Intanto Besso imperversa ubriaco durante un banchetto. Comincia accusando Dario di ottusità e inerzia: “ dicere ordītur socordiā Darei crevisse hostium famam” (7, 4, 3). Questo satrapo avrebbe voluto ritirarsi nella Sogdiana oltre l’Oxo-Amu Daria.
Sarebbero arrivati Indiani e Sciti dall’oltre Tanai ( qui si tratta dello Iaxarte-Syr Daria, altrove del Don). Erano giganti in confronto ai Macedoni che gli arrivavano alle spalle (7, 4, 6). Si può pensare all’Odisseo dell’Iliade[1].
A questo banchetto partecipava Gobares che si vantava di competenza nella magica ars, l’arte della magia, si modo ars est, non vanissimi cuiusque ludibrium (7, 4, 8) non uno scherno da impostori. Mi fa pensare a certe medicine alternative, all’intelligenza artificiale e così via.
Del resto era moderatus et probus. Parlò liberamente e saggiamente: “Turbida sunt consilia eorum, qui sibi suadent ” (7, 4, 11), sono confusi i consigli di quelli che si consultano con se stessi. Consilio non impetu opus est (12), ci vuole riflessione non impulsività. Curzio aggiunge alcune sentenze di Gobares, affinché la sapienza dei barbari, quale che sia, venga tramandata: “canem timidum vehementius latrare quam mordēre, altissima quaeque flumina minimo sono labi ” (7, 4, 13), il cane pauroso abbaia più forte di quanto non morda, i fiumi più profondi scorrono con il minimo rumore. “Nobilis equus umbrā quoque virgae regitur, ignavus ne calcāri quidem concitari potest” (19).
A Besso tali sentenza non piacquero, quindo tentò di uccidere Gobares che fuggì da Al.
Besso fugge oltre il fiume Oxo. Al. giunse a Battra alle falde del Parapamiso. Qui Al. seppe che gli Spartani si erano ribellati e che gli Sciti andavano in aiuto di Besso. Duello tra Satibarzane, capo degli Arii, e il macedone Erigio che canitiem ostentans (34) lo sconfisse infilandogli la sarissa nella gola.
Curzio VII 5.
Al. passa nella Sogdiana (Uzbekistan). Erano tormentati dalla sete. Al. dà prova di magnitudo animi rifiutando di bere acqua che gli venne offerta quando non ce n’era per tutti: “nec solus-inquit-bibere sustineo nec tam exiguum dividere omnibus possum” (7, 5, 12), e restituì il boccale che gli avevano offerto due padri i quali stavano portando acqua ai figli.
Al. in questo è esemplare ed emblematico come deve essere un capo.
Plutarco racconta che Al. non bevve dicendo: se bevo io solo, questi si scoraggeranno: “a}n ga;r aujto;~ e[fh pivw movno~, ajqumhvsousin ou|toi” (Vita, 42, 9). Con un tal re i suoi soldati non sentivano nemmeno la stanchezza e si consideravano immortali (Vita, 42, 10).
Molti morirono bevendo smodatamente l’acqua dell’Oxo-Amu Daria, mentre lui rimase con la corazza nec aut cibo refectus aut potu (15). Passarono il fiume su otri pieni di paglia.
La morte di Besso a Bactra 329..
Besso fu incatenato da Spitamene che aveva ricevuto benefici da lui: “nullis meritis perfidiă mitigari potest ” (7, 5, 19), la perfidia non può essere mitigata da nessun beneficio. La perfidia di Besso si è ritorta contro di lui. Viene ucciso a Bactra. La Battriana si trova a sud della Sogdiana,
La perfidia è una divinità per i servi: nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini[2] al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la santa protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la Malafede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida.
.
Al. fece strage dei Branchidi di Battriana (a sud della Sogdiana). I loro antenati avevano devoluto a Serse i tesori del tempio di Apollo, a Didime vicino a Mileto[3]. Ebbene il massacro dei Branchidi secondo Curzio non fu iusta ultio (7, 5, 35) poiché questi discendenti furono puniti per una colpa non loro.
Alessandro viene ferito da una freccia in mezzo a una gamba mentre assedia i barbari delle montagne: sagittā ictus est, quae in medio crure fixa reliquerat spiculum (7, 6, 3). Il giorno dopo i barbari mandarono ambasciatori e Al. si sbendò la gamba magnitudinem vulneris dissimulans (7, 6, 5).
Fa parte del ruolo eroico dissimulare la debolezza. In Guerra e pace di Tolstoj Il principe Andrej chiede al padre: “come va la vostra salute?” E il vecchio risponde: “Mio caro, solo gli stupidi e i viziosi si ammalano. Tu però mi conosci: dalla mattina alla sera sono occupato, sobrio, e quindi sano”[4].
I barbari impressionati lo adulavano: la ferita è un sacrilegio, solo i sacrileghi combattono contro gli dèi: “cum dis enim pugnare sacrilegos tantum” (7, 6, 6). Quindi si sottomisero. Al arrivò a Maracanda dove lasciò un presidio. Vi fu una ribellione di Sogdiani e Battriani fomentata da Spitamene e Catane. Poi Al. assediò una città di Memaceni nei pressi dello Iaxarte e anche Ciropoli fondata da Ciro il Grande che egli ammirava come ammirava Semiramide poiché si erano distinti per grandezza d’animo e lo splendore delle imprese: “quos et magnitudine animi et claritate rerum longe emĭcuisse credebat” (7, 6, 20). A Semiramide, sposa di Nino, Curzio attribuisce la fondazione di Babilonia.
L’ira
Alessandro irato con i Memacemi rase al suolo la loro città presso il fiume Iaxarte. Anche qui però ricevette una ferita: un sasso lo colpì alla nuca e gli abbagliò la vista (22). Ma il Macedone era invictus adversus ea quae cetera terrent (7, 6, 23), e, sebbene non guarito, perseverò nell’assedio naturalem celeritatem irā concitante (7, 6, 23).
L’ira può essere propulsiva, come afferma Aristotele in Seneca che lo confuta: “Ira-inquit Aristoteles-necessaria est, nec quicquam sine illa expugnari potest nisi illa implet animum et spiritum accendit; utendum autem illā est non ut duce sed ut milite.
Quod est falsum; nam si exaudit (ascolta) rationem sequiturque quā ducitur , iam non est ira” ( De ira, 1, 9, 2).
Intanto il traditore Spitamene si era rinchiuso in Maracanda da dove aveva cacciato la guarnigione. Al. fondò un’Alessandria sul Tanai (Iaxarte). Dovrebbe essere l’ejscavth (329-328 a. C.), l’ultima, l’estrema.
Gli Sciti del Tanai (Syr Daria, Uzbekistan). 328.
Al. si appresta a combattere gli Sciti del Tanai- il Don- che divideva l’Asia dall’Europa. Ma non si era rimesso dalla ferita, e tornò alla superstizione dalla quale si era emancipato dopo avere vinto Dario: “rursus ad superstitionem, humanarum mentium ludibria, revolutus” (7, 7, 8), impostura ingannevole della mente umana.
Dante tuttavia le erige un monumento
Al. chiese all’indovino Aristandro cui credulitatem suam addixerat (7, 7, 8) cui aveva aggiudicato la sua credulità, di esaminare le viscere. Quindi Al. parlò agli amici, con poca voce. Disse: “necessitas ante rationem est ” (7, 7, 10). I Battriani sono in rivolta: se passeremo il Tanai e sottometteremo gli Sciti sanguinosamente, anche i ribelli desisteranno. Ma i Macedoni non erano convinti: oltretutto Al. aveva un aspetto da malato. Erigio, capo della cavalleria, incontrò Aristandro che portava il responso negativo delle viscere (tristia exta, 7, 7, 22) se lo fece dare e lo sbandierò. Al. era turbato. non ira solum sed etiam pudore confusus, quod superstitio, quam celaverat, detegebatur (7, 7, 23) poiché era svelata la superstizione che aveva nascosto. Rimproverò Aristandro che aveva svelato arcana mea et secreta (24). Aristandro se la cavò dicendo che non temeva una sconfitta ma era preoccupato per la salute del re: “quantum in uno te sit scio” 27, so che il successo dipende solo da te. Al. rabbonito iussit eum confidere felicitati suae: ad alia aliis, sibi ad gloriam concedere deos (28), agli altri per altri fini, a lui la fortuna gli dèi la concedevano per la gloria. Intanto Menedemo che dirigeva l’assedio al battriano Spitamene subì un’imboscata e fu ucciso. Al. si fece vedere armato dai soldati, cosa che li rincuorò e stimolò a fare la guerra (7, 8, 5). Arrivarono ambasciatori Sciti e fissarono Al. stupiti: “credo, quia magnitudine corporis animum aestimantibus modicus habitus haudquaquam famae par videbatur” (7, 8, 10) la corporatura modesta non sembrava all’altezza della fama. Lo Pseudi Callistene sostiene che non avrebbe superato i tre cubiti, i 140 centimetri. Meno di Giacomo Leopardo (141cm.)
Gli Sciti però non sono rozzi e primitivi come gli altri barbari (cfr, i Parapamisadae , 7, 3, 6).
Gli Sciti fanno un discorso saggio che smonta l’automitopoiesi di Alessandro.
Se fossi grande quanto sei avido, il mondo non ti conterrebbe: sic concupiscis quae non capis (7, 8, 13), così desideri ciò che non arrivi a prendere. Vide ne…decĭdas (7, 8, 14) Stai attento a non cadere dalla cima dell’albero con i rami cui ti sarai impigliato. Quid nobis tecum est?[5] (16).
Noi non abbiamo invaso la tua terra: “Nec servire ulli possumus nec imperare desideramus” (7, 8, 16).
Cfr Otane che nel dibattito costituzionale tra i nobili persiani, essendo prevalsa la monarchia, non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato
“Dona nobis data sunt, ne Scytharum gentem ignōres, iugum boum et aratrum, sagitta, hasta, patĕra” (7, 8, 17), sono contadini, guerrieri e sacerdoti. Offriamo i prodotti della terra agli amici, mentre i nemici li attacchiamo, da lontano con le frecce, da vicino con le lance.
Erodoto racconta tra le cose non credibili che durante il regno dei figli di Targitao, capostipite degli Sciti, caddero dal cielo degli oggetti d’oro: “a[rotro;n te kai; zugo;n kai; savgarin kai; fiavlhn” (4, 5, 3) un aratro, un giogo, un’ascia e una coppa. Simboleggiano probabilmente le caste di contadini, guerrieri e sacerdoti.
Tu che ti vanti di venire a caccia di predoni omnium gentium, quas adistis, latro es[6] (7, 8, 19).
Il nostro paese è sconfinato, la tua fortuna no: “Prōīnde fortunam tuam pressis manibus tene: lubrĭca est nec invita teneri potest…impone felicitati tuae frenos, facilius illam reges” (7, 8, 25).
Noi diciamo che la Fortuna è senza piedi: possiede solo mani e ali: “cum manus porrĭgit, pinnas quoque comprehende” (7, 8, 25), quando ti porge le mani, afferrale anche le ali.
Denique, si deus es, tribuere mortalibus beneficia debes, non sua eripere; sin autem homo es, id quod es, semper esse te cogita: stultum est eorum meminisse, propter quae tui obliviscaris, ”, pensa sempre di esserlo: è da stolti ricordare le cose per le quali dimentichi il tuo stato (26).
Cfr. Seneca : « Illi mors gravis incǔbat,/qui, notus nimis omnibus,/ignotus moritur sibi" (Thyestes, vv. 401-403).
Noi non giuriamo sugli dèi: “nos religionem in ipsa fide ponimus: qui non reverentur homines, fallunt deos” (7, 8, 29), quelli che non rispettano gli uomini, ingannano gli dèi.
La fides dunque come essenza della religio. Ha la forza del sacro. Questo valore forte degli Sciti è tale anche per i Romani e anche per il re macedone.
Quindi Al. passa il fiume Tanai e sconfigge gli Sciti. Non stava ancora bene, ma “ ipse rex, quod vigoris aegro adhuc corpori deerat, animi firmitate supplebat” (7, 8, 11) sostituiva con il vigore dell’animo. Fu clemente con gli sconfitti lasciandoli andare senza esigere alcun riscatto. Quindi mosse verso Maracanda mentre Spitamene fuggiva a Battra. Fece 300 chilometri in quattro giorni. In Sogdiana trenta prigionieri della regione condannati a morte si misero a cantare e a danzare. Interrogati dissero che celebravano con giubilo una morte onorata inflitta da tanto eroe. Al. li graziò e quelli gli furono fedeli (7, 10).
Al. poi andò a Bactra e mandò Besso a Ecbatana perché venisse giustiziato.
Quindi rafforzò l’esercito e arrivò sul fiume Oxo (Amu Daria). Si stentava a trovare acqua potabile. Infine una sorgente scoperta sotto la tenda del re fu interpretata come dono degli dèi “rexque ipse credi voluit deum donum id fuisse” (7, 10, 14; cfr. Arriano 4, 15, 7).
La scalata dei 5000 metri
Attraversato l’Oxo, Alessandro arrivò a Margiana (sud ovest della Sogdiana). Rimaneva da conquistare una rupe di 5000 metri, scoscesa. Sembrava imprendibile: “cupido deinde incessit animo naturam quoque fatigandi” (7, 11, 4). Volle forzare anche la natura.
Al pari di Prometeo. Del resto Al. fa storia e “la storia si fa sempre andando controcorrente rispetto all natura”[7].
Anche i grandi artisti possono andare contro la tradizione. Come Euripide contro la religione delfica. O contro le mode culturali: come Sofocle contro la sofistica
U. Galimberti ricorda alcuni versi del Prometeo incatenato a proposito della catastrofe che ha colpito l'Asia il 26 dicembre 2004:“Prometeo, amico degli uomini e inventore delle tecniche, dà la sua risposta lapidaria:"La tecnica è di gran lunga più debole della necessità che governa le leggi della natura". Così riferisce Eschilo nel Prometeo incatenato[8], e Sofocle, di rincalzo, nell'Antigone dice che l'aratro ferisce la terra, ma questa si ricompone dopo il suo passaggio. Allo stesso modo la nave fende la calma trasognata del mare, ma le acque si ricompongono perché la natura è sovrana. Noi abbiamo dimenticato la sovranità della natura…Fedeli esecutori del comando biblico che invitava Adamo al dominio della terra, abbiamo trasformato il suo uso in usura…La terra per noi è diventata materia prima e niente di più, il suolo coltre da perforare per estrarre energia dal sottosuolo, la foresta legname da utilizzare, la montagna cava di pietra, il fiume energia da imbrigliare, il mare riserva da esplorare per futuri sfruttamenti, l'aria spazio dove scaricare i veleni rarefatti delle nostre opere…Non dimentichiamoci la potenza della natura e non abituiamoci a pensare che essa non è altro che materia prima, o deposito di rifiuti"[9].
Al. mandò il fedele Cofes, figlio di Artabazo, da Arimaze signorotto della Sogdiana il quale domandò se Al. sapesse anche volare. Al. sentendosi canzonato si infuriò e denunciò ai suoi consiglieri insolentiam barbari eludentis ipsos, quia pinnas non haberent (7, 11, 6), l’insolenza del barbaro che li sbeffeggiava poiché non avevano le ali. Scelse trecento giovani scalatori praestantes et levitate corporum et ardore animorum (8). Disse loro: “Nihil tam alte natura consituit, quo virtus non possit enīti (10) dove la virtù non possa arrampicarsi a fatica. Al. promise premi e i giovani si attrezzarono con ramponi di ferro da ficcare tra le rocce. La scalata fu difficilissima: alcuni precipitarono nel vuoto. Ne morirono 32. Arrivati in cima, fecero segni con dei veli. Cofes li mostrò ad Arimaze dalla caverna dove si trovavano: “iuvenes in cacumine ostendit et eius superbiae haud immerito inlūdens, e sbeffeggiando a buon diritto la sua alterigia, pinnas habere ait milites” (7, 11, 24). Suonarono le trombe dei Macedoni: “ea res, sicut plerăque belli vana et inania, barbaros ad deditionem traxit” (25), questo come la maggior parte delle cose, vane e insignificanti in guerra, era un bluff poiché sulla cima c’erano pochi uomini ma funzionò. I barbari si arresero. Arimaze fu crocifisso. La moltitudine venne divisa e distribuita tra gli abitanti di altre città. Vennero poi sottomessi Massageti, Dai e Sogdiani, quindi Al. tornò a Maracanda.
Pesaro 7 agosto 2024 ore 11, 35 giovanni ghiselli
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[1] Nel terzo canto Priamo chiede a Elena di identificare i capi dei guerrieri Achei visibili dalla torre presso le porte Scee; uno gli parve "meivwn me;n kefalh'/ jAgamevmnono" jAtreïdao,/ eujruvtero" d& w[moisin ijde; stevrnoisin ijdevsqai"(vv. 193-194), più piccolo della testa di Agamennone Atride, ma più largo di spalle e di petto a vedersi. La maliarda rispose che quello era Odisseo esperto di ogni sorta di inganni e di accorti pensieri (v. 202).
[2] Plauto visse tra il 255 ca e il 184 a. C.
[3] Nel V libro di Erodoto, Dario comincia ad avvicinarsi alla Grecia conquistando la Tracia. Nel 500 Aristagora depone la tirannide di Mileto e si accinge ad alzare la bandiera della rivolta; Ecateo, il primo logografo, nato verso il 550, allora sconsiglia Aristagora per la sproporzione delle forze, e siccome questo parere non viene seguito, gli suggerisce di impiegare almeno i tesori del tempio dei Branchidi di Didime,"quelli che Creso, re di Lidia aveva dedicato" ad Apollo, per equipaggiare una flotta " o{kw" naukrateve" th'" qalavssh" e[sontai"(V, 36, 2), in modo da essere padroni del mare" . Nemmeno questo suggerimento viene accolto. Quindi Aristagora si reca a cercare aiuti per le città ioniche della costa asiatica in rivolta a Sparta e ad Atene. La prima si rifiuta, la seconda manda soltanto venti navi, che comunque " ajrch; kakw'n ejgevnonto {Ellhsiv te kai; barbavroisi"(V, 97, 3) furono principio di mali per i Greci e per i barbari.
[4] Tolstoj, Guerra e pace, p. 146.
[5] Cfr : “Quid mihi et tibi mulier?” (Giovanni, 2, 4). Parole di Cristo alla madre.
[6] I Romani secondo Calgaco sono :"Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt (Tacito, Agricola, 30). Così pure il Mitridate di Sallustio che nelle Historiae[6], scrive al re dei Parti Arsace una lettera anti-imperialista :"Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum "( Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4), come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?
[7] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 132
[8] Cfr. v. 514 (n. d. r.)
[9] U. Galimberti, La natura inumana, in "la Repubblica" 27 dicembre 2004, p. 23.
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