Argomenti della prima parte
Le sciate
riflessive sull'Alpe di Lusia e di Pampeago. Il rimpianto dell'estate
di Elena
La telefonata mancata e
recuperata.
Il primo marzo, mentre sciavo sulle nevi del Lusia, pensavo a
Ifigenia con gratitudine. Quella ragazza mi aveva spinto ad
agire per diventare migliore secondo il corpo e secondo la mente.
Mi aveva indotto a scalare montagne, a correre i 5000 metri in 18
minuti e venticinque secondi, mi aveva aiutato a vincere gare
davvero olimpiche con gli altri e con me stesso, mi aveva
invogliato a migliorare per essere preferito da lei ad altri pretendenti.
Perciò dovevo scrollarmi di dosso la rovinosa educazione della
pretaglia sedicente cristiana che già aveva distrutto Ludwig II di
Baviera, trasformando il suo ardente desiderio di baci in un deleterio
senso di colpa; e dovevo fidarmi dell'amore di lei che negli ultimi
giorni oltretutto mi aveva teso una mano. La crisi che stavo
attraversando non era una cosa solo cattiva, poiché mi faceva
riflettere; però oramai era tempo di uscirne per vivere meglio.
All'ora di cena le telefonai riferendo questi pensieri. Sembrava
disposta bene anche lei.
Il due marzo andai sull' alpe di Pampeago, sopra Predazzo. Il sole
non c'era e tirava un vento gelato. Avevo cambiato disposizione
mentale, e non in meglio. Quando non abbiamo affetti sicuri, né
un forte autocompiacimento, né un equilibrio saldo, il tempo
atmosferico influisce assai sull'anima debole e vacillante.
Il freddo mi gela e imbruttisce anche l’anima.
Sul mezzogiorno, non potendone più dell'aria oscura e gelata,
entrai in un rifugio di latta e di legno, riscaldato con una stufa.
Quando mi fui seduto con una bottiglia di birra, una radio diffuse
il canto di Elena nobile e antico
biancovestita :"Summertime,
when the living is easy ".
Rividi il suo volto ridente nella notte d'estate sotto gli alberi strani
tra le cui foglie biancheggiava la luna e comparivano or sì or no le
stelle, vaghe e luminose come occhi di ragazze timide eppure
contente di un vago avvenire meraviglioso.
Dalla memoria, nel cuore
gocciava il ricordo di quei giorni lontani. Per converso pensai che
Ifigenia era stanca di me, io ero nauseato di lei, e il nostro
rapporto era corrotto quanto un baccanale perverso.
Con Elena era una gioia vederci, andare a zonzo ogni giorno, era
una scoperta parlare delle nostre vite e culture, lontane e diverse;
ed era anche possibile lasciarsi andare, sia pure con garbo: giocare
come bambini, senza sfiducia né sospetti. Poi era estate, i dì
scivolavano lisci, dolci, senza dolore, verso tramonti purpurei,
pieni di voli ; eravamo in vacanza, tra amici, Fulvio su tutti, e
ci godevamo la vita. Negli ultimi mesi invece, dovevo misurare
ogni parola, siccome Ifigenia era pronta a criticarmi, a
deridermi, per sospetto che io volessi fare altrettanto con lei.
Confrontando le due situazioni distanti tra loro dieci anni nel
tempo e ancor più nel mio cuore, piansi di nostalgia e mi chiesi
quando sarebbe rinata una situazione ricca di affetti e di
avvenimenti lieti. Pensavo alla guerra perenne che avevo dovuto
combattere contro avversità dolorose spinto dal desiderio della
felicità che poteva essere solo una donna degna di me, del mio stampo. Avevo
ottenuto qualche successo parziale, anche tre o quattro trionfi, ma
la vittoria definitiva mi era sfuggita sempre. Però non avevo fatto
del male a nessuno, e alcuni progressi c'erano stati.
Non ero fallito del tutto, non ero ingrassato né diventato cattivo.
Finita l'antica canzone, uscii dal rifugio un poco ebbro di birra. Il
vento si era addolcito. Guardai il cielo che si rischiarava sopra le
montagne, umide per il disgelo e luccicanti nelle piante bagnate, prossime a
germogliare. Rimasi fermo a osservare, finché provai un
sentimento di riconoscenza per la natura, per tutte le creature che
mi avevano accolto con simpatia, e per la vita stessa che non mi
aveva mai rinnegato del tutto.
Alle otto di sera, quando le telefonai, però Ifigenia non era in
casa. Il fratello disse che forse era andata alla scuola di recitazione.
Poiché la mia
chiamata era prestabilita e concordata, fui preso da un'angoscia
soffocante. Salivo a stento la scala di legno dell'albergo per
arrivare in camera, chiudermi dentro e buttarmi tramortito sul letto.
Barcollavo con il corpo e con lo spirito: come uno spastico non
riuscivo ad armonizzare i movimenti somatici né a dominare le
convulsioni continue della mente ferita.
Rimasi dieci minuti disteso a domandarmi perché quella ragazza
indefinibile mi avesse lasciato: doveva averne trovato uno che le
conveniva di più; però in un caso del genere, dopo due
anni e mezzo che si sta con un uomo, si prende tempo, ci si pensa,
se ne parla con lui, prima di andare con un altro: non si butta via in
poche ore una relazione lunga e non del tutto immonda come la
nostra. In effetti sarebbe finita in tale maniera. Non era questo lo
schianto finale, era solo un singhiozzo che lo prefigurava: la sera del due marzo,
presentivo e presoffrivo la notte compresa tra il dodici e il tredici
giugno.
Appena ebbi recuperate le forze, per evitare che mi scoppiasse la
testa, decisi di uscire e camminare sotto le stelle che vedono tutto.
Quando fui in fondo alle scale però, come dio volle, il portiere
disse che mi aveva cercato una signorina, Ifigenia, e aveva
lasciato detto di chiamarla a casa, appena fossi tornato. Corsi in
cabina con i venti gettoni che mi portavo in tasca sempre, come
quando ero rinchiuso in caserma e nell'ospedale militare.
Afferrai l'apparecchio, feci il numero con mano tremante. Rispose
lei.
"Ciao tesoro, scusa il ritardo, ma sono tornata a vedere Ludwig
per sentirmi in qualche maniera vicina a te. Dopo, ho fatto una
corsa bestiale per arrivare in tempo: l'autobus non arrivava mai.
Scusami".
"Prego, prego-risposi-però mi sono preso paura che ti fosse
successo qualcosa".
"Mi è successo che senza di te la mia vita è incompleta, e io non
funziono bene. Io ti amo tanto".
"Anche io". Nonostante l'aria chiusa della cabina, il petto mi si era
aperto e riempito di salute, di forza, di gioia.
"Adesso vado a fare due passi sotto le stelle per ringraziarle e pensare a te con riconoscenza per
quanto mi hai detto: sono proprio felice".
Uscii nella notte illune, raggiante di gioia. Ringraziavo gli dei e
il mio destino di non avermi privato troppo per tempo di una
donna siffatta.
Pesaro 29 agosto 2024 ore 9, 35 giovanni ghiselli
p. s.
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