche cosa di opprimente, di oppresso: c’è sempre qualche punto in cui fa capolino lo “specialista”, il suo zelo, la sua serietà. Il suo rovello, la sua sopravvalutazione del cantuccio in cui se ne sta seduto a filare, la sua gobba-ogni specialista ha la sua gobba. Il libro di un erudito rispecchia sempre anche un’anima incurvata: ogni mestiere incurva”[3].

Nella  Repubblica di Platone, Glaucone dice a Socrate che quelli che praticano solo la ginnastica sono ajgriwvteroi tou' devonto~, e quelli che non la praticano sono malakwvteroi[4] “più molli” di quanto sarebbe per loro meglio.

Nell'età classica il poeta, l'intellettuale in genere, è ancora uomo d'azione: sarà tipico dell'età ellenistica "l’eterno affamato, il critico senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino che è in fondo  un  bibliotecario, e un emendatore, e si accieca miseramente sulla la polvere dei libri  e sugli errori di stampa "[5].-

la somma delle virtù morali, fisiche e intellettuali, corrisponde grosso modo all’auspicio di Giovenale:  mens sana in corpore sano” (X, 356).

“ Il nostro tempo è infatti così cattivo, dice Goethe, che nella vita umana che lo attornia il poeta non incontra più nessuna natura utilizzabile. Con riguardo all’attivo, Polibio chiama per esempio  la storia politica la vera preparazione al governo di uno Stato, e l’ottima maestra che col ricordo delle altrui sventure ci ammonisce a sopportare con fermezza i mutamenti di fortuna"[6].

 

Polibio[7] nel Proemio delle sue Storie afferma che per gli uomini non c'è nessuna correzione (diovrqwsi") più disponibile che la conoscenza dei fatti passati (th'" tw'n progegenhmevnwn pravxewn ejpisthvmh" , 1, 1).

 

Il "pragmatico" e "universale" Polibio  riconosce valore educativo alla sofferenza come già i tragici: al cambiamento in meglio si giunge attraverso due vie: quella dei patimenti propri e quella dei patimenti altrui (tou' te dia; tw'n ijdivwn sumptwmavtwn kai; dia; tw'n ajllotrivwn); la prima via è più efficace ("ejnargevsteron"), la seconda meno dannosa ("ajblabevsteron", Storie , I, 35, 7).

Sulla sofferenza positiva Nietzsche si esprime in Di là dal bene e dal male[8]:"il grado gerarchico di un uomo è quasi determinato dal grado di profondità cui è capace di giungere la sofferenza degli uomini,-la sua raccapricciante certezza, di cui è pervaso in ogni sfumatura, di sapere di più grazie alle sue sofferenze" (Che cosa è aristocratico? 200)

 

Nelle Storie di Erodoto, Creso lo straricco re di Lidia, dopo essere caduto, enuncia questa legge del mavqo~ tragico: egli si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, ma, sconfitto e catturato da Ciro re dei Persiani, comprende che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti (I, 207).

 

Ancora sull’educazione data dalla Storia.

Gli storiografi dell’età ellenistica sostengono di essere educatori e perfino benefattori del genere umano.

Le Storie dopo Polibio  di Posidonio[9] (andavano dal 143 al 70) non sono conservate, ma ve ne è traccia notevole nella benemerita Biblioteca  di Diodoro siculo[10]: e soprattutto nel proemio diodoreo sono sviluppati pensieri che sembrano risalire appunto al proemio posidoniano. Innanzi tutto l'idea stoica della storia universale come proiezione della fratellanza universale che collega in un nesso solidale-come membra di un unico corpo, secondo l'espressione senecana-tutti gli esseri umani. La storia universale "riconduce ad un'unica compagine gli uomini, divisi tra loro nello spazio e nel tempo, ma partecipi di un'unica reciproca parentela" (Diodoro, I, 1, 3). Oltre che "strumento della provvidenza divina (uJpourgoi; th'" qeiva" pronoiva") ", perciò gli storici sono anche benefattori del genere umano: e la storiografia-prosegue Diodoro-oltre ad essere profh'ti" th'" ajlhqeiva", profetessa della verità, è anche "madrepatria della filosofia (mhtrovpoli" th'" filosofiva")" (I, 2, 2) )”[11].

 

In definitiva la funzione della cultura deve essere quella di migliorare la fuvsi~, e i Greci in questo possono costituire dei modelli: “I greci impararono a poco a poco a organizzare il caos, concentrandosi, secondo l’insegnamento delfico, su se stessi, vale a dire sui loro bisogni veri, e lasciando estinguere i bisogni apparenti. Così ripresero possesso di sé, non rimasero a lungo gli eredi sovraccarichi e gli epigoni dell’intero Oriente (…) E’ questo un simbolo per ognuno di noi: ognuno deve organizzare il caos in sé, concentrandosi sui suoi bisogni veri”[12].

“La cultura comincia dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo”[13]

La cultura deve aiutarci a realizzare il diventa quello che sei di Pindaro: “gevnoio oi|o~   ejssiv” (Pitica II,  v. 72).

“Nessuna creatura è più squallida e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio”[14].

“Nietzsche presuppone che il genio sia solo quello del Geist, cioè della mente (Geist significa insieme spirito e mente)”[15].  L’amico Sossio ha tradotto Nietzsche ma non sempre l’ha capito. C’è anche il genio della fisicità o per lo meno l’intelligenza del corpo.  

 

Quando è che l’uomo smette di essere una cosa gradevole? Quando non assomiglia a se stesso. Sconcio, scoveniente in greco si dice ajeikhv~, ossia non eijkov~, oggetto neutro non somigliante, non somigliante a se stesso.

 

"Quando è privo di ogni charis , l'essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte….Oltraggiare-cioè imbruttire e disonorare a un tempo-si dice aeikizein , rendere aeikes  o aeikelios , non simile"[16].

Non mancano persone di bell’aspetto che quando palano lo smentiscono.

 

Il potere incentiva questa deformità sconcia che è la difformità della persona da se stessa: “Su che cosa, in fondo, si basa la repressione? Sul falso concetto che l’individuo ha di se stesso, e quindi sul falso concetto che si fa dei propri desideri: della propria libido, dei propri bisogni erotici, dell’amore che gli potrebbe spettare di diritto. La società sfrutta questo misconoscimento di sé, e si adopera con efficacia a confermare l’individuo in questa sua sbagliata concezione dell’amore”[17]. E di se stesso.

 

“Che cosa ti dice la tua coscienza? Devi divenire quello che tu sei….Che cosa è il sigillo della raggiunta libertà? Non provare più vergogna davanti a se stessi”[18].

 

“Ciò che va bene per uno, non per questo può andare bene per un altro; il pretendere un’unica morale per tutti equivale a danneggiare precisamente gli uomini superiori: in sostanza, tra uomo e uomo esiste un ordine gerarchico e deve quindi esisterne uno anche tra morale e morale”[19].

 

“Una cosa sola è necessaria. “Dare uno stile” al proprio carattere: è un’arte grande e rara. L’esercita colui che abbraccia con lo sguardo tutto quanto offre la sua natura in fatto d’energie e di debolezze, e che inserisce quindi tutto questo in un piano artistico (…) inversamente si comportano i caratteri deboli, impotenti su se stessi, i quali odiano la disciplina vincolante dello stile (…) una cosa sola, infatti, è necessaria: che l’uomo raggiunga l’appagamento di sé ( …) soltanto allora l’uomo in genere è tollerabile a vedersi. Chi non è pago di se stesso è continuamente pronto a vendicarsene: noialtri saremo le sue vittime, se non altro perché dovremo sempre sopportare la sua spiacevole vista”[20].

“L’intelligenza impone di farsi passare per ciò che si è, o forse anche per qualcosa di meno”[21].

 Cercare la propria realizzazione significa amare il compimento, la perfezione del proprio destino, il quale, per stravagante che sia, è una piccola parte del fato universale.

“La mia formula per la grandezza dell’uomo è amor fati: non voler nulla di diverso, né dietro, né davanti a sé, per tutta l’eternità. Non solo sopportare, e tanto meno dissimulare, il necessario-tutto l’idealismo è una continua menzogna di fronte al necessario- ma amarlo”[22].

 “ Ma in fondo, proprio “in fondo” a noi stessi c’è sicuramente qualcosa che non si può insegnare, un Fatum spirituale granitico, una scelta e una risposta predeterminate  a problemi scelti in anticipo (…) ciò che “in fondo a noi” non è insegnabile[23].

“ Il necessario non mi ferisce; amor fati è la mia intima natura, das ist  meine innerste Natur[24].

“L’ amor fati, più dell’eterno ritorno, è la bandiera nietzschiana dell’affermazione”[25]. Questo può essere.

giovanni ghiselli

Bologna 15 febbraio 2023 ore 18, 53

p. s.

Il catalogo è questo

Sempre1323916

Oggi378

Ieri393

Questo mese5513

Il mese scorso11301

 



[1] Ecce homo, Umano, troppo umano, 3 e  4

 [2] E.  Nolte, Nietzsche, p. 36.

[3] La gaia scienza,  del  1887.V libro,  366.

[4] 410d-

[5]Nietzsche, La nascita della tragedia , capitolo 18

[6] Sull'utilità e il danno della storia per la vita, 2.

[7] 200 ca-118 ca a. C.  Scrisse Storie che trattavano il periodo compreso tra il 264 e il 146 a. C.  Ci sono arrivati i primi 5 integrali; degli altri possediamo epitomi e frammenti, anche consistenti (in particolare quelli dei libri VI-XVIII).

[8] Del 1886

[9] 135-51 a. C.

[10] Nato ad Agirio (oggi Agira in provincia di Enna) Vissuto nel  I sec. a. C. è autore della Biblioteca storica, una grande compilazione di storia universale. Andava dalle origini all’età di Giulio Cesare. Constava di 40 libri. Ce ne sono arrivati i primi cinque e frammenti degli altri  (n. d. r.).

[11] Canfora, Storia Della Letteratura Greca , p. 528

[12] Sull’utilità e il danno della storia per la vita, cap. 10.

[13] Sull'avvenire delle nostre scuole, seconda conferenza tenuta nel 1872, Adelphi. p. 43

 

[14] Schopenhauer come educatore, III inattuale (1874), capitolo 1.

[15] Sossio Giametta, Nietzsche il pensiero come dinamite, p. 224.

[16]J. P. Vernant, Tra mito e politica , pp. 210-211.

[17] P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1472.

[18] La gaia scienza (1882)  libro quarto, 270 e 271.

[19] Di là dal bene e dal male (1886) Le nostre virtù, 228

[20] La gaia scienza, libro quarto, 290

[21] Frammenti postumi Primavera estate 1877, 22 (105).

[22] Ecce homo, perché sono così accorto, 10

[23] Di là dal bene e dal male, Le nostre virtù, 231

[24] F. Nietzsche, Ecce homo, Il caso Wagner, 4

[25] S. Giametta, Introduzione a Nietzsche, p. 345.

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