Alessandro. Babilonia, Persepoli, Ecbatana. Le regine antiche: Semiramide e Nitòcri.
Babilonia. 331
Arriano. Al. fu accolto in Babilonia (autunno 331) e ordinò ai Babilonesi di ricostruire i templi distrutti da Serse, tra gli altri quello di Belo, il dio che essi venerano di più (3, 16, 4). Anche lui sacrificò a Belo nelle forme indicate dai sacerdoti Caldei.
Lasciò Mazeo come satrapo di Babilonia, poi si recò a est fino a Susa (3, 16, 6).
Diodoro Siculo (80- 20) Biblioteca, una storia universale, dice che Dario aveva dato l’ordine di consegnare Susa perché Al. vi si fermasse mentre lui, il grande re, poteva guadagnare tempo (17, 65).
Qui Al. si impadronì del tesoro e recuperò le statue di Armodio e Aristogitone, rubate da Serse.
Al. le rimandò agli Ateniesi e ora si trovano nel Ceramico (Arriano, 3, 16, 8) dove si sale al’acropoli. Mandò del denaro ad Antipatro il reggente di Macedonia, perché continuasse a combattere i Lacedemoni. Poi Al. sconfisse gli Uxii che erano pastori. Proseguì verso le porte persiane sbarrate da un muro e 40 mila fanti guidati da Ariobarzane. Al. guidato da prigionieri persiani aggirò il muro lasciando davanti ai nemici Cratero figlio di Antipatro e Tolomeo. I nemici presi tra due fuochi furono fatti a pezzi.
Poi andò a Persepoli a sud est (primavera 330) dove incendiò la reggia contro il consiglio di Parmenione: “non era bello distruggere ricchezze che oramai erano sue” (3, 18, 11). Ma Al. disse che voleva punire i Persiani poiché avevano distrutto Atene e incendiato i templi. “ jall j oujd j ejmoi; dokei` su;n nw`/ dra`sai tou`tov ge jAlevxandro~ oujde; ei\naiv ti~ au[th Persw`n tw`n pavlai timwriva” (3, 18, 12), nemmeno a me sembra, commenta Arriano criticando il suo eroe, che Al. abbia agito con intelligenza, almeno in questo caso, né che questa fosse la punizione dei Persiani antichi.
“Una parte del palazzo di Persepoli venne dunque bruciata; poi il re ordinò di spegnere le fiamme. Fu l’ultimo atto di ostilità dei Greci contro i Persiani”[1].
Poi Al. avanza a nord verso la Media inseguendo Dario. A Ecbatana, capitale della Media, lasciò Arpalo ejpi; tw`n crhmavtwn (3, 19, 7) come sovrintendente del tesoro.
Secondo Polibio la Media è il più importante principato dell’Asia per il valore degli uomini e l’eccellenza dei cavalli. Alessandro fondò una serie di città greche ai suoi confini fulakh'~ e{neken tw'n sugkurouvntwn aujth'/ barbavrwn (10, 27, 3), per proteggerla dai barbari confinanti. Diversa è Ecbatana che sorge nella parte settentrionale della Media in posizione dominante. Fin dall’inizio è stata la capitale della Media per le ricchezze e la magnificenza dei suoi edifici. Il palazzo reale era fastosamente rivestito di metalli preziosi ma la maggior parte di questi venne staccata (sunevbh lepisqh'nai, lepivzw, sbuccio, lepiv", buccia 10, 27, 11) durante l’invasione di Al poi durante i regni di Seleuco e di suo figlio Antioco.
Era la residenza estiva dei re persiani. Corrisponde all’odierna Hamadan, sulla strada che va da Baghdad a Teheran.
Alle porte caspiche Al. venne a sapere che Dario era stato arrestato dai satrapi felloni. Invece Artabazo e i mercenari greci erano rimasti fedeli al loro re, ma si erano allontanati siccome non erano in grado di fermare gli eventi (ei[rgein ta; gignovmena, 3, 21, 4).
Dario fu ucciso nel luglio del 330. Aveva 50 anni. Fu un uomo debole e disgraziato ma ebbe una sepoltura regale.
Curzio Rufo V libro.
Dario in fuga pronuncia una oratio : “plena omnibus desperationis videbatur oratio” (5, 1, 7). In essa il re diceva che Al. sarebbe stato inceppato dalla preda conquistata della quale i Macedoni erano avidi in quanto pezzenti. “Ferro geri bella, non auro, non urbium tectis” (5, 1, 8)[2].
Lo ha capito troppo tardi, come Admeto nell’Alcesti di Euripide (a[rti manqavnw, v. 940).
Babilonia e i suoi costumi corrotti. Torniamo a Babilonia e al 331 con Curzio Rufo.
Al. avanzò fra il Tigri e l’Eufrate in un territorio così fertile “ut a pastu repelli pecora dicantur, ne satietas perĭmat” (5, 1, 12), perché la sazietà non li distrugga. I due fiumi sfociano in Rubrum mare (5, 1, 15) che è il golfo Persico. Mazeo andò incontro ad Al. da Babilonia supplex occurrit urbem seque dedens (17). Al. fu accolto in trionfo. La pulchritudo e la vetustas della città attirò l’attenzione del re e degli altri. Bellezza e antichità vanno insieme.
Plutarco nella Vita di Pericle afferma che ognuna delle "opere di Pericle", ossia degli edifici fatti costruire sull'Acropoli, era, kavllei, per la bellezza già allora antica , ajrcai'on; mentre per la loro rifioritura (ajkmh'/) appare ancora oggi recente e appena ultimata (13, 5).
“Semirămis eam condiderat” (5, 1, 24), l’aveva fondata Semiramide, non Belo, come si credeva. Belo era fratello di Agenore, fondatore di Tiro e Sidone, ed era anche padre di Nino, re assiro fondatore di Ninive, marito di Semiramide. Grandi mura, torri e altre costruzioni.
Semiramide poi Nitòcri.
“La prima di color, di cui novelle
tu vuoi saper, mi disse quegli allotta,
fu imperatrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu s’ rotta
che libito fe’ licito in sua legge
per torre il biasimo in che era condotta.
Ell’è Semiramìs di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che il soldan corregge”. (Dante, Inferno, V, 52-60).
Nel primo libro delle Storie di Erodoto il re persiano Dario viene disonorato come avido di denaro quando apre la tomba della regina babilonese Nivtwkri" credendo che ci fosse dell'oro e invece trova il cadavere e la scritta: se tu non fossi insaziabile ( a[plhsto") e amante dei turpi guadagni ( aijscrokerdhv") non avresti aperto le tombe dei morti (I, 187, 5).
Riferisco un'interessante osservazione di S. Mazzarino :"Non c'è dubbio che il periodo oggi da noi denominato neobabilonese, insomma l'epoca intorno al 600, in cui Erodoto colloca la sua favolosa regina Nitocri, si caratterizza, nella storia mesopotamica, proprio per la nuova attività costruttiva...Erodoto, con quelle pagine apparentemente pedanti e laboriose, ha voluto avvicinarci allo stile della vita mesopotamica"[3] Nivtwkri" regnò dopo Semiramide e lasciò monumenti (Erodoto, I, 185). Forse corrisponde a Nabuccodonosor
Sopra la rocca ci sono i pensiles horti, vulgatum Graecorum fabulis miraculum (5, 1, 32), la meraviglia del mondo celebrata dalle leggende greche. Un’opera che resiste al tempo, il cui trascorrere distrugge non solo i manufatti ma persino le opere della natura. Sarebbe stato un re siriano a fare questi giardini per curare la nostalgia della moglie che rimpiangeva i boschi e le foreste: ella virum compulit amoenitatem naturae…imitari (5, 1, 35).
POST.
Desiderio della natura di cui si sente la mancanza.
I giardini pensili antichi e di oggi
Curzio Rufo (I sec. d. C.) attribuisce questa nostalgia della natura a una regina babilonese che indusse il marito a dotare la città di giardini pensili.
Sopra la rocca di Babilonia super sarcem ci sono ancora i pensiles horti, vulgatum Graecorum fabulis miraculum (Historiae Alexandri Magni, 5, 1, 32), la meraviglia celebrata dalle leggende greche.
Sarebbe stato un re siriano a far costruire questi giardini per curare la nostalgia della moglie che soffriva desiderio nemorum silvarumque per la mancanza di boschi e di selve, sicché ella virum compulit amoenitatem natura imitari (5, 1, 35), indusse il marito a imitare l’amenità della natura.
Diodoro Siculo (90-27) attribuisce l’opera a un re Assiro che volle compiacere una concubina persiana desiderosa di ritrovare i prati e i monti della sua terra ejn toi`~ o[resi leimw`na~ ejpizhtou`san (Biblioteca Storica, II, 10, 1)
Oggi si vedono i pensiles horti su terrazze e grattacieli.
Aggiungo questa breve osservazione alla mia lectio su Desiderio di umanesimo quale amore dell’umanità, della natura e della cultura
Il soggiorno in Babilonia pregiudicò la disciplina militare più che altrove nec alio loco disciplinae militari magis nocuit. Infatti i costumi di questa città sono i più corrotti: “Nihil urbis eius corruptius moribus, nihil ad inritandas inliciendasque immodicas cupiditates instructius ( 5, 1, 36)”, niente è più attrezzato per stimolare e allettare sfrenate passioni.
Erodoto, con maggiore tolleranza, racconta di un novmo" babilonese che anzi egli considera sofwvtato", avvedutissimo (I, 196): lì le ragazze belle vengono messe in vendita per essere sposate. Le brutte si comprano il marito con il denaro ricavato:"to; de; crusivon ejgivneto ajpo; tw'n eujeidevwn parqevnwn, kai; ou{tw" aiJ eu[morfoi ta;" ajmovrfou" kai; ejmphvrou" ejxedivdosan" (I, 196, 3), il denaro veniva dalle ragazze di bell'aspetto, e così le belle davano in matrimonio le brutte e le storpie. Questo, secondo l’autore, era il loro costume antico più bello (kavllisto" novmo"[4]), mentre è meno encomiabile, aggiunge, quello recente di prostituire le figlie.
Anche Droysen sottolinea l’antichità e la dignità della cultura babilonese, non in grado comunque di reggere il confronto con quella greca: “A Babilonia si viveva ancora in mezzo ad una cultura millenaria. Si scriveva in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla. Si osservava e si calcolava il corso degli astri. S’impiegava un sistema metrico perfezionato. E gli abitanti avevano conservato l’antica abilità in tutti i campi delle arti e dei mestieri. Ed ecco i primi elementi ellenici entrare in questa vita raffinata, strana e multicolore, insignificanti per numero, ma dotati d’una potenza d’assimilazione e di fecondazione in cui risiedeva il segreto della loro superiorità”[5].
Curzio continua a descrivere i costumi babilonesi con disprezzo. Padri e mariti prostituiscono mogli e figli (5, 1, 37). Tutti si abbandonano al vino e all’ubriachezza. Delle donne che vanno ai banchetti “in principio modestus est habitus” (38), si comportano con dignità, poi a poco a poco pudorem profānant, alla fine ima corporum velamenta proiciunt; e questo non solo le meretrici ma anche matrone e ragazze: da loro comitas habetur, è considerata una cortesia questa vulgati corporis vilitas (5, 1, 38) il corpo venduto a buon mercato. L’esercito di A. rimase per 34 giorni saginatus, all’ingrasso inter haec flagitia, tra queste vergogne (39). Aminta mandato da Antipatro condusse guerrieri e paggi ad custodiam corporis (5, 1, 42) Sono camerieri, palafrenieri e guardie del corpo.
L’esercito venne rinforzato con nuovi arrivi dalla Grecia.
Al. procedette verso sud est, fino a Susa e istituì delle gare di valore militare come antidoto all’ozio: i vincitori sarebbero divenuti Chiliarchi, comandanti di mille uomini (5, 2, 3). Anche la disciplina militare venne rinforzata e accentrata nelle mani sue. Il satrapo di Susa lo accolse con doni: dromǎdes camēli-dromedari- velocitate eximiā poi duodĕcim elephanti ex India accīti, iam non terror, ut speraverant, sed auxilium .
La fortuna trasferiva al vincitore i mezzi del vinto: “opes victi ad victorem transferente fortunā” 5, 2, 10. Al. si impadronì delle ricchezze di Susa: “multi reges tantas opes longa aetate cumulaverant liberis posterisque, ut arbitrabantur, quas una hora in externi regis manus intulit” (5, 2, 12).
Cfr. Orazio, Ode II, 14 : “Un erede più degno consumerà i Cècubi/conservati con cento chiavistelli e bagnerà/il pavimento con vino di lusso et mero tinguet pavimentum superbo,/migliore di quello delle cene dei pontefici.
Il trono di Dario era troppo alto per la corporatura di Al. e i piedi non toccavano il primo gradino, sicché un paggio vi sottopose una tavola, quella dove mangiava Dario. Un eunuco si mise a piangere e A. voleva toglierla. ma Filota gli disse: “omen quoque accĭpe” (15), la mensa del nemico è sotto i tuoi piedi.
Era comunque un segno della piccola statura di Alessandro e non l’unico.
Alessandrorispettava Sisisgambi come la madre sua (5, 2, 18). Regalò della stoffa di porpora a Sisisgambi e capì dalle sue lacrime che le donne persiane considerano disonorevole lavorare la lana (19). Al. si scusò e le fece notare che aveva sempre rispettato le loro usanze, molto diverse dalle proprie: “nostri decepēre me mores” (5, 2, 20). Infatti le sorelle sue lavoravano la lana.
“Intanto nell’Epiro aspra e montana/filano le sue vergini sorelle/pel dolce Assente la milesia lana” (Pascoli, Alexandros, 51-53).
Pesaro 3 agosto 2024 ore 11, 50 giovanni ghiselli
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[1] Droysen, op. cit., p. 226.
[2] Si può accostare a Ennio: “ferro, non auro vitam cernamus utrique” (Annales 185). In Tito Livio Camillo “ferroque, non auro recuperare patriam iubet” (V, 49, 3).
[3] Mazzarino, Il pensiero storico classico , I, p. 160.
[4] La parola novmo" si forma sulla radice nem(e) -/nom -/nwm - che è la base anche di nomivzw, "ho come uso", nevmw, "distribuisco", nevmesi", "distribuzione", "vendetta".
[5] J. G. Droysen, Alessandro Il Grande, p. 215.
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