Argomenti della seconda parte La passeggiata alla malga Peniola e alla cappella della Vergine madre. L'incontro con Flavio"lo strullo". Altre sciate pensose rabbrividendo nel gelo. La camminata sotto le stelle amiche. Tenete lontani i canidi nemici dell’uomo.
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La mattina del 3 marzo sciai; nel pomeriggio, per variare le |
interminabili ore di solitudine, camminavo verso la Malga Panna. |
Quando ci fui arrivato, continuai per il sentiero sdrucciolevole che |
porta alla Malga Peniola. Era una giornata calda e umida: il |
cielo appariva gonfio di nuvole giallognole e acquose; la neve, |
corrosa da un vento dolciastro, si liquefaceva. |
Procedevo guardando gli alberi madidi e la terra fangosa: cercavo |
visioni belle e confortanti: invano. Nell'anima gocciava |
l'angoscia. L'ultima telefonata non era valsa ad ammazzare i tarli |
del mio cervello: continuavo a pensare che di Ifigenia non |
potevo fidarmi. Nessun ragionamento potente o sottile, diritto o |
contorto, valeva a correggere un sentimento così negativo e |
profondo. |
Sbucato dal bosco in una radura, vidi la Malga e la piccola chiesa |
contigua. Una volta, sulla metà degli anni Cinquanta, mi ci avevano portato le zie. Mi |
avvicinai alla cappella. L'uscio era chiavato, ma l'interno si poteva |
vedere da una finestrina quadrata, chiusa soltanto da due sbarre di |
ferro arrugginite e disposte a formare una croce: dentro il |
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minuscolo tempio, di fronte alla rugginosa inferriata, c'era |
un'immagine della deipara vergine. |
"La vergine madre – pensai –, sempre la storia dell'imene. Mentre |
siamo bambini indifesi e suggestionabili, i preti ci impongono una |
schifezza del genere. La madre perfetta fa i figli senza fare |
l'amore. Se li prendi sul serio, quelli ti inibiscono la gioia amorosa |
o te la rovinano con il rimorso. Vogliono dire che mettere al |
mondo un figliolo secondo natura è cosa sporca, |
debolezza e peccato. |
Insozzano ogni venire alla luce. Me l'hanno inculcato quando ero |
piccino. Hanno fatto di tutto perché odiassi l'amore, gettando una |
gran confusione dentro di me". |
A un tratto, dalla malga uscì un uomo di pelle e capelli rossicci; |
mi osservava e sorrideva come si fa con un buon conoscente, poi |
mi venne vicino e domandò se avessi bisogno di qualche cosa. |
"No, guardo soltanto". |
Continuava a sorridermi. Mi accorsi che lo conoscevo e mi tornò in mente il suo nome. |
Venticinque anni prima era un bambino un po’ ritardato. |
"Ciao Flavio – gli feci –, come stai? ti ricordi di me?" |
"No, chi sei?" |
"Sono gianni di Pesaro; negli anni Cinquanta venivo a Moena in |
agosto; abitavo in via Damiano Chiesa. Facevamo le corse intorno |
alla fontana del Turco. Eravamo bambini allora. Che strano |
rivederci qui da adulti!" |
Continuava a sorridere. Teneva le mani in tasca. La stessa |
espressione, lo stesso atteggiamento di allora. Probabilmente |
anche io: in quel tempo ero un bambino spaurito; sembravo |
sempre in procinto di piangere, dicevano alle due zie. |
"Ti posso offrire un bicchiere di vino, Gianni?" |
"Sì grazie, volentieri." Entrammo nella malga deserta e ci |
sedemmo. Mi mostrò una bottiglia: Terodelgo Rotaliano , vino del |
concilio di Trento. Pensai alla pretaglia carnefice dei miei sensi |
amorosi, ma dissi che andava bene, che mi piaceva molto. Riempì |
due bicchieri. |
"Raccontami qualcosa di te e degli altri che giocavano con noi in |
via Damiano Chiesa. Tu che hai fatto in questi anni?" |
Balbettando rispose che aveva servito come facchino in un paio di |
alberghi e aveva visto molta gente, persone per bene. Anche da |
ragazzino non diceva male mai di nessuno. Le zie lo definivano " |
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lo strullo" e mi consigliavano di non frequentarlo. A me non |
dispiaceva: mi insegnava qualcosa con quel suo perpetuo sorriso. |
Rimasi là un paio di ore: mi raccontò alcune storie di ex bambini |
Moenesi e villeggianti, nostri compagni di giochi. Non sentii una parola |
malevola. Gli dissi di me, del mio lavoro con i bambini che mi |
curano l'anima . Poi gli chiesi se potevo invitarlo a cena, non in |
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via Damiano Chiesa purtroppo, ché la casa non era più della zia: il marito l’aveva lasciata ai propri nipoti. |
Rispose che doveva restare lì: custodiva la malga Peniola e la |
chiesa. |
Camminando verso l'albergo mi domandavo se quello "strullo" |
non fosse migliore e meno infelice di me.
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Il quattro marzo era un giorno ventoso, e così freddo da scorticare |
le capre. Era una pena salire con la seggiovia e scendere con gli |
sci, sempre agghiacciato dal vento che soffiava vortici duri di gelo |
sulla mia povera faccia e sui visi cagnazzi[1] |
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degli altri sciatori, |
lividi tutti come le pietre dei monti. Io mi sforzavo di cacciare i |
pensieri cattivi, di ripararmi dalle loro trafitture impietose. Ma |
quelli, sempre vivi , continuavano a pungermi, senza concedermi |
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un momento di tregua. Per contrastarli, mi domandavo:" Cosa |
starà facendo adesso la creatura bella e soave |
amata mihi quantum amabitur nulla?[2] . Camminerà, starà |
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seduta da qualche parte o avrà appoggiato la schiena a una parete? Beate voi sedie |
e pareti che reggete il peso soave di quella ragazza !"[3] |
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Mi sforzavo di evocare sentimenti amorosi attingendo espressioni |
dal mio repertorio di frasi belle e già fatte. Ciò nonostante i |
pensieri malvagi non cessavano di pullulare, non smettevano di |
brulicare nel cervello, quale sciame di insetti molesti o groviglio |
di vermi schifosi. Mormoravo:" Ifigenia non è la mia donna |
ideale: non è luce per me[4] , né io lo sono per lei. Di corpo è bella |
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assai, ma il volto è poco espressivo. Ed è proprio l'intensità dello |
sguardo che mantiene vivo a lungo l'interesse erotico e umano!". |
Il pungiglione della mia critica implacabile superava la |
resistenza delle parole amorose di Catullo, di Shakespeare, di Omero, e |
scendeva a fondo nella carne viva dell'anima, trapanandola senza |
pietà. |
Il pomeriggio si fece vedere il sole che colorì il cielo, la terra e la |
mia faccia, dandomi pure conforto. Pensavo:" Ifigenia è viva e |
composita come questa natura. L'una e l'altra sono fatte di |
splendidissimo sole e di nuvole fosche, di vento aspro e di |
sorridente bonaccia. Del resto la pena e la gioia circolano per tutti |
gli uomini come i continui giri delle stagioni che portano, quindi portano via tutto. Non rimangono fisse per i |
mortali né la notte stellata, né la sorte cattiva, né la salute, ma |
rapidamente fuggono via ". |
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La sera le riferii soltanto il meglio di ciò che avevo pensato. |
Disse:"Tu sei intelligente gianni. Io ti amo". |
"Anche io" conclusi. |
In quel momento ero sincero. Se era capace di apprezzare la mia |
intelligenza, non poteva che amarmi. |
Quella notte il cielo era tutto sereno e le stelle brillavano con |
speciale vigore sopra la valle di Fassa. Uscii e scesi verso Moena. |
Arrivato in paese, cominciai a risalire la china dall'altra parte del |
fiume, lungo la via dalla quale il pomeriggio del giorno prima |
avevo osservato un cielo umido e sporco, quasi fangoso. Sotto il |
firmamento pulito, la terra era diversa, e io mi sentivo un'altra |
persona. Dopo il cimitero, il viottolo non era più illuminato da |
lampadine, sicché, camminando, potevo contemplare le stelle |
senza disturbo: erano splendidissime come la mia compagna |
vivace. |
Passato il paesino di Sorte, c'è un chilometro di buio solitario e |
scosceso. Si udivano ululati cupi di lupi, un rauco ringhiare di cani e lugubri versi di strigi. Altre volte, |
percorrendo quel sentiero ripido e tetro, avevo pensato con orrore |
ai miei fallimenti sentimentali, all'isolamento affettivo e sociale in |
cui mi trovavo, all'ora terribile della mia morte senza conforto di |
donna e di figli. E avevo avuto paura. In quel momento invece |
. |
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nulla mi sbigottiva: né i latrati insistenti e aborriti dei canidi, né la mia solitudine |
eterna. |
Sentivo una forza lietificante dentro di me, una luce di amore e di |
giustizia che mi consolava dei fallimenti parziali e mi rendeva |
sicuro del bene che avrei fatto durante il resto della mia vita |
mortale. La questione della verginità e della condizione economica |
di Ifigenia, di qualsiasi donna, diventava ridicola e falsa. |
Poteva riguardare i ministri perversi di una religione corrotta e |
capovolta, non me, non Dio, né Gesù Cristo e sua madre. |
Dovevo usare il metro dell'intelligenza e dei sensi per misurare la |
mia compagna, non i luoghi comuni. |
Queste erano le riflessioni giuste, poiché mi davano forza e |
coraggio. Gli ululati, che pure si facevano più rumorosi, minacciosi e |
frequenti, non mi impaurivano. Continuavo a guardare le fiaccole |
vive del cielo dove vedevo riflessa l'anima della mia donna; |
osservavo le montagne scure, slanciate e profumate come i capelli, |
la figura, la pelle di lei. Anche in me c'era un'anima viva che si |
sentiva in armonia con la santa natura. Pesaro 29 agosto 2024 ore 10, 53 giovanni ghiselli p. s Statistiche del blog Sempre1614464 Oggi115 Ieri352 Questo mese10071 Il mese scorso11384
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Cfr. Dante, Inferno, XXXII, 70-72:"Poscia vid'io mille visi cagnazzi/fatti per
freddo; onde mi vien riprezzo,/e verrà sempre, de' gelati guazzi “
[2] Catullo, 8, 5.Amata da me quanto nessuna mai lo sarà.
[3] Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, I, 5:"O happy horse, to bear the weight
of Antony!", beato cavallo che porti il peso di Antonio!
[4] Cfr. Iliade, XVIII, 102.
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