Quando mi amava Ifigenia fissava a lungo il mio volto, poi diceva che era espressivo e bello: stilizzato come quello di un ottimo attore teatrale o di un ritratto eseguito da mano di artista. Quindi mi scrutava i capelli e diceva assai contenta che di tanti nemmeno uno era bianco.
Nel tempo incantato dell’amore l’uno vedeva nell’altro una divinità: lei era Afrodite per me e io non certo Caronte né a Plutone bensì Febo solare oppure Dioniso che guida le danze notturne degli astri infuocati[1].
La nave che si allontanava dalla costa marchigiana mi fece pensare al distacco di ognuna delle mie donne da me. Eppure erano giunte con l’intera persona protesa in atto oblativo. Soprattutto costei.
Pensavo: “Tu sei gravida di rancore perché due anni fa, dopo la delusione subìta e il disincanto seguìti al dolore della tua promessa mancata, ho perso interesse per te dopo nove mesi durante i quali facevamo l’amore anche dentro i cespugli, stretti come gli uccelli.
Finito questo periodo magico, tu sei tornata alle tue fissazioni antiche, alle pulsioni infantili, e ora ti pasci di emozioni contraddittorie ma prevalentemente cattive, con uomini famosi che ti usano come uno strumento mentre tu cerchi a tua volta di usarli. Se di tutto questo tu fossi contenta, non avrei motivo di biasimarti, ma ora vivi con un’angoscia gravosa che fai pesare anche sopra di me.
Sei diventata aggressiva, supertiziosa perché temi il destino. Ma questo non ti perseguita, né io ti opprimo: sei tu che frapponi ostacoli alla tua crescita. Hai l’intelligenza intuitiva e la forza istintiva per progredire, però la parte oscura della tua persona ti nasconde queste qualità e ti spinge ad assecondare gente usa a fare il male più che il bene. Mi sarebbe piaciuto che tu volessi e potessi seguitare a insegnare : avremmo avuto molto in comune.
Tuttavia non ho mai cercato di incepparti il cammino su questa nuova strada impervia e tortuosa che hai preso, senza metodo alcuno per giunta”.
Questo pensavo mentre la nave solcava il mare diretta a sud est. Ogni tanto le lanciavo un’occhiata. Leggeva Hesse, Narciso e Boccadoro, una storia dove si potevano trovare analogie con la nostra. Scorreva le pagine in fretta e furia. Glielo avevo suggerito come un libro buono ma sembrava non le piacesse. Infatti presto smise e iniziò a muovere la punta della matita su un foglio. Una volta disegnava il mio volto e le mie membra che portava sempre dentro di sé, come una madre. Il silenzio durato già troppo a lungo mi opprimeva. Osservavo chi viaggiava solo, pensando: “te beato!”
Quando ebbe alzato la testa dal foglio le domandai: “Ifigenia, vuoi che parliamo un poco?”.
Fece un cenno affermativo abbassando il capo, senza guardarmi.
“Che cosa stai disegnando?”
Mi allungò il foglio: c’erano tanti volti di maschi e di femmine.
Aspettò che l’avessi guardato quindi mi chiese: “Cosa ci trovi?”
“Che non disegni più me”, risposi per riferile la mia impressione immediata.
La prese per una critica malevola e volle contraccambiarla dicendo: “Ecco il narciso di sempre”.
Intendeva malato cronico di narcisismo come mi aveva detto una volta.
A questo replicai dicendo “ sì, può essere, tutto può essere”
Poi aggiunsi: “Se io sono Narciso, tu sei Boccadoro?”
“Sì, anche io come quel giovane voglio staccarmi dal primo maestro e fare altre esperienze. Non voglio sentirmi rinchiusa nel convento o carcere dove vivi tu”.
Tacque un momento, poi finalmente mi guardò. Quindi mi domandò: “tu che cosa ne dici?”
“Sono d’accordo con te che tu debba rendere fruttuosi i talenti di cui gli dèi benigni ti hanno dotata, ma se vuoi raggiungere questo scopo dovresti schivare o saltare gli ostacoli frapposti al raggiungimento delle tue mete. Devi trovare il metodo: la strada adatta alle tue forze se vuoi conseguire i risultati che agogni. Non lasciarti condizionare e indebolire da quelli che vogliono usarti e che tu intendi usare a tua volta: i rapporti strumentali non costruiscono il bene, né la bellezza e non danno gioia.”
Le stavo dicendo con tutta franchezza quello che pensavo della sua situazione, ma Ifigenia non volle ascoltare una parola di più: si alzò di scatto e gridò: “sono stanca dei tuoi psicologismi bolsi e moralistici. Andranno bene per te. Io non voglio più sentirne parlare!”
Quindi sedette di nuovo e riprese a disegnare. “Bellina però”-pensai- poteva andarmi peggio. Essere gettato giù a fluttuare in mezzo alle onde, per esempio”.
Pesaro 25 agosto 2024 ore 11, 35
p. s
Ieri sera ho visto Il Viaggio a Reims che ha concluso il ROF. Ho ammirato fino alle lacrime Vasilisa, mezzosoprano. Quando assisto all’espressione dei grandi talenti piango perché vi ravviso la presenza di Dio. Cerco il divino anche dentro me stesso quando scrivo. Ogni tanto lo trovo e allora non mi sazio di lacrime.
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Il mio talento fa infuriare diversi imbecilli però sono molto più numerosi, sempre più numerosi quelli che mi leggono e mi motivano a scrivere ancora. “let him write again, let him write again!” sembrano dire e ripetere ogni giorno da molte parti del mondo.
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