La necessità di “insudare molto nelle cose”
Cari giovani che, come me, avete bisogno e voglia
di imparare, non date retta alla fanciulla svedese che sbandiera lo slogan:
“SKOLSTREJK FOR KLIMATET” , sciopero scolastico per il clima. Magari si faccia
lo sciopero relativo ai consumi inutili. Ma questo la ragazzetta travestita da
profetessa ispirata non lo dice altrimenti non le darebbero tanta visibilità. I
poteri che manovrano i media la glorificano e santificano perché oltre le
banalità note a tutti deve fare credere ai giovani che la scuola non serve. Se
ha avuto successo una come lei , è il messaggio, possono averlo tutti. E’
l’inganno tipico della pubblicità: chi mangia il tal panettone è bello, chi ha
la tale automobile è felice e così via. Chi non va a scuola dunque ha successo
come Greta: gira il mondo e diviene persona dell’anno. Non cascateci giovani:
quella ragazza è utilizzata, forse senza che se ne renda nemmeno conto, per
convincervi che studiare, durare fatica, imparare a pensare, a parlare a
criticare, non serve a niente.
Vi copio dalla mia metodologia alcune riflessioni
di autori antichi e moderni sulla necessità della fatica per conseguire
risultati di valore.
3. Elogio della tradizione e necessità della
fatica. Povno~ e labor. Esiodo. Sofocle. Eracle
al bivio. Il sogno di Alessandro Magno in Arriano. Alessandro avrebbe procurato
fatica anche ai poeti. Dante e il “poema sacro”. Machiavelli e il dovere di
“insudare molto nelle cose”. Leopardi e il prezzo di un’opera egregia (Il Parini ovvero della
gloria).
L'autore di La terra desolata in un precedente
scritto di critica[1] aveva
pure affermato che la tradizione non è un patrimonio che si eredita ma, "if
you want it, you must obtain it by great labour ", se uno vuole
impossessarsene, deve conquistarla con grande fatica.
Questa è una dichiarazione topica: Esiodo dice
che davanti al valore gli dei hanno posto il sudore: "th'"
d j ajreth'" iJdrw'ta qeoi; propavroiqen e[qhkan" (Opere, 289).
Nell'Elettra di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi:
"o{ra, povnou toi cwri;" oujde;n
eujtucei'''" (v. 945), bada, senza fatica niente ha successo.
Nei Memorabili[2] di Senofonte la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa
Eracle al bivio che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica
e impegno:"tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n
oujde;n a[neu povnou kai; ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28).
così Cleante stoico in Diogene Laerzio (VII 172):
“quando uno spartano gli disse o{ti oJ povno~ ajgaqovn, lui raggiante di gioia esclamò: “ai{mato~
ei\~ ajgaqoi`o, fivlon tevko~, sei di buon sangue, ragazzo mio!”.
Si assiste a un eterno ritorno di questa affermazione e di non poche altre.
“Tipico atteggiamento della “cultura” greca. Una volta coniata una forma, essa
rimane valida anche in stadi ulteriori e superiori, e ogni elemento nuovo deve
cimentarsi con essa”[3].
Sappiamo che la cultura greca non si limita ai Greci.
Alessandro Magno, che si riteneva discendente di Achille e di Eracle,
quando si preparava ad assediare Tiro (estate del 332 a. C.), sognò che Eracle
stesso lo introduceva in città. L’indovino Aristandro interpretò la visione
onirica dicendo che Tiro sarebbe stata presa “xu;n
povnw/…o{ti kai; ta; tou` JHraklevou~ e[rga xu;n povnw/
ejgevnetw. Kai; ga;r kai; mevga e[rgon th`~ Tuvrou hJ poliorkiva ejfainevto”[4] con fatica… poiché anche le imprese
di Eracle erano avvenute con fatica. E in effetti anche l’assedio di Tiro si
presentava come una grande impresa.
Quando, giunti al fiume Ifasi[5], i soldati di Alessandro Magno, si
rifiutarono di attraversarlo e di procedere verso il Gange, il condottiero
macedone, per convincere l’esercito esausto a proseguire, parlò ai soldati
dicendo: “Pevra~ de; tw`n povnwn gennaivw/ me;n ajndri; oujde;n
dokw` e[gwge o{ti mh; aujtou;~ tou;~ povnou~, o{soi aujtw`n ej~ kala; e[rga
fevrousin” (Anabasi di Alessandro, 5, 26, 1), il limite delle fatiche per
l’uomo valoroso non credo siano altro che le fatiche stesse, quante di esse li
portano a grandi imprese”. Ma non riuscì a convincere quella gente stremata.
Alessandro Magno non solo si sobbarcò personalmente fatiche immani, e,
ovviamente, le impose alle sue truppe, ma le procurò anche ai poeti: Arriano
racconta che dopo la distruzione di Tebe (335), poco prima di partire per la
sua spedizione, il giovane re di Macedonia celebrò giochi e sacrifici. Allora
gli fu annunciato che la statua di Orfeo nella Pieride ijdrw`sai xunecw`~ sudava
continuamente; quindi l’indovino Aristandro disse che cantare le gesta di
Alessandro sarebbe costato polu;~ povno~ ai poeti (Anabasi
di Alessandro, I, 11, 2 - 3)..
Dante mette in rilievo la grande fatica
che gli è costata l’opera grandiosa della sua Commedia: il “poema sacro/al
quale ha posto mano e cielo e terra/sì che m’ha fatto per più anni macro” (Paradiso,
XXV, 1 - 3).
Machiavelli nota che molti uomini attribuiscono
alla Fortuna un potere eccessivo nella vita umana e per questo ritengono “che
non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare dalla sorte”.
Il segretario fiorentino non condivide questo parere: “perché el
nostro libero arbitrio non sia spento, iudico poter essere vero che la fortuna
sia arbitre della metà delle azioni nostre, ma che ancora lei ne lasci
governare l’altra metà, o presso, a noi”. La Fortuna come certi “fiumi
rovinosi…dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e
quivi volta li sua impeti, dove la sa che non sono fatti li argini e li ripari
a tenerla”. Dunque non bisogna adagiarsi sulla Fortuna: “ quel principe che
s’appoggia tutto in sulla fortuna, rovina, come quella varia” (Il principe,
25).
Leopardi nell’Operetta morale Il Parini
ovvero della gloria[6] immagina
che il poeta di Bosisio parli a un giovane “d’indole e di ardore incredibile ai
buoni studi, e di aspettazione meravigliosa”, e gli dica che pochi sono capaci
di intendere “che e quale sia propriamente il perfetto scrivere”. Chi non
intende questo “non può né anche avere la debita ammirazione agli scrittori
sommi”. La conclusione del ragionamento dunque è: “ Or vedi a che si riduca il
numero di coloro che dovranno potere ammirarli e saper lodarli degnamente,
quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine riuscito a
produrre un’opera egregia e perfetta”.
Vi saluto. Alla prossima
gianni
[2] Scritto socratico in quattro libri che presenta il
maestro come un uomo probo e onesto, rispettoso della religione e delle leggi,
valida guida morale nella vita pratica
Nessun commento:
Posta un commento