La storia di Arpalo Curzio 10, 2. Arpalo era fuggito ad Atene e di lì a Creta dove era stato ucciso.
Diodoro racconta (17, 108) che Arpalo rimasto in Persia a custodire i tesori mentre Al. era in India, si era dato al lusso, tra l’altro facendo venire da Atene due etere famose: Pitonice e Glicera. Inoltre, preparandosi un rifugio rispetto agli imprevisti della fortuna, rendeva favori al popolo ateniese. Quindi fuggì ad Atene dove elargì denaro agli oratori perché parlassero in suo favore nell’assemblea. Poi andò a capo Tenaro in Laconia dove aveva lasciato dei mercenari e di lì a Creta. Qui venne ucciso a tradimento da Tibrone. Gli Ateniesi chiesero conto delle ricchezze di Arpalo a Demostene e ad alcuni altri oratori che poi condannarono.
Al. per rappresaglia ordinò ai Greci di far rientrare i fuoriusciti prima banditi. Questo era l’inizio dello sfascio delle loro leggi. Gli Ateniesi disobbedirono: non volevano riammettere in città purgamenta urbis suae (Curzio, 10, 2, 7), la feccia, i farmakoiv.
Ci fu un’altra rivolta nell’esercito macedone che temeva di dover restare in Asia. In realtà molti dovevano essere congedati. Al. chiama se stesso re precario e i suoi soldati ingrati mercenari. Al. aveva appena estinto i debiti di tutti con il bottino asiatico. Neminem teneo: liberate oculos meos, ingratissimi cives (10, 2, 27). L’assemblea si paralizzò terrorizzata. Tredici veterani vennero giustiziati (10, 3). Al. per rappresaglia convocò l’assemblea dei soldati non Macedoni e li elogiò. Ricordò di avere sposato la figlia di Oxiarte e quella di Dario ut hoc sacro foedere omne discrimen victi et victoris excluderem (10, 3, 12). Asiae et Europae unum atque idem regnum est (13).
In fondo è stato Alessandro a realizzae il progetto di Serse. Oramai Persiani e Macedoni non si distinguono più: “omnia eundem ducunt colorem” (10, 3, 14), tutto assume il medesimo colore. Devono avere la stessa legge quelli che vivranno sotto lo stesso re. Può esserci però la perdita di dentità e la confusione.
Arriano VII libro.
Poi Al. tornò a Persepoli e non era fiero di avere incendiato la reggia. Mise Peucesta come satrapo della Persia. Questo adottò costumi persiani.
Da Persepoli Al. voleva navigare il Tigri e l’Eufrate fino al mare, poi procedere con le conquiste: lo turbava che si estendesse sempre più la rinomanza dei Romani : “uJpokinei`n aujto;n to; JRwmaivwn o[noma procwrou`n ejpi; mevga” 7, 1, 3.
Al. doveva competere sempre, se non con qualcun altro, almeno con se stesso “ eij kai; mh; a[llw/ tw/, ajlla; aujto;n ge auJtw`/ ejrivzonta” (4). E' un' e[ri~ buona o cattiva in termini esiodei?
Arriano a questo punto ricorda e approva i saggi indiani: questi , come videro A. con il suo esercito, non facevano altro che battere con i piedi la terra krouvein toi`~ posi; th;n gh`n (5) dove camminavano. Spiegarono ad A. che ciascuno possiede tanta terra quant’è quella dove cammina. Tu sei come gli altri, plhvn ge dh; o[ti polupravgmwn kai; ajtavsqalo~[1] (6) a parte che sei molto attivo e presuntuoso Tu, continuarono i sofistaiv indiani, hai attraversato tante terre creando problemi a te e agli altri. Ma da qui a poco, morto, occuperai tanta terra quanto basta al tuo cadavere per esservi sepolto (6).
Al. apprezzò ma continuò ad agire in modo diverso. Al. non era estraneo del tutto ai pensieri elevati “ajll j ejk dovxh~ ga;r deinw`~ ejkratei`to” (7, 2, 2), ma era terribilmente dominato dal desiderio della gloria. Vedi Civiltà di vergogna: suo tratto arcaico. Tra i saggi indiani lo seguì Calano che, malato, si uccise.
Plutarco racconta che Al. mandò Onesicrito, filosofo della scuola di Diogene cinico, da Calano. Si chiamava Sfine ma siccome salutava dicendo in lingua indiana kale; ajnti; tou' caivrein, i Greci lo chiamavano Kalanov~ (Vita, 65, 5). A Onesicrito intimò di denudarsi se voleva ascoltarlo. Poi, calpestando in più punti una pelle di bue raggrinzita che non si sollevava soltanto se il piede veniva posato nel centro consigliò ad Al. in questo modo simbolico di rimanere al centro dell'impero.
Prima di salire sulla pira Calano invitò i Macedoni a essere allegri e a banchettare con il re che egli avrebbe rivisto presto a Babilonia. Al. allora propose una gara a chi beveva la maggior quantità di vino puro. Vinse Promaco con quattro boccali (13 litri circa) e sopravvisse tre giorni (Vita, 70, 2). Altri 41 morirono per il freddo preso dopo essersi ubriacati.
A Susa nel 324 Al. celebrò le nozze sue e dei compagni che sposarono le figlie più nobili dei Medi e dei Persiani, nozze novmw/ tw/` Persikw`/ (Arriano, 7, 4, 7).
Il re sposò Statira, la maggiore delle figlie di Dario[2], e diede Dripetide, la più giovane, in matrimonio a Efestione (Diodoro, 17, 107). Arriano chiama Barsine questa moglie di Al. il quale sposò anche Parisatide, la minore delle figlie di Ochos. Artaserse III Ochos, fu gran re dell'Impero achemenide dal 358 a.C. alla sua morte nel 338
Lo storico di Nicomedia ricorda pure che Al. aveva già sposato Rossane (7, 6, 4).
Plutarco racconta che a ciascuno dei novemila invitati fu regalata una coppa d'oro e ci fu in tutto una magnificenza straordinaria. Al. pagò pure i debiti dei soldati per una somma di quasi diecimila talenti. Tra i debitori si era fatto iscrivere, fraudolentemente Antigene oJ eJterovfqalmo~ il monocolo(Vita, 70, 4). Quando Filippo assediava Perinto nella Tracia propontide,, colpito a un occhio da un proiettile, Antigene non permise che glielo togliessero prima di avere messo in fuga i nemici. Al. lo perdonò perché temeva si uccidesse non potendo tollerare il disonore (ajtimivan, 70, 6).
Poi però i Macedoni si urtarono con Al. per la considerazione eccessiva in cui il re teneva i giovani persiani, congedando i malati e i feriti della sua gente. Volevano essere congedati tutti, dato che egli aveva quei purricistav~ (71, 3), danzatori di pirrica (una danza guerresca). Al. si offese e sostituì la guardia del corpo con dei Persiani. Ma poi si riconcilarono. Il re congedò tou;~ ajcrhvstou~, quelli che non erano più utilizzabili ma scrisse ad Antipatro il reggente lasciato in Macedonia di dare loro la proedriva nei teatri e il diritto di tenere il capo incoronato. Dispose poi una pensione per gli orfani dei caduti (71, 9).
"Il potere di Al., infimo quando lo si paragona alla estensione delle terre e alla densità delle popolazioni, doveva trarre forza e legittimità dai favori ch'era suscettibile di recare ai vinti, basandosi sul rispetto delle usanze, delle leggi e delle religioni preesistenti, nella misura compatibile con il mantenimento dell'impero. Il regime dispotico che aveva tanto pesantemente oppresso i Persiani non era stato instaurato dal diritto: era nato dalla debolezza e dall'indolenza delle popolazioni asiatiche. Per rimediare al male occorreva rianimare in queste il sentimento del loro valore, risvegliarne le energie latenti e provocarne la fusione con la vita Ellenica. I Greci non avevano forse fatto così, nella loro ammirevole espansione colonizzatrice?"[3].
Al. creava malumore tra i Macedoni per questo e per altre aperture verso i vinti. Pensavano che il loro re si fosse del tutto imbarbarito nella mentalità-wJ~ pavnth/ dh; barbarivzonto~ th`/ gnwvmh/ jAlexavndrou (Arriano, 7, 6, 5).
"Ai giochi Olimpici del 324 (che probabilmente culminarono con la luna piena del 4 agosto) Al. annunciò il rientro degli esuli in tutto il mondo greco…Gli Etoli vedevano minacciata la loro occupazione della città acarnana di Eniade, e gli Ateniesi dovevano ritirarsi dalle loro cleruchie di Samo…Diodoro fornisce due ragioni per il Decreto sugli esuli: la sua brama di gloria e il desiderio di poter contare in ogni città su persone a lui fedeli" (Bosworth, .p. 236)
Al. navigò per il Tigri facendo togliere le cateratte lungo il fiume.
A Opi, sul Tigri, i Macedoni espressero il loro risentimento dovuto al fatto che il re voleva congedarne molti e sembrava preferire i costumi persiani. Al. fece ammazzare i più esposti tra i mestatori, sul genere di Percennio di Tacito (Annales, I, 16), l'agitatore commediante
L' histrionale studium del gaglioffo Percennio, la sua esperienza di attore, e il suo essere stato dux olim theatralium operarum (Annales, I, 16) un capo della claque teatrale, ne farà un acclamato duce durante la rivolta delle legioni della Pannonia successiva alla morte di Augusto.
Quindi il re parlò e ricordò le benemerenze storiche di suo padre verso i Macedoni che vennero resi civili (kai; novmoi~ kai; e[qesi crhstoi`~ ejkovsmhsen” , 7, 9, 3) e temibili; poi rinfacciò le proprie benemerenze, ancora più grandi. Egli non si era arricchito se non di ferite, a parte porpora e diadema: “kevkthmai de; ijdiva/ oujdevn” (7, 9, 9). Mangio come voi e dormo meno di voi, affinché voi possiate riposare. Non c’è parte tra quelle frontali del mio corpo rimasta a[trwton (7, 10, 2) senza ferite. Mentre ho arricchito voi tutti
Per l'eroe il premio non è la ricchezza materiale ma la gloria.
Se volete, ora andatevene. Seguirono pianti e riconciliazioni. Un veterano, Calline, disse che loro erano addolorati dal fatto che lui aveva reso suoi parenti suggenei`~ i Persiani (7, 11, 6).
E Al.: vi considero tutti miei parenti e vi chiamerò così (7). Poi peani e un grande banchetto. Quindi ne congedò alcuni già vecchi e li fece guidare in patria da Cratero quale sovrintendente della Macedonia.
Antipatro e Olimpiade.
Antipatro il reggente invece doveva portargli forze nuove. Intanto Olimpiade scriveva male di Antipatro cercando di screditarlo, e Alessandro diceva che la madre esigeva un affitto pesante (baru; dh; to; ejnoivkion tw'n devka mhnw'n, 7, 12, 6) per i nove mesi nei quali lo aveva tenuto in grembo.
Plutarco racconta che alla madre faceva molti doni ma oujk ei[a polupragmonei'n kai; parastrategei'n (Vita, 39, 12), non le permetteva di ficcare il naso negli affari politici e militari. Comunque sopportava mitemente la sua durezza quando lei lo accusava ejgkalouvsh~ de; prav/w~ e[fere th;n calepovthta (39, 13). Quando Antipatro gli scrisse una lunga lettera contro di lei, disse che Antipatro non sapeva o[ti muriva~ ejpistola;~ e{n davkruon ajpaleivfei mhtrov~ (39, 13) una lacrima di madre cancella diecimila lettere.
Plutarco racconta pure che tra gli altri amici di Al. anche Antipatro si spaventò in seguito alle esecuzioni di Filota e Parmenione, e imbastì un'alleanza con gli Etoli i quali temevano Al., dopo avere massacrato gli Eniadi di Acarnania che Al. voleva vendicare (Vita, 50, 14).
Nella Vita di Alessandro di Plutarco leggiamo pure che quando Al. era in Gedrosia Olimpiade e Cleopatra si ribellarono ad Antipatro: Olimpiade si tenne l'Epiro e Cleopatra la Macedonia. Al. disse che mai i Macedoni avrebbero sopportato di avere come re una donna (68, 6).
Nel 331 Antipatro fu nominato reggente della Macedonia. Nel 322 sconfisse i Greci a Lamia, in Tessaglia. Ateniesi, Focesi, Etoli e Locresi insorsero contro la Macedonia e riuscirono ad assediare Antipatro in Lamia. L'esercito ellenico però fu ripetutamente sconfitto. Iperide venne ucciso e Demostene si suicidò.
In Arriano c’è una digressione sulle Amazzoni sconfitte da Eracle (il cinto di Ippolita) e da Teseo che respinse la loro invasione. Ma queste, già al tempo di Senofonte che non le incontra, non c’erano più. Il satrapo della Media Atropate offrì ad Al. cento donne cavallerizze iJppikav~…gunai`ka~ (7, 13, 6) vestite da Amazzoni. Ma erano solo delle barbare allenate a cavalcare.
A Ecbatana, capoluogo della Media, Al. organizzò gare ginniche e musicali ma Efestione morì (ottobre 324). Si raccontano molte cose sul dolore di A. per tw/' pavntwn dh; ajnqrwvpwn filtavtw/ (7, 14, 3): è probabile che si sia fatto tagliare i capelli a emulazione di Achille (kata; zh'lon to;n jAcillevw" per il quale sentiva filotimiva rivalità fin da fanciullo (7, 14, 4). Secondo alcuni Al. fece radere al suolo il tempio di Asclepio a Ecbatana, ma questo è un atto consono alla follia di Serse (provsforon…Xevrxou…ajtasqaliva/, 7, 14, 5) che aveva gettato i ceppi sull’Ellesponto.
Agli inviati da Epidauro mandò un’offerta per Asclepio, anche se quel dio, disse, non lo aveva trattato appropriatamente, ejpieikw'", poiché non gli aveva salvato l’amico Efestione che amava come la sua vita. Al. osservò tre giorni di lutto senza mangiare né prendersi cura del proprio corpo, quindi organizzò una gara ginnica e musicale con 3000 partecipanti.
Si dice che questi stwssi, poco tempo dopo, gareggiarono sulla tomba di Al., 10 giugno 323 (7, 14, 10).
Diodoro racconta che Efestione morì in seguito a un’ubriacatura sconsiderata e che in questo periodo lo stratego ateniese Leostene, un uomo che si distingueva per grandezza d’animo, ed era fortemente avverso ad Al. cominciò a preparare quella che sarà la guerra lamiaca raccogliendo al capo Tenaro in Laconia mercenari sbandati e vari nemici del re conquistatore (17, 11).
Sull’amicizia di Al. ed Efestione Diodoro aggiunge che il grande macedone lo amava preferendolo a tutti gli amici, e quando uno degli eteri gli disse che Cratero non lo amava meno di Efestione, Al. rispose che Cratero amava il re, Efestione Alessandro. Olimpiade gli era ostile per gelosia, ma lui osava contraddirla e ricordargli che Al. era più potente di lei (17, 114).
Plutarco scrive che Al. amava Efestione e onorava Cratero, dicendo e ripetendo spesso che Efestione era filalevxandron, Cratero filobasileva (Vita, 47, 11). I due erano gelosi l’uno dell’altro e litigavano spesso, ma Al. li minacciò e li costrinse ad andare d’accordo.
Efestione morì dopo avere mangiato da febbricitante (purevsswn, Vita, 72, 2) un pollo lesso (ajlektruovna eJfqovn) e avere bevuto il vino di un grosso vaso refrigeratore. Al. fece tagliare la criniera a tutti i cavalli e muli e crocifiggere il disgraziato medico (to;n a[qlion ijatro;n ajnestauvrwsen, 72, 3) che pure aveva prescritto al malato un regime rigoroso. Poi, per dimenticare quel dolore, Al. sottomise i Cossei, w{sper ejpi; qhvran kai; kunhgevsion ajnqrwvpwn (72, 4), come se andasse a caccia e a preda di uomini e fece uccidere tutti i giovani in grado di combattere: “tou'to d j JHfaistivwno~ ejnagismo;~ ejkalei'to , questa strage si chiamò sacrificio funebre di Efestione. Anche in questo imitò Achille, come farà pure dal “pio” Enea. Achille scelse dodici giovani, prezzo del sangue di Patroclo, li tirò fuori instupiditi come cerbiatti (Iliade, 21, 26 sgg.).
La pietas spietata di Enea
Durante la battaglia successiva alla morte di Pallante il duce troiano cattura dall'esercito di Turno otto giovani vivi: "viventis rapit inferias quos immolet umbris/captivoque rogi perfundat sanguine flammas"[4], li cattura vivi, per sacrificarli come offerte infernali alle ombre e irrorare le fiamme del rogo con il sangue dei prigionieri.
Pesaro 14 agosto 2024 ore 17, 19 giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1609005
Oggi232
Ieri269
Questo mese4612
Il mese scorso11384
Nessun commento:
Posta un commento