Euripide
Che cosa dici dei nostri critici: hanno capito qualcosa dei nostri drammi?
Sofocle
Alcuni poco, altri niente. Io sono stato frainteso dal classicismo di tipo winckelmanniano che mi ha mummificato come il tragico sommo dalla composta, olimpica serenità. Del resto nemmeno originale, dato che già Aristofane nelle Rane ha fatto dire a Dioniso che ero eu[koloς (82), uno di buona indole da vivo, e rimasto bonaccione pure da morto.
Invero sono stato un autore e un uomo tormentato dall’orrore del buio che segue al tramonto degli dèi.
Euripide: a chi lo dici! Quel buffonissimo Aristofane nel medesimo dramma mi ha fatto perdere la gara con Eschilo che con i suoi drammi forgiava gli eroi.
Invece ha rappresentato me in un personaggio chiamato con il mio nome, usurpato invero. Costui si vanta di avere insegnato alla gente a chiacchierare (lalei`n ejdivdaxa, Rane, 954) e rivendica l’introduzione di regole sottili leptw`n te kanovnwn eijsbolav~ e la rifinitura di parole (ejpw`n te gwniasmouv~, 956).
Quindi vengo accusato di avere insegnato a pensare (noei`n), osservare (oJra`n) capire (xunivenai) meditare (strevfein) amare (ejra`n), ordire (tevcnazein), sospettare male (kavc j uJpotopei`sqai), considerare tutto (perinoei`n a[panta, Rane, 957-958.
Insomma avrei portato sulla scena cose di casa (oijkei`a pravgmat j , quelle che usiamo oi|~ crwvmeq j, Rane, 959).
Sicché avrei impartito agli spettatori una mala educazione rendendoli sospettosi, ipercritici, ribelli, calcolatori, affaristi, egoisti.
Per non dire delle mie Fedre e Stenebèe sgualdrine, povrnaς, che il personaggio Eschilo si vanta di non avere messo in scena: né queste due malefemmine né mai un’ ejrw'san gunai'ka (Rane, 1043) una donna in amore.
Poi Nietzsche ha rilanciato queste accuse mettendomi anche in combutta con Socrate il filosofo brutto e cattivo, l’antigreco latore della decadenza che è orrore dell’istinto.
Quindi il suo allievo Platone avrebbe proseguito anticipando il cristianesimo con la svalutazione della vita terrena.
Credo che la maggior parte dei critici non legga i testi ma solo le critiche precedenti.
Ultimamente c’è stata qualche smentita a questa linea che mi addebita la distruzione del mito e la razionalità ad ogni costo concordata con Socrate, mio complice nell’assassinio di Dioniso. Un delitto punito dalle menadi del tribunale ateniese, ma troppo tardi: oramai il dio era già morto e con lui tanto la tragedia quanto la musica.
Per quanto riguarda la confutazione alla linea Aristofane, A. W. Schlegel- c’è anche questo nella fila- Nietzsche, cito una pagina esemplare di Eric Dodds:
“La Medea, l’Ippolito, l’Ecuba, l’Eracle: quello che dà a tutti questi drammi il loro carattere profondamente tragico è la vittoria dell’impulso irrazionale sulla ragione in un essere umano nobile ma instabile. Video meliora proboque, deteriora sequor [1]: è qui che Euripide trova l’essenza della tragedia morale dell’uomo.
Di qui la cura scientifica che, come un antico critico nota, egli ha dedicato allo studio di passioni amorose e follie-l’oscuro lato irrazionale della natura umana. La precisione con cui egli ha osservato i sintomi della nevrosi e della alienazione mentale appare da scene come quella della prima conversazione di Fedra con la nutrice, oppure del risveglio di Agave dall’estasi dionisiaca, o ancora la figura di Dioniso la cui pazzia è chiaramente segnata come appartenente al tipo maniaco-depressivo.
In conclusione di questo discorso: “Euripides remains for us the chief representative of fifth-century irrationalism; and herein, quite apart from his greatness as a dramatist, lies his importance for the history of Greek thought”[2], Euripide rimane per noi il principale rappresentante dell’irrazionalismo del V secolo; e in questo, del tutto a parte dalla sua grandezza come drammaturgo, sta la sua importanza per il pensiero greco.
E’ proprio il contrario di quanto ha scritto Nietzsche nella giovanile La nascita della tragedia influenzato da Aristofane.
Sofocle
In questo libello a tratti geniale ma spesso lontano dalla sostanza delle nostre tragedie anche io vengo a tratti denigrato
Quando Nietzsche per esempio sostiene che la parte del Coro dopo Eschilo diventa sempre più insignificante fino a sparire, non ha torto, ma sbaglia scrivendo:
“ Già Sofocle non osa più affidare al Coro la parte principale e comincia a franare il terreno dionisiaco della tragedia. Il coro di Sofocle appare ora come coordinato agli attori, come se venisse sollevato dall’orchestra e portato in scena” ( La nascita della tragedia, capitolo XIV)
E conclude: “In questa nuova situazione, il coro appare come qualcosa di fortuito di cui si può fare a meno. Mentre il coro deve essere causa della tragedia.
Invero i miei cori sono le parti più dense e più rivelatrici dei miei drammi perché costituiscono il commento agli eventi raccontati negli episodi.
Pesaro 20 agosto 2024 ore 18, 17
Ieri ho visto il barbiere di Sterbini- Rossini
Mi è piaciuto. C’era una Rosina con una grande voce, ammaestrata dal regista e caricata da pupa vezzosissima. Sfoggiava una femminilità seduttiva e molto manierata, quasi manieristica. Anche le qualità vocali erano sfoggiate con gorgheggi a volta perfino fuori misura. Del resto a noi vecchi la femminilità decisa piace. Anche il carattere della donna capace, sicura di sé, non mi spiace, mentre non amo le donne che imitano la prepotenza e la rozzezza dei maschi peggiori.
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[1] E’ Medea che parla nelle Metamorfosi di Ovidio:"sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,/mens aliud suadet: video meliora proboque/, deteriora sequor! quid in hospite, regia virgo,/ureris et thalamos alieni concipis orbis?" (VII, vv. 19-22), ma contro voglia mi trascina una forza mai sentita, altro consiglia il desiderio, altro la mente: vedo il meglio e l'approvo, seguo il peggio!
Dodds avrebbe fatto meglio a citare la Medea di Euripide che dice: “Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali", dirà la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli .
[2] Dodds, Euripides the irrationalist in The ancient concept of progress, p. 90.
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