Al. con l’elogio della guerra suscitò l’entusiasmo dei soldati e procedette per l’Ircania (VI, 4). Si trova a sud del Caspio. Gli Ircani vengono chiamati da Curzio gens bellicosa (VI, 4, 15).
Cicerone ricorda tra gli errores nationum il costume degli Ircani di darsi sepoltura allevando cani che mangiano i morti (Tusc. I, 45).
Nabarzane , complice di Besso, scrive ad Al. una lettera con luoghi comuni filosofici (patriam esse ubicumque vir fortis sedem sibi elegerit, 13) , giustificazioni e con grandi adulazioni: se Al. giurava sugli dèi, lui si fidava: “deos a deo falli non solēre” (6, 4, 12), gli dèi di solito non vengono ingannati da un dio.
Al. promise. Poi il Mare Caspium dulcius ceteris-dalle acque più dolci degli altri mari-, ingentis magnitudinis serpentes alit e pure pesci di strani colori (6, 4, 18). La terra lontana e strana nutre mostri. Però c’è anche frutta e uva e un albero del miele (21).
Frataferne satrapo dell’Ircania gli andò incontro e Al. lo accolse.
Artabazo e la fides.
In Ircania ad A. si presentò Artabazo che era stato fedelissimo a Dario e questa fides conservata in regem suum ad ultimum vincebat hospitii pignora (6, 5, 2) i pegni di ospitalità, poiché Artabazo, esiliato un tempo da Oco, era stato ospite di Filippo.
Importanza della fides. Un valore più romano che greco.
Cicerone nel De officiis [1] ne dà una definizione " Fundamentum autem est iustitiae fides, id est dictorum conventorumque constantia et veritas " (I, 23), orbene la fides è il fondamento della giustizia, cioè la fermezza e la veridicità delle parole e dei patti convenuti. Fides è il rispetto del foedus. "Foedus e fides sono legati etimologicamente: foedus è "l'accordo", il trattato stipulato secondo le sacre regole della fides "[2].
Artabazo era un vecchio con nove figli. Al. che di solito andava a piedi gli usò la cortesia di andare a cavallo ne, ipso ingrediente pedibus, senex equo vehi erubesceret. (6, 5, 5). Un caso di delicatezza d’animo. Artabazo gli aveva consegnato dei Greci. L’ateniese Democrate, accanito avversario dei Macedoni, si uccise, gli altri furono rimandati in Grecia, praeter Lacedemonios quos tradi in custodiam iussit (10). Poi Al assoggettò i Mardi al confine ovest con l’Ircania, a sud del Caspio. Andò a caccia di loro come di bestie selvagge: “Ille, venantium modo, latibula scrutatus plerosque confōdit” (6, 5, 17), frugate le loro tane, come i cacciatori, ne infilzò parecchi. Si sottrae l’umanità al nemico che si vuole uccidere.
“Ansanti li vede, quai trepide fere,
irsuti per tema le fulve
criniere, 20
le note latebre del covo cercar” (Manzoni, Adelchi,
Coro dell’Atto III)
Sparì il cavallo Bucefalo che Al. amava più di ogni altro animale. Non sopportava di portare nessun altro cavaliere. Minacciati, i Mardi glielo riportarono (6, 5, 19).
Si presentò Nabarzane, il complice di Besso, con un eunuco di straordinaria bellezza: “ Bagōas specie singulari spado atque in ipso flore pueritiae, cui et Darēus adsuetus fuerat et mox Alexander adsuevit” (6, 5, 23), intimo di entrambi insomma. Cfr. X, 1, 25: qui Alexandrum obsequio corporis devinxerat sibi, concedendogli il corpo. Per intercessione di Bagòas, Nabarzene fu perdonato.
Le Amazoni.
Sempre al confine con l’Ircania c’erano le Amazoni che abitavano presso il Termodonte (VI, 5, 24; cfr. Erodoto 9, 27, 4). La loro regina Talestri dominava tra il Caucaso e il Fasi che come il Termodonte sfocia nel mar Nero dopo avere attraversato la Colchide. La regina era cupidine visendi regis accensa (6, 5, 25). Gli fece sapere di essere adeundi eius cognoscendique avidam (6, 26), smaniosa di incontrarlo e conoscerlo.
Plutarco dice che alcuni storici tra cui Onesicrito che era anche timoniere di Alessandro danno questa notizia, ma Tolomeo, Aristobulo, Duride di Samo e altri avvertono che questa è un’invenzione (plavsma, Vita, 46).
Non appena in vista del re: equo ipsa desiluit duas lancĕas dextera praefĕrens (6, 5, 26) mettendo in mostra due lance.
Hanno la mammella sinistra per allattare le figlie, la destra la bruciano aduritur dextera (28) per usare l’arco. Talestri fissava Al. interrito vultu, con sguardo impavido, scrutando l’aspetto (habitum eius oculis perlustrans) di A. haudquaquam rerum famae parem (VI, 5, 29) per niente all’altezza della fame delle sue gesta.
I barbari infatti venerano la maestà del corpo e considerano capaci di grandi imprese solo quelli che la natura si degnò di gratificare eximia specie. Al. dunque non era bellissimo né maestoso e si può assimilare allo stratego pieno di cuore di Archiloco. Del resto la regina, richiesta di cosa volesse, non esitò a confessare ad communicandos cum rege liberos se venisse, per avere dei figli in comune.
Niente attira le donne come il successo mentre non perdonano l’insuccesso. "Le donne non perdonano l'insuccesso", dice bene Kostantin, il ragazzo suicida di Il gabbiano [3] di Cechov.
"Se una donna non tradisce, è perché non le conviene" sostiene Pavese[4]. Inoltre:"Le puttane battono a soldi. Ma quale donna si dà altro che a ragion veduta?"[5].
Ella avrebbe tenuto per sé le femmine e dati a lui i maschi quali degni eredi dell’impero. Al. voleva arruolarla, ma prevalse la acrior ad Venerem feminae cupido quam regis (forse acrior ad Martem), e il re rimase 13 giorni in obsequium desiderii eius (6, 5, 32) per soddisfare il desiderio di lei.
Diodoro racconta che Talestri disse ad Al. che era andata da lui per avere un figlio: egli era l’uomo migliore per le sue imprese, e lei superava le donne per forza e coraggio: era verosimile che un figlio nato da una prima donna e da un primo uomo avrebbe superato in valore gli altri esseri umani (17, 77).
Curzio, VI 6.
Ancora sui vizi di Al.
Il re cambiò le virtù della continenza e moderazione in superbia e dissolutezza: continentiamque et moderationem in superbiam ac lasciviam[6]. (VI, 6, 1).
Al. imitava la magnificenza persiana. Voleva vedere i vincitori di tante genti iacēre humi venerabundos ipsum (3). Si mise sul capo un purpureum diadēma distinctum albo, una benda regale purpurea guarnita di bianco, come Dario, e si vestì alla persiana senza temere l’omen di indossare l’abito del vinto (6, 6, 4).
Cfr. Orazio: “Persicos odi, puer, apparatus” (carm. I, 38, 1), odio ragazzo lo sfarzo persiano.
Determinismo vestiario: Cum illis, quoque mores induerat (5).
Usava due anelli per sigillare: ut appareret unum animum duorum non capĕre fortunam, perché fosse evidente che una sola vita non può contenere la fortuna di due. Insomma lui aveva due vite.
L’abbondanza degli anelli del resto può far pensare a Trimalchione.
Alessandro Aveva imposto le vesti persiane anche ad amici e cavalieri aspernantes quidem, sed recusare non ausos, riluttavano ma non osavano ricusare (VI, 6, 7). Aspernor è deponente.
Nel palazzo c’erano 365 concubine e schiere di eunuchi et ipsi muliebria pati adsueti (9). Si diceva che A. fosse diventato un satrapo di Dario, più simile ai vinti che a un vincitore (11). Al. cercava di comprare l’affetto con i doni ma “liberis pretium servitutis ingratum est” (12) ai liberi non piace il prezzo della schiavitù.
Solo una guerra esterna poteva evitare una sedizione. Besso si faceva chiamare Artaserse e radunava i popoli vicini al Tanai (13).
Al. fece bruciare tutto il superfluo. Riflettendo, laetabantur sarcinarum potius quam disciplinae fecisse iacturam (17) erano contenti avere buttato via i bagagli piuttosto che la disciplina. Marciavano verso la Battriana e Besso. Morì Nicanore, figlio di Parmenione e fratello di Filota.
Al. erat animi semper obluctantis difficultatibus (6, 6, 27) doveva sempre lottare contro le difficoltà. Concezione agonistica della vita.
Al. insegue Satibarzane e attacca i Drangi .
La congiura “di Filota” (autunno 330 a. C. In Drangiana, a ovest del Parapamisus).
Alessandro seppe del complotto (Arriano ejpiboulhvn…e[maqen) di Filota figlio di Parmenione. Li fece uccidere entrambi.
Arriano, Plutarco e Diodoro la trattano in breve.
Plutarco racconta però un antefatto. Filota viveva con atteggiamento, immerso nelle ricchezze e praticava una cura del corpo e un tenore di vita piuttosto insopportabile per una persona normale, inoltre era autoritario, superbo, senza misura e senza grazia, tanto che il padre gli fece: “w\ pai', ceivrwn moi givgnou” ( Plutarco Vita, 48, 4), figlio, ridimensionati per amor mio! Diventa inferiore
Dopo la vittoria di Isso e il bottino di Damasco Filota ebbe una prigioniera eujprepe;~ de; th;n o[yin: ejkalei'to d j jAntigovnh. Bell’aspetto e bel nome. Parlava con lei come un giovane con l’amata (oi|a de; nevo~ pro;~ ejrwmevnhn, 48, 5), e tra i bicchieri di vino discorrendo liberamente (parrhsiazovmeno~) faceva diventare proprie e del padre le imprese più grandi, chiamando Al. un ragazzotto ( j Alevxandron de; meiravkion[7] ajpekavlei) che godeva del titolo di re grazie a loro. Al. lo venne a sapere, chiamò Antigone e le ordinò di riferirgli tutto. Filota non lo seppe e continuò la relazione con Antigone e seguitò pure a sparlare di Al.
Poi la congiura che Filota non denunciò.
Filota venne torturato mentre Al. ascoltava dietro una tenda. Si dice che sentendo Filota che pregava Efestione, Al. abbia detto: “ou{tw dh; malako;~ w]n kai; a[nandro~ ejpeceivrei~ pravgmasi thlikouvtoi~ ; “ (49, 12), tu che sei così molle ed effemminato ti accingevi a imprese tanto grandi?
Curzio VI 7 Filota non denunciò subito la congiura che gli era stata rivelata da Cebalino cui ne aveva parlato il fratello di Nicomaco con il quale si era confidato il suo amante, Dimno, uno dei congiurati. Filota non disse nulla ad Al. Allora Cebalino fece la denuncia a Metrone che informò Al.
Filota disse che non aveva dato credito alle chiacchiere di un bagascio (scorti sermonem, ossia Nicomaco, 33)
Non credeva che Al. fosse in pericolo. Abbracciato il re lo pregò di considerare la sua vita passata, non la culpam, silentii tamen, non facti ullius. (6, 7, 34) Al. gli tese la mano.
VI 8. Nel consiglio degli amici di Al., Cratero, rivale di Filota, approfittò dell’occasione. Disse che Filota, pur perdonato, lo avrebbe odiato, e Parmenione non avrebbe sopportato di dovergli la salvezza di suo figlio: “Quaedam beneficia odĭmus” (6, 8, 8).
Seneca: “ Torquet se ingratus et macerat; odit quae accipit quia redditurus sit” ep. 81, 23, l’ingrato si tormenta e strugge; odia i benefici ricevuti perché deve ricambiarli.
Tacito negli Annales mette in rilievo il rancore di Tiberio verso Silio che vantava la disciplina e la fedeltà, all’imperatore, delle sue legioni con le quali aveva conseguito trionfi in Germania nel 24 d. C. : “Beneficia eo usque laeta sunt, ubi videantur exsolvi posse; ubi multum antevenēre, pro gratia odium redditur” (4, 18), se vanno molto oltre la possibilità di contraccambiarli, si ricambia con l’odio.
Lo stesso rilievo nel "collaborazionista" Céline che non si faceva pagare le visite mediche e subisce una gratitudine rovesciata:"Ero troppo compiacente con tutti, lo sapevo. Nessuno mi pagava L’ho poi visitato gratis, soprattutto per curiosità. E' un torto. Le persone si vendicano dei favori che loro fate"[8].
Anche gli altri amici condannarono Filota. Bisognava aprire una quaestio, un interrogatorio, perché denunciasse i complici. Filota fu invitato alla sua ultima cena: “Invitatus est etiam Philotas ad ultimas ipsi epulas VI, 8, 16) Questi, quando si ritrovò in catene disse: “Vicit bonitatem tuam, rex, inimicorum meorum acerbitas” (22). In casi di delitto capitale: de capitalibus rebus inquirebat rex, iudicabat exercitus –in pace erat vulgi- (25) e la potestas del re non valeva se non c’era l’auctoritas la volontà del popolo a convalidarla.
Tacito descrive una Germania "prestatale”:" De minoribus rebus principes consultant, de maioribus omnes, ita tamen ut ea quoque quorum penes plebem arbitrium est apud principes pretractentur "(11, 1), sulle faccende di minor rilievo deliberano i capi, sulle più importanti tutti, in modo tale però che anche quelle il cui giudizio spetta al popolo siano trattate prima dai capi.
VI 9 Al. parlò all’esercito denunciando Filota e Parmenione. Il re disse una frase ad effetto: “orbitas quoque mea, quod sine liberis sum, spernitur. Sed errat Philotas: in vobis liberos, parentes, consanguineos habeo: vobis salvis, orbus esse non possum” (6, 9, 12).
Poi comparve Filota degradato da comandante della cavalleria a prigioniero misero. A. gli chiese di parlare in dialetto macedone, patrio sermone, 34, ma Filota non lo conosceva: “ memineritis aeque illum a nostro more quam a sermone abhorrēre” (6, 9, 36). Ricordate che egli detesta i nostri costumi quanto la nostra lingua.
Così chiuse il discorso Al.
Mos e sermo infatti spesso coincidono e parlare male fa male all’anima. Lo afferma Socrate nel Fedone :" euj ga;r i[sqi…a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene…ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.
Comunque il distacco dai mores della Macedonia era tipico anche dello stile di Al. che dunque opera una proiezione su Filota.
Curzio VI 10. Filota ricorda ad Al. che l’aveva perdonato del fatto di avere taciuto e gli aveva dato la destra: iudicium tuum serva (6, 10, 12). Filota si difende dicendo, tra l’altro, che quando l’hanno catturato dormiva profondamente:“Unde et parricidae et proditori tam alta quies somni? scelerati, conscientiā obsteprente, condormire non possunt” (6, 10, 14), come può esserci per un parricida, un traditore una così profonda calma di sonno? Gli scellerati non possono dormire mentre strepita il rimorso.
L’insonnia.
a[upno" ( Euripide, Medea v. 481), insonne, è il drago che custodiva il vello d’oro. Il mostro è insonne, come il tiranno e chiunque abbia commesso delitti mostruosi.
Macbeth per esempio ammazzando il suo re ha ucciso il sonno con i suoi delitti:"I heard a voice cry:' sleep no more! Macbeth does murder sleep', the innocent sleep…balm of hurt minds " ( Macbeth, II, 2), ho sentito una voce gridare:'non dormire più! Macbeth assassina il sonno', il sonno innocente…balsamo delle anime afflitte".
E dunque:"avrai per guanciali sol vepri[9] o Macbetto!"[10]
“Pochi lo sanno: ma per dormire bene bisogna avere tutte le virtù”[11].
In I Buddenbrook il nonno del console, colui che aveva fondato il commercio di granaglie della famiglia, aveva lasciato “parecchie buone esortazioni ai discendenti, tra le quali emergeva in grosse lettere gotiche, accuratamente miniate e incorniciate, questa sentenza: “Figlio mio, dedicati con ardore agli affari durante il giorno, ma combina soltanto quelli che ti consentano di dormire tranquillamente di notte”[12].
Pensavo, continua Filota, che le mie orecchie si fossero imbattute amatoris et scorti iurgio (6, 10, 16) nella scenata di un amante al suo amasio e non diedi credito a una notizia proveniente da un Nicomaco.
Filota non disprezza i costumi e la lingua macedone: “iam pridem nativus ille sermo commercio aliarum gentium exolevit ” (6, 10, 23) già da tempo la nostra lingua materna è caduta in disuso per i contatti con altri popoli. La critica all’apoteosi di Al. l’ha fatta per amicizia: “Fides amicitiae, veri consilii periculosa libertas, me decepistis!” (6, 10, 26), fiducia nell’amicizia, libertà rischiosa di un consiglio franco, mi avete ingannato!
Ma presso il tiranno non può esserci amicizia: Cicerone nel De amicitia[13] scrive:"Haec enim est tyrannorum vita nimīrum, in qua nulla fides, nulla caritas, nulla stabilis benevolentiae potest esse fiducia, omnia semper suspecta atque sollicita, nullus locus amicitiae. Quis enim aut eum dilĭgat quem metuat, aut eum a quo se metui putet?" (15, 52), questa infatti senza dubbio è la vita dei tiranni, nella quale non può essere alcuna lealtà, alcun affetto, alcuna fiducia di stabile benevolenza, tutto è sempre pieno di sospetto e di ansia, e non c'è posto per l'amicizia. Chi infatti potrebbe amare quello che deve temere o quello dal quale pensa di essere temuto?
Nell'Agamennone di Seneca, Egisto, parlando con Clitennestra, fa questo rilievo:"non intrat umquam regium limen fides" (v. 285), la lealtà non entra mai nella soglia di una reggia.
Mio padre Parmenione, continua Filota, denunciò il medico Filippo e non venne creduto: “ Si et, cum indicamus, invīsi et, cum tacemus, suspecti sumus, quid facere nos oportet?” (6, 10, 35).
La libertà minima.
Nell’Oedipus di Seneca il re di Tebe minaccia Creonte reticente. Allora il fratello della regina chiede che gli sia concessa la libertà minima: quella di tacere:"ubi non licet tacere, quid cuiquam licet? " (Oedipus, v.524), dove non c'è libertà di tacere, quale libertà rimane all'uomo?
Concetto simile in La tragedia spagnola (1585) di Thomas Kyd quando Hieronimo dice al re di Spagna:" Quale minor libertà possono concedere i re, che l'innocuo silenzio? Dunque concedimelo. Basta: io non posso né voglio parlare a te" (IV, 3).
Nei primi capitoli dell'Agricola Tacito nota che l'estremo della schiavitù è non poter parlare né ascoltare: come l'antica età vide quid ultimum in libertate esset, il culmine della libertà, "ita nos quid in servitute: adempto per inquisitiones etiam loquendi audiendique commercio"(Agricola, 2), così noi l'estremo della servitù poiché per mezzo di spie fu tolta anche la facoltà di parlare e di ascoltare. Ora chi parla tende a usare suoni inarticolati, sicché parlare è pericoloso, ascoltare è problematico.
Curzio VI, 11
Un certo Bolone, comandante strenuus, rudis, vetus miles (11, 1). Parla stolidā audaciā ferox (2) E’ una specie di Tersite. Non si trova in altre fonti. Parla contro Filota che definisce femina illa (3).
In Plutarco Al. qualifica Filota come malakov"…kai; a[nandro" (Vita, 49, 12).
Egisto, un personaggio esecrato, nella letteratura greca è nello stesso tempo, traditore, imbelle, effemminato, donnaiolo e assassino. Nell'esodo dell'Agamennone di Eschilo, che drammatizza il ritorno e l'uccisione del re, il coro di vecchi argivi lo apostrofa chiamandolo donna (guvnai, v. 1625).
Bolone sottolinea il fatto che Filota non conosceva la lingua macedone.
Quindi Filota viene torturato dietro proposta di Efestione, Cratero[14] e Ceno. Filota confessò, ma Cratero volle che venisse torturato ancora finché non avesse denunciato il padre. Infatti Filota e Parmenione, principes amicorum, i primi fra gli amici, non potevano essere condannati sine indignatione totius exercitus, nisi palam sontes (6, 11, 39) se non fossero stati riconosciuti colpevoli. Dopo la confessione, Filota non ottenne più nemmeno la commiserazione degli amici.
Arriano è più schierato contro Filota.
Curzio Rufo VII.
Ma dopo l’esecuzione di Filota i Macedoni provavano compassione per lo scomparso.
Pesaro 6 agosto 2024 ore 11, 05 giovanni ghiselli
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[1] Del 44 a. C.
[2]G. B. Conte, Scriptorium Classicum 2, p. 81.
[3]Atto secondo. Cechov è vissuto tra il 1860 e il 1904. Il gabbiano è del 1895.
[4]Il mestiere di vivere , 31 ottobre 1938.
[5]Il mestiere di vivere , 17 gennaio 1938.
[6] Cfr. Sall. Iug. 41: “sed ubi illa formido mentibus decessit…lascivia atque superbia incessere”. La formido è il metus hostilis. Nemmeno alessandro temeva più i nemici.
[7] Come aveva fatto Demostene (Plutarco, Vita, 11, 7).
[8] L. F. Céline, Viaggio al termine della notte, p. 257.
[9] Sterpi (n. d. r. )
[10] Macbeth di Verdi-Francesco Maria Piave. (I, 11).
[11] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 26.
[12] T. Mann, I Buddenbrook (del 1901), p. 35.
[13] Del 44 a. C.
[14] Cratero era un altro dei fedelissimi di Al. Dopo la morte del re fu nominato prostavth", reggente, o tutore di Filippo Arrideo. Morì nel 321 combattendo contro Eumene e Perdicca. Antipatro fu confermato alla luogotenenza di Macedonia Tracia e Grecia.
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