Alessandro diede l’anello a Perdicca e chiese che il suo corpo venisse traslato presso Ammone (10, 5, 5). Il regno doveva andare al migliore, disse, pensando alla competizione dei giochi funebri. Onori divini dovevano attribuerglieli cum ipsi felices essent (10, 5, 6) quando essi stessi fossero stati felici. Vinti e vincitori erano accomunati dal dolore “nec poterant victi a victoribus in communi dolore discerni” (10, 5, 9). Alcuni erano sdegnati del fatto che un giovane tanto dotato “ tam viridem et in flore aetatis fortunaeque invidiā deum ereptum esse rebus humanis” (10, 5, 10). Tratto erodoteo.
I soldati si prefiguravano nelle menti le guerre civili che ci sarebbero state per la successione: “bella deinde civilia, quae secuta sunt, mentibus augurabantur” 10, 5, 13.
Anche i Persiani lo piangevano: comis suo more detonsis in lugubri veste (17). Nessun re era stato più degno del comando. La madre di Dario “omnium suorum mala Sisisgambis ună capiebat” (21). Come Ecuba nelle Troiane o Edipo.
Chi si sarebbe preso cura delle sue ragazze? Topos della tragedia (Edipo re, Alcesti). Ricordava tutti i suoi lutti. Infine si lasciò morire di fame.
Giustino invece sostiene che i vinti lo piansero ma i Macedoni ne furono contenti poiché ne biasimavano la crudeltà eccessiva e il fatto che li esponesse ai pericoli (Storie Filippiche, 13, 1, 7).
Segue un giudizio su Al.
Curzio ora vuole riequilibrare i giudizi negativi. Dunque i suoi aspetti buoni erano propri della sua natura, i difetti o della sorte o dell’età. Le qualità: vis incredibilis animi (10, 5, 27), laboris patientia propemŏdum nimia, fortitudo…liberalitas…clementia in devictos…mortis perpetua contemptio…gloriae laudisque cupido…iam pietas erga parentes quorum Olympiăda immortalitati consecrare decreverat, Philippum ultus erat (30). Poi benignitas verso quasi tutti gli amici, erga milites benevolentia, consilium par magnitudini animi, e una sollertia (31) un’accortezza incredibile per la sua età. I desideri erano contenuti e i piaceri leciti.
Illa fortunae (10, 5, 33), Il resto, i difetti vanno imputati alla fortuna. Questi sono: uguagliarsi agli dèi, volere onori divini, oraculis credere, adirarsi, travestirsi da straniero. L’ira e la passione per il vino avrebbe potuto mitigarli la vecchiaia. Fu più debitore alla fortuna che alle sue qualità cui dovette comunque moltissimo “Fatendum est tamen, cum plurimum virtuti debuerit, plus debuisse fortunae, quam solus omnium mortalium in potestate habuit” (10, 5, 34). Ella gli fece compiere le imprese alle quali era predestinato.
Finito l’elogio funebre, Curzio torna a raccontare di Babilonia (10, 6, 1) dove c’erano dolore e confusione. Perdicca restituisce l’anello e afferma che gli dèi avevano richiamato Al. in cielo appena aveva compiuto la sua missione. Ci voleva una guida: “ Illud scire debetis, militarem sine duce turbam corpus esse sine spiritu. Sextus mensis est, ex quo Roxane pregnans est. Optamus ut marem enitatur” (10, 6, 8-9). Nearco invece voleva che l’erede fosse Ercole, il figlio di Al. e Barsine, figlia di Artabazo. La proposta non piacque e i soldati rumoreggiarono battendo gli scudi con le aste suo more hastis scuta quatientes[1] (10, 6, 12).
Tolomeo propone che ogni volta prevalga il parere della maggioranza dei suoi consiglieri.
Tolomeo, alla fine del film Alexander, confessa che furono loro, gli amici a non impedirne l’assassinio poiché non potevano più andare avanti: io non ho mai creduto al suo sogno e i sognatori devono morire prima che ci uccidano.
Aristono propose Perdicca quale comandante supremo. Perdicca simulò umiltà per ottenere il comando. Meleagro rifiutò Perdicca e disse populus est heres (10, 6, 23). Si dovevano dunque dividere i tesori. Uno di infima condizione propose Arrideo, fratello di Al. L’assemblea lo acclamò. Pitone parlò contro ma i soldati salutarono Arrideo re col nome di Filippo. Pitone Perdicca e Leonnato parteggiavano per il figlio di Roxane e volevano che della situazione europea si occupassero Antipatro e Cratero. Meleagro sosteneva Arrideo e la massa ondeggiava. “Nullum profundum mare, nullum vastum fretum et procellosum tantos ciet fluctus, quantos multitudo motus habet, utĭque si nova et brevi duratura libertate luxuriat” (10, 7, 11), soprattutto se si imbaldanzisce per una libertà nuova e destinata a durare poco.
Metafora nautica applicata al popolo invece che alla città. Cfr. p. e. povli" …saleuvei (Edipo re, 22-23).
Un arcanum imperii: insociabile est regnum (il regno non è condivisibile).
Insociabile regnum: arcanum imperii.
La falange batté le aste sugli scudi approvando Meleagro che sosteneva la successione di Arrideo, fratellastro di Alessandro-. Il re doveva essere della famiglia di Filippo. La cavalleria invece si schierò con Perdicca e Leonnato. Meleagro voleva la morte di Perdicca. Nella truppa c’era la mestitia ultimae desperationis (10, 6, 9). Perdicca occupate le campagne, impediva il rifornimento di Babilonia. Filippo Arrideo riuscì a ottenere una tregua, malsicura del resto, tra Perdicca e Meleagro. Si avvicinava la guerra civile: “nam et insociabile est regnum et a pluribus expetebatur” (10, 9, 1). E’ un arcanum imperii, o arcana domus, i segreti del palazzo, svelati da Tacito all'inizio degli Annales, quando Tiberio sta assumendo il potere:"eam condicionem esse imperandi ut non aliter ratio constet quam si uni reddatur " (I, 6), questa è la condizione dell'impero che i conti tornano bene se si rendono a uno solo.
Una regola espressa anche dalla vox populi in seguito all'uccisione di Britannico da parte di Nerone (55 d. C.):" facinus cui plerīque etiam hominum ignoscebant, antiquas fratrum discordias et insociabile regnum aestimantes" (Annales, XIII, 17, 6), un delitto per il quale la maggior parte della gente aveva addirittura indulgenza, tenendo conto dei contrasti tra i fratelli e del fatto che il potere non si può dividere.
Il regno di Al. insomma avrebbe dovuto avere un solo capo.
Segue un elogio di Claudio lui ha spento le scintille di guerra illuminando il mondo (novum sidus inluxit, 10, 9, 3) e ha riportato il sereno: “Non ergo revirescit solum, sed etiam floret imperium” (10, 9, 5), l’impero non solo rinverdisce ma è anche fiorente. Sembra riferirsi a Claudio e contro Caligola questa espressione: “Huius, hercules, non solis ortus, lucem caliganti reddidit mundo, cum sine suo capite discordia membra trepidarent” (10, 9, 4), la sua salita, per Ercole, non quella del sole rese la luce al mondo offuscato, coperto di caligine, mentre senza la sua testa le membra discordi vacillavano.
Un passo della Consolatio ad Polybium di Seneca (del 43) adula Claudio come “sidus hoc, quod -praecipitato in profundum et demerso in tenebras- orbi refulsit, semper luceat!” (13, 1).
Curzio Rufo, un uomo nuovo, “nato da se stesso”…è uomo grato alla corte, è legato di Germania superiore; egli ha ricambiato Claudio, dedicandogli nelle sue Historiae Alexandri Magni (di quell’Alessandro che Caligola ammirava), alcune righe tra le più note della letteratura panegiristica antica”[2].
Gianni Cipriani preferisce l’ipotesi che colloca Curzio Rufo nell’età di Vespasiano il quale “nell’anno dei “quattro imperatori” (69 d. C.), prese il potere giungendo da Oriente, al pari del sole che sorge (quindi, novum sidus). Sulla base di osservazioni linguistiche e di altro genere gli studiosi tendono in prevalenza a collocare Curzio Rufo nell’età di Vespasiano”[3].
Absit modo invidia continua Curzio, e il benessere continuerà (10, 9, 7).
L’invidia è
“La meretrice che mai dall’ospizio
Di Cesare non torse gli occhi putti,
morte comune delle corti vizio” (Dante, Inferno, XIII, 65-67
Perdicca aspettava l’occasione per eliminare Meleagro e ci riuscì. Quindi l’impero fu diviso: a Tolomeo l’Egitto, a Laomedonte Siria e Fenicia, a Filota la Cilicia, Antigono monoftalmo ebbe Licia, Panfilia e Frigia maggiore, Cassandro la Caria, Menandro la Lidia, Leonnato la Frigia minore. Eumene Cappadocia e Paflagonia, Pitone la Media, Lisimaco la Tracia. Per quanto riguarda l’Oriente il dettaglio si trova in Giustino 13, 4, 19-26. Perdicca rimase con il re al comando delle sue truppe (10, 10, 4).
Sed difficile erat eo contentos esse, quod obtulerat occasio: quippe sordent prima quaeque, cum maiora sperantur (10, 10, 8) era difficile che quelli si accontentassero di quanto l’occasione aveva offerto: poiché valgono poco i primi acquisti quando se ne sperano di più grandi. Il cadavere di Al. giaceva nel sarcofago da sei giorni, trascurato. Nonostante il caldo, il corpo non era degenerato. Traditum magis quam creditum refero (10, 10, 12).
Egiziani e Caldei lo imbalsamarono. Molti pensarono che Al. fosse morto di veleno propinatogli da Iolla, figlio di Antipatro. In effetti Al. era stato critico verso Antipatro che si era montata la testa per la vittoria sugli Spartani. Al. ,secondo alcune voci, aveva mandato Cratero a uccidere Antipatro.
Cassandro avrebbe portato al fratello Iolla il veleno della fonte Stige (fiumiciattolo dell’Arcadia del nord) e Iolla lo avrebbe messo nella coppa di Al. Ma è un veleno che corrode persino il ferro. Comunque spense quelle voci la potentia (10, 10, 18) eorum quos rumor asperserat toccati da queste voci. Antipatro prima, poi (dal 304) Cassandro divennero re di Macedonia. Cassandro fece uccidere tutti i consanguinei di Al. Olimpiade, Roxane e il figlio.
Il corpo di Al. fu trasportato a Menfi poi ad Alessandria da Tolomeo cui era toccato l’Egitto. Fine Curzio Rufo.
Diodoro conclude il suo racconto su Al. scrivendo che la madre di Dario, Sisisgambi, si lasciò morire di fame per il dolore della morte del vincitore di suo figlio, mentre Olimpiade fu fatta assassinare da Cassandro il quale ne gettò via il corpo senza sepoltura. Cassandro per giunta fece ricostruire Tebe con grande impegno (17, 118)..
Pesaro 17 agosto 2024 ore 10, 51 giovanni ghiselli
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[1] Tra i Germani di Tacito l'assemblea dei guerrieri dà segnali diversi:"Si displicuit sententia, fremitu aspernantur, sin placuit, frameas concutiunt " (Germania, 11,2) se il parere non è piaciuto, lo rifiutano con un mormorio, se è piaciuto battono insieme le aste.
[2] Mazzarino, L’impero romano 1, p. 216
[3] Giovanni Cipriani, Letteratura latina. Storia e antologia di testi, Einaudi, Torino, 2003, p. 380.
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