Ora voglio anticipare il racconto di un viaggio in Grecia fatto con la scuola nell’aprile del 1981. Lo metterò al suo posto nella fase del montaggio di questo mio romanzo.
Ai primi di aprile la direzione scolastica mi propose di accompagnare un gruppo di 50 studenti e una decina di genitori in una viaggio in Grecia. Il preside, anche se non lo diceva, aveva capito che sono bravo, che ero il più bravo, e aveva concesso a certi colleghi maligni e invidiosi, la mia degradazione appena arrivato aveva ascoltato le loro maldicenze sul mio conto, ma poi aveva capito come stavano davvero le cose. Sapeva bene che avrei commentato i siti archeologici in modo degno della loro bellezza capace di suscitare meraviglia: antica e ancora viva.
Questo sarebbe stata una buona cosa per la reputazione del “suo” istituto.
Partimmo la mattina presto dalla stazione delle corriere ancora buia. Avevo sonno, sentivo freddo e non ero di buonumore. Mi rasserenai quando il sole si alzò nel cielo e vidi un colle che si leva irto di pini nei dintorni di Pesaro, sopra Santa Veneranda, per la precisione che devo ai miei lettori indigeni e amanti di questa zona, al pari di me.
Quando ero studente quindicenne del liceo-ginnasio Terenzio Mamiani, in autunno, nel tempo del ribollir dei tini, mi recavo in questa frazione per arrampicarmi su queste conifere dall’alta chioma, ascoltarne il sussurro quale voce profetica del vago avvenire che avevo in mente e staccarne le pine ricche di gustosi pinoli.
Oggi è un vecchio che scrive e devo dire che quelle chiome profetiche non mentivano quando mi promettevano una buona fortuna.
Ero con un compagno di scuola Rodolfo, ora un amico celeste, e salendo su quegli alberi mettevamo quasi a repentaglio la vita per renderla degna di interesse e di amore da parte di due ragazzine che ci piacevano molto.
Io ero innamorato della bruna Marisa, la più brava della sezione femminile. Ora non so nemmeno se sia ancora viva. Del resto già allora era un fantasma, un ei[dwlon creato della mia mente. Vagheggiava allora il piagato mortal la figlia della sua mente, l’amorosa idea. Già in seconda liceo, diventato il più bravo srudente dell’Istituto, Marisa non mi interessava più. Me ne piaceva un’altra: bionda di Fano. Questa non è più sulla terra. Un’amante mancata, irrecuperabile.
Ma torniamo a quell’amore da scolaro ginnasiale. Appoggiavo la bicicletta al muro dell’osteria di Santa Veneranda, salivo sul colle con l’altro innamorato, ci arrampicavamo sui pini dai fragili rami e sfidavamo i numi a darci le nostre dèe oppure a farci morire subito con una caduta precipitosa. Invocando e provocando i numi ero incerto se fossero Gesù, sua madre e suo padre, oppure Apollo e le altre divinità olimpiche, quelle della terza e quarta generazione immortale.
Quando arrivava il maggio odoroso però, dopo la giornata operosa, verso le sette di sera andavo nella chiesa di Cristo re a pregare la Vergine madre figlia di suo figlio, perché facesse un altro miracolo dopo quello della sua partenogenesi e mi rendesse partecipe dell’amore per cui la terra fioriva e risplendeva di tutti i colori. Notavo e mi piaceva soprattutto il grano non più verde e non ancora giallo che rosseggiava di papaveri di giorno e brillava di lucciole durante la notte quando il verso dei grilli “che perpetuo trema” succedeva a quello delle cicale “pazze di sole”-hjliomanei`~- come me che amavo la vita e la amo ancora. Anche la rana lontana nei campi gracidando a lungo mi infondeva allegria, e pure le barche che al tramonto rientravano nel porto mentre il sole si immergeva nel mare. Il paradiso è qui sulla terra pensavo, e, almeno da metà febbraio a ottobre le penso ancora.
In quell’aprile lontano, mentre la corriera attraversava la campagna con i peschi, i ciliegio e i mandorli in fiore, pensavo: ora ho quasi ai 37 anni, mi avvicino ai quaranta che per me non sarà “la quarantina spaventosa, l’età cupa dei vinti” di Gozzano. Ora, piuttosto che salire su alberi impervi e prima di pedalare su e giù per i monti dell’Ellade per conservare la buona forma corporea, muscoli, cuore e fiato da atleta, devo trovare la forma nobile, chiara ma non pedestre da imprimere al romanzo che presto scriverò rendendolo esemplare per chi mi succederà qui su questa meravigliosa terra.
Questo viaggio mi offrirà la visione della bellezza suprema, del bello in sé- aujto; to; kalovn- non disgiunto dal bene, lo scopo più alto per ogni artista.
Nella corriera risuonò Una piccola musica notturna del portavoce di Dio, uno dei suoi profeti. Vi sentivo la gioia che si conquista prevalendo sulle miserie, i dolori e gli scontenti dell’esistenza: le malvagità, l’ignoranza, la maleducazione, gli inverni bui e gelati .
Ma l’inverno del mio scontento per quell’anno era già finito e al caos, l’eterno nemico della cultura, succedeva questo viaggio nel cosmo dell’arte che doveva illuminarmi. Dopo Pesaro guardavo il mare sulla sinistra che, riflettendo il sole si riempiva di sorrisi innumerevoli. Ricordai le Nereidi che, nei primi versi delle Troiane di Euripide, danzano sull’abisso salato del mare Egeo muovendo circolarmente la pianta bellissima dei piedi leggeri.
Questa tragedia mi ha segnato positivamente la vita da quando la preparai per l’esame di maturità nel 1963. Ancora oggi la mia traduzione e commento di tale capolavoro presenti nel blog ricevono centinaia e centinaia di letture ogni mese.
Pesaro 5 agosto 2024 ore 11, 57
p. s.
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