Diverse ore di viaggio. Sul canale di Corinto cala la notte mentre sale rossa la luna. Alle nove arriviamo nella città di Pericle. Dopo cena un gruppo di ragazze e ragazzi mi chiede se voglio accompagnarli in centro. Possiamo sederci in un locale e scambiarci delle impressioni sul viaggio, se voglio.
“Come no? Anzi, speravo in un’occasione del genere”.
Ci troviamo nell’atrio dell’albergo: siamo tredici. C’è anche una collega intelligente e simpatica. Tuttavia non la concupisco.
E’ troppo seria: non fa per me.
Prendiamo tre taxi. Il centro dista quattro chilometri. In gita scolastica generalmente ci fanno dormire in periferia. A me piace il centro perché faccio una vita da anacoreta: passo gran parte delle mie giornate studiando, pensando, scrivendo, da solo se non è di passaggio un’amante, e quando esco voglio osservare la gente che va e viene. Solitario in casa, se non mi allieta o mi disturba una donna, ma studioso delle persone quando esco sulle vie e le piazze. La vita politica, per la polis e nella polis è necessaria all’ animale politico che sono.
Ci ritroviamo tutti nella piazzetta concordata e sediamo in un locale non rumoroso, Chiediamo da bere. Ottima è l’acqua, buona è la birra greca Mythos dal nome attraente per esempio, e la Coca Cola è bandita. Propongo l’argomento della conversazione: analogie e differenze tra gli adolescenti e gli adulti.
L’analogia evidente è che tutti cerchiamo l’amore, compresi i vecchi. Parlano i ragazzi per primi. Uno dice che spera di non diventare come la maggio parte degli adulti ordinari, usuali: sono svuotati di entusiasmo, di sentimenti forti, della capacità di stupirsi.
Una ragazza aggiunge che li vede con le facce sempre coperte da maschere che non si lasciano togliere nemmeno dal dolore che dovrebbe eripere personam ut maneat res. Le dico brava per la citazione quasi lucreziana.
Quando vengo invitato a parlare dico che nemmeno la gioventù è ineccepibile: si presenta esibendo tante pose diverse siccome cerca l’identità da assumere e simula la sicurezza che non ha, ripetendo spesso quanto ha sentito dire da personaggi considerati autorevoli. Del resto siamo stati tutti siffatti alla loro età
“Come se ne esce?” mi domandano. “Un poco alla volta-rispondo- osservando, pensando, leggendo libri buoni, vedendo ottimi film, parlando e scambiandosi idèe. Insomma vivendo umanamente e umanisticamente, come ci insegnano i classici con i loro nobili loci, i tovpoi gli argumenta quae transferri in multas causas possunt. Guardandosi dal condividere quanto si dice da parte dei media se non ci piace né ci convince. Coltivando lo spirito critico verso ogni pubblicità e propaganda utile a chi le diffonde, spesso dannosa per chi se ne imbeve la mente.
Voi giovani avete il vantaggio di essere meno sclerotizzati e irrigiditi nel corpo e nella mente: tenetevi sempre in forma agile e snella praticando ogni giorno ore di studio e di sport. Vi ho osservato durante questo viaggio e ho notato che avete le anime aperte al bello e al buono che la kalokajgaqiva dei Greci, intendentissimi della bellezza,non separa.
Davanti alle sculture del maestro di Olimpia vi ho visti attenti e commossi e questa sera avete voluto confrontarvi con noi due ex ragazzi”.
Gli studenti hanno annuito e la collega li ha approvati. Ha parlato pochissimo invero. Peccato: l’avrei ascoltata. Ma gli studenti mi interessavano di più.
“Dunque-ho aggiunto-non siete rimasti indifferenti al bello e al sacro. Questo significa che siete sensibili e predisposti a tali valori e pure che il vostro senso estetico è stato educato poiché la commozione davanti all’Apollo del maestro di Olimpia non si improvvisa. Io so pochissimo di arti figurative, però la prima volta che vidi le statue di quel frontone sublime mi venne in mente la lotta tra il caos perdente e il cosmo vincente, grazie alle letture di Esiodo, di Eschilo, della storiografia, insomma del sapere e della sapienza ricevuta dai maestri della parola. Un’educazione partita dalla scuola, Quando questa non c’è o funziona male, i ragazzi vengono condizionati a considerare i miseri quattrini misura di tutte le cose”.
Dopo tale lezioncina siamo tornati a piedi camminando a lungo per il piacere di passare altro tempo insieme.
Ero così lieto delle parole buone scambiate con loro che poco prima di entrare nell’albergo alzai gli occhi al cielo stellato sopra di me per ringraziare l’artista creatore. Ebbene il buon Dio forse per mettere a dura prova la mia salute corporea e la forza morale mi ha indotto ad alzare gli occhi verso la volta suprema senza avere prima gettato un’occhiata davanti a me dove c’era un vaso grande, pietroso o forse di coccio, un ostacolo-provblhma- da schivare.
Il vaso come problema dunque, la distrazione come problema, quindi la salute come problema.
Insomma ho sbattuto con forza contro quel vaso l’osso della gamba destra sotto il ginocchio. Ho sentito un dolore acuto, tremendo. A stento non sono caduto urlando dal male. Non volevo dare uno spettacolo tragicomico di stupidità e debolezza. I ragazzi però hanno visto a capito tutto. Dovevo essere livido in volto. Mi hanno domandato se mi ero fatto male. “Non tanto-ho risposto- ho dato una botta ma spero che sia solo un graffio. Dopo ci guardo”. In realtà la gamba ferita non reggeva il mio peso sebbene leggero. Sono arrivato all’ascensore appoggiandomi sulla gamba sinistra e sulle braccia tese alle pareti con le mani aperte, una specie di preghiera pagana. Ero quasi sicuro di essermi rotto la tibia. “Dio fai che non”,
Sono entrato nel bagno per esaminare la ferita alla luce da ospedale del neon. La gamba era livida e gonfia sotto il ginocchio. Doloroso era toccarla, spaventoso guardarla. Di fratture me ne intendevo già allora purtroppo. L’osso doveva essere per lo meno incrinato sotto quel tumore bluastro. “Questo viaggio per me è finito”, pensai
Domani, se starò ancora tanto male mi farò portare in ospedale”.
Mi venne in mente la madre mia santa che mi diceva: “sei un bischero”, come usava nella sua Sansepolcro, ogni volta che tornavo a casa ferito. Se guarivo presto invece diceva: “bravo Gianni per la tua grande salute. Ringraziami: l’hai presa da me!”. La abbracciavo tutto contento. Non so se gradiva, comunque non me lo dava a vedere. Quando la mamma è un problema, tutto diventa problematico per il bambino che l’ama.
La zia Giulia invece diceva: “non sei mai stato prudente, Giannetto!”
La zia Rina, la più attempata e dura, detta la badessa dalla stessa madre sua, mi diceva: “tu sei bravo a scuola ma nella vita sei un deficiente!”
Donne assai care al cuore nonostante tutto. Devo molto a loro. Non tutto ma quasi. Gli uomini in casa mia contavano poco, quasi niente. Ecco perché ho sempre amato e imitato le donne.
Pesaro 8 agosto 2024 ore 11. giovanni ghiselli detto giannetto fino alla quinta elementare poi gianni.
Eppure sono talmente devoto all’onesto Giovanni Battista che volle viver solo e per salti fu tratto al martiro, ch’io non conosco il Pescator né Polo.
p. s.
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